martedì 23 luglio 2013

Previsioni di spiaggia...

Non sono un "tipo da spiaggia", non lo sono mai stata e mai lo diventerò; ragioni psicofisiche imprescindibili me lo impediscono: innanzi tutto ho la pressione arteriosa di un mitile, quindi il caldo mi affloscia; se provo a pucciarmi in 2 cm d'acqua rischio l'annegamento al primo flutto la cui forza d'urto superi quello delle increspature concentriche generate la caduta di un sasso in uno stagno... (che umiliazione!)
In secondo luogo sono fornita di amor proprio sufficiente a rifiutare di omologarmi alla sfilata di corpi fucsia, distesi in processo di lenta rosolatura, che ricorda tristemente i festoni di anatre glassate esposti nelle vetrine della Chinatown londinese...

E poi odio il caos litoraneo: il cicaleccio si dispiega attraverso la rete degli ombrelloni, supportato nei contenuti dall'auctoritas di "Novella 2000", "Oggi", "La settimana enigmistica" e affini... mentre madri psicopatiche e urlanti inseguono figli fuggitivi armati di palette (e altre armi da spiaggia solo apparentemente innocue) nel tentativo di ficcargli in testa il cappellino, somministrargli (per via endovenosa se necessario) il succo di frutta, evitargli di accoppare qualche bagnante con una mitragliata di sassi o conchiglie o di infilare qualche granchio nel costume del nonno addormentato sulla sdraio...
Come si fa a dedicarsi al sacro rituale dell'otium con il cervello costantemente trapassato (da orecchio a orecchio, senza che nessuna sillaba sia schermata dalle falde del cappello di finta- paglia- omaggio Nivea, che nel frattempo ci si sta sciogliendo sulla testa) dai consigli scambiati tra le brave comari per la preparazione dei tortellini per il prossimo natale, o dai commenti maschili sulle ultime vicende della Coppa Uefa, o in generale dai pettegolezzi che, mica per niente si sono conquistati un epiteto proprio: "da spiaggia" per l'appunto ("Lo sai che lo scorso inverno Tizio ha cornificato Caia?!", "Ma no?!"; "E Sempronia aspetta il quarto pargolo e vista da dietro assomiglia sempre più a un cetaceo!"...diciamocelo, il tenore intellettualistico dei discorsi che si dispiegano tra un lettino solare e l'altro non si discosta molto da questo!).
Folla di neuroni inebetita dal sole...
A complicare ulteriormenrte la situazione c'è sempre qualche creatura zoomorfa gonfiabile in PVC, che sfugge al controllo e trasportata dalle brezze marine ti piomba addosso con tutta la sua animalesca imponenza gommosa, leggera ma graffiante di cuciture di nylon! Niente di meglio di queste fusa artificiali per la pelle già cotta dal sole e irritata dal sale!






Come se tutto questo bailamme non fosse abbastanza, alcune menti perverse arrivano a portarsi in spiaggia i loro amici pelosi a 4 zampe, vivi, di pezzatura più o meno estesa, li tengono al sole finchè non sublimano, per poi tentare di recuperarli a forma solida pucciandoli in acqua. E allora inizia il lento rituale di recupero di legnetti ripetutamente gettati in mare da padroni annoiati, finchè la povera bestia non esprime il suo disappunto con una solenne scrollata di "au di cane bagnato e mollusco" addosso al vicino di battigia...

Che si opti per la lido organizzato o per la spiaggia libera (ovvero per quel che ne resta durante l'alta stagione), gli scenari che si distendono lungo le coste mediterranee nell'afa agostana ricordano tanto le colonie di foche nel periodo dell'accoppiamento: un pigia-pigia di carne più o meno soda, la lotta per il predominio sul francobollo di sabbia faticosamente conquistato, che si combatte non a colpi di coda ma con barricate di borse, zaini, frigo portatili, trincee di libri, cumuli di indumenti, infradito, boccagli, braccioli...e guai ad alzarsi per andare a fare il bagno! Si organizzano turni di guardia, ronde di sentinelle... armate di olio solare (bollente).
Una guerra di logoramento, combattuta al centimetro. E il minimo sconfinamento territoriale può generare reazioni paragonabili  a quelle dell'invasione di Slesia e Pomerania da parte dei tedeschi! Con l'unica differenza data dalla presenza, sulla spiaggia organizzata, di un bagnino-arbitro che può intervenire a impedire omicidi a colpi di ombrellone e a ricondurre ogni "utente" nella propria celletta d'alveare! 
Rassegnatevi dunque, o bagnanti, a starvene incasellati come i numeri del sudoku in un'area non molto maggiore di quella delle parole crociate!

Tutto, nell'agosto marittimo italiano si calcola in forma centimetrica: la fenomenologia degli affitti immobiliari prevede una crescita esponenziale in proporzione ai centimetri quadri di sfumatura azzurra che si ha l'impressione di intravedere all'orizzonte dalla finestra del tinello, fra i tetti delle case di fronte ("Ma signora, si sporga un po' di più... se alza una gamba, trattiene il respiro, si tiene bene alla ringhiera, vede quasi mezzo golfo!!!!"... e con un po' più di azzardo, dall'alto dei cieli, si vede fino alla Costa Pacifica...).

Allo stesso modo l'estensione dei costumi da bagno è direttamente proporzionale all'età della carne esposta, si muove tra i poli del minimalismo da bikini (che consente un'abbronzatura tanto profonda che si rischia di lasciare sul lettino una stampa radiografica, ma a patto di non respirare troppo forte, altrimenti qualche brandello anatomico scappa fuori di sicuro!) alle "metrature" delle guaine-mute modello anni 60, che non concedono neppure il più piccolo tremolio budinesco... pena la tintarella di luna...ma per chi non ha pretese di  cottura anche tra le pieghe dell'ombelico e si accontenta di una rosolatura superficiale va bene così.

Dura la vita del vacanziere agostano! E allora?
Restano due alternative: rifugiarsi in montagna o riderci su... magari cercando salvezza in un po' di buona letteratura. Eccone un assaggio:



L'avventura di una bagnante  


Facendo il bagno alla spiaggia di ***, alla signora Isotta Barbarino capitò un increscioso contrattempo. Nuotava al largo, e quando, parendole tempo di tornare, si girò verso riva, s'accorse che un fatto senza rimedio era accaduto. Aveva perso il costume da bagno. [...]
Il costume a due pezzi l'aveva messo quella mattina per la prima volta, e sulla spiaggia,in mezzo a tanti sconosciuti, le sembrò la facesse stare un po' a disagio. Invece, appena in acqua, si sentì contenta, più libera nei movimenti e con più voglia di nuotare [...] anzi, la prima cosa che pensò nuotando fu proprio: "Mi sembra d'essere nuda". L'unica molestia era il pensiero di quella spiaggia affollata, non per altro ma perchè le sue future conoscenze balneari da quel costume si sarebbero forse fatta un'idea di lei che in qualche modo avrebbero dovuto poi cambiare: non era tanto il giudizio sulla sua serietà, ché ormai al mare andavano tutte così, ma il crederla, per esempio, sportiva, o molto alla moda, mentre lei in realtà era una signora davvero alla buona e casalinga. 
[...] Al largo di quella spiaggia, lei era nuda. 
Nessuno l'avrebbe sospettato, vedendo solo la sua testa sporgere dall'acqua, e un po' di braccia e il petto [...] e lei ad affannarsi, a cambiare modo e senso del nuoto, e si girava nell'acqua, s'osservava in ogni inclinazione e in ogni luce, si contorceva su se stessa; e sempre quell'offensivo nudo corpo le veniva dietro. Era una fuga dal suo corpo, che lei stava tentando, come da un'altra persona che lei, signora Isotta, non riusciva a salvare da un difficile frangente, e più non le restava che abbandonare alla sua sorte. Eppure questo corpo così ricco e innascondibile era ben stato una sua gloria, un suo motivo di compiacimento; solo una contraddittoria catena di circostanze in apparenza sensate poteva farne ora una ragione di vergogna. Oppure no, forse sempre la sua vita consisteva solo in quella della signora vestita che lei era anche stata in ciascuno dei suoi giorni, e la sua nudità le apparteneva così poco, era un inconsulto stato della natura che si rivelava di tempo in tempo destando meraviglia negli essere umani e in lei per prima. Ora la signora Isotta ricordava che anche sola o in confidenza col marito aveva sempre accompagnato il suo esser nuda con un'aria di complicità, d'ironia tra impacciata e gattesca, come se temporaneamente indossasse dei camuffamenti gioiosi ma sproporzionati, per una specie di segreto carnevale tra sposi.  
[...] non capiva perchè questa nudità che tutti portano con sé da sempre, bandisse ora lei sola, come fosse la sola a essere nuda, l'unica creatura che potesse restare nuda sotto il cielo [...] le toccava d'espiare solo questa nostra un po' goffa tenerezza di forme [...] quella nudità che le era a un tratto come cresciuta addosso, lei l'aveva sempre accettata non come una sua colpa ma come la sua innocenza ansiosa, come la fraternità segreta con gli altri, come carne e radice del suo essere al mondo; e loro invece, gli scaltri dei sandolini e le impavide degli ombrelloni, che non l'accettavano, che l'insinuavano come un reato, come un capo d'accusa, solo loro erano i colpevoli.
[...]


(in Gli amori difficili, Italo Calvino)








sabato 20 luglio 2013

"La cerimonia del mattino"


Le parole racchiudono mondi e immortalano momenti. I suoni, il flessuoso inseguirsi delle curve d'inchiostro sulla carta, lo stupore infantile di fronte al concretizzarsi della prima parola tracciata dalla maestra sulla lavagna... Le parole sono "sostanze" che danno corpo a pensieri, disegnano "spazi" e ambienti, si pongono quali perenne testimonianza di vissuti ed emozioni.
Si possono amare le parole in tanti modi e per tante ragioni; i letterati le "usano", le "venerano", vi giocano, le rispettano o le sfruttano, storpiandole e piegandole al loro volere; gli "utenti" passivi ne colgono la natura strumentale, l'"utilità" pratica, quelli più raffinati ne colgono le implicazioni artistiche, ne riconoscono l'"anima".
Non è necessario che le parole siano "belle" perchè siano amate; i significati che evocano possono essere del tutto indipendenti dal loro suono o dal contesto di impiego, legandosi talvolta a ragioni profonde e inconsce...

Ho imparato a leggere e scrivere a 5 anni... e da allora mi sono ubriacata di parole fino a sviluppare una vera e propria dipendenza, dalla quale credo ormai di essere (fortunatamente) irrecuperabile!!! Credo che se cascassi e mi rompessi la zucca, si vedrebbero miliardi di parolette che scappano da tutte le parti, alcune sciolte, altre tenendosi per mano... come le tartarughine neonate che corrono sul bagnasciuga dopo aver rotto il loro guscio!
 
Tra queste parole che mi affollano il cranio, ce ne sono alcune di cui sono inspiegabilmente innamorata; una di queste è colazione: ci sento dentro il crepitare del caffè nella mocha, anacronistica e ormai obsoleta che nella mia, come in metà delle cucine del mondo, è stata sostituita da una moderna e pratica macchinetta automatica (bellina, per carità, ma la vecchia caffettiera che borbotta sul fornello e se te la dimentichi sputa fuori metà del suo contenuto aveva tutt'altro fascino!); vi è poi (in tutte quelle zzz, che sono una sola ma sembrano tante al mio orecchio) l'asprigno frizzantino come l'aria mattutina del succo d'arancia (che per altro non bevo, ma di cui mi piace la fresca immaginaria presenza in un ipotetico bicchiere); ci sento il caldo profumo del pane appena sfornato, che esce dalle bottegucce agli angoli delle strade (non vivo nel paese di Hansel e Gretel; gli artisti del pane grazie al cielo sopravvivono anche nelle grandi città!) e risale lungo le pareti degli edifici per infilarsi nelle fessure delle finestre bisbiglianti sul mattino.
In questo lessema (o forse solo nella mia mente favoleggiante) ci sono poi la consistenza traballante delle confetture di frutta, che scivola su un velo opalescente di burro, il tintinnìo delle tazze di porcellana, i gesti ripetuti ogno giorno e ogni giorno diversi, il primo "Buon giono" domestico, il primo toccarsi nei movimenti minimi del passarsi il vasetto del miele o il bricchetto del latte...

Colazione (con la maiuscola che non dipende solo dalla pausa interpuntoria) per me è il primo rito celebrativo del giorno, il primo omaggio alla sicurezza di una quotidianità "casalinga" ogni giorno rinnovata; cerimonia i cui strumenti sono gli oggetti consueti, le "buone cose" di sempre, ma a anche i loro sostituti esotici; il fascino della colazione in quanto inchino al nuovo giorno permane anche lontano dal "nido", anche di fronte a un'alba straniera, a un cielo capovolto, a un pane nato da grano altrui.

Ho fatto colazione nella luce d'oro del deserto, con pane cotto sotto la sabbia e tè alla menta, o nella selvatichezza africana, di fronte al fuoco e nel silenzio che segue l'acquietarsi della vita notturna e precede il risveglio di quella assolata del continente nero e delle sue creature.

Ho partecipato a questo magico rito prima dell'alba, nel buio stellato dei privilegiati insonni, o su balconi affacciati al vento salato e blu della Grecia, eterno e amato rifugio per l'anima bisognosa di pace...con yogurt compatto e candido, miele luccicante di sole e fichi dolci come gli attimi più intimi della notte conclusa...

Ma anche al bancone di bar affollati nel groviglio caotico e pieno di vita del traffico mattutino di Roma, con il suo sovrapporsi di saluti, tintinnìo di piattini e monete, intrecciarsi di cornetti e tazze traboccanti schiuma profumata, accalcarsi di lavoratori che si sfiorano in una danza propiziatoria del "buon lavoro" e anticipatoria delle rispettive imminenti incombenze...
Mi è capitato di dover fare colazione in enormi sale da pranzo deserte di hotel, prima delle partenze aeree super-mattiniere, quando nemmeno il personale alberghiero è stato disposto ad assistere al rituale del mio risveglio fisico, ma mi ha usato la gentilezza di predisporlo in anticipo la sera prima...


Mi sono stupita di fronte ad usanza gastronomiche tanto diverse da quelle europee, al cospetto di zuppe di pollo e noodles, polpette di pesce e altre stravaganze culinarie, servite e consumate a tutte le ore lungo le strade tailandesi, gremite di baracchini fumanti e tuc tuc sfreccianti in tutte le direzioni...


 
Ovunque ho vissuto le mie colazioni come momenti speciali; attimi fermati e goduti nel fluire ciclico e irripetibile dei giorni, delle vite degli altri e della mia; cogliendo ogni volta il privilegio dell'"essere" ancora dopo la pausa notturna della mia metà del mondo...
I primi sapori, colori e consistenze mattutini sono stati gli accordi degli strumenti delle mie giornate, gli ingredienti di sostegno alle occasioni importanti, le note su cui intonare intere esperienze racchiuse nello scrigno del "dì"...
Intrecciare le dita attorno a una tazza di te fumante, la "mia" tazza di te, spalmare di burro e marmellata una fetta di pane tostato come gesto d'amore per qualcun'altro o per me stessa, apparecchiare con cura un micro pic nic improvvisato sul balcone di casa per iniziare il giorno in modo speciale...

Sono attimi impagabili, racconti irripetibili eppure rinnovabili nell'antologia di una vita, proemi lucenti di splendide storie che si distendono da un'alba all'altra, in un'infinita collana di attese e certezze, progetti e tributi al passato, ricordi e consapevolezza delle novità pronte aschiudersi nell'arco di due rotazioni della "lancetta corta" nell'arena dell'orologio...
Dunque abbasso il brunch! Invenzione economica per pigri o frettolosi, indecisi o incapaci di fermarsi per un attimo ad assumere consapevolezza della propria rinnovata creazione alla vita e della vita; moda distruttrice del privilegio del risveglio sensoriale quotidiano, della calma e della sosta che segna la soglia tra veglia e vita, tra buio e luce, tra intimità del sonno e pubblica esibizione del proprio sè sociale... Momento per essere se stessi prima di apparire agli altri, per raccogliersi nella solitudine delle proprie abitudini, anticipando l'immergersi nella compagnia del mondo....

Tutto questo per dirmi e dire a tutti "Buon giorno!"