venerdì 20 marzo 2015

giovedì 19 marzo 2015

What's new?

E' quasi primavera, ed è lecito avere voglia di cambiamento! 
Così, mentre sui rami spuntano le morbide gemme e nella mia testa frullano idee nuove, tra pulizie di Pasqua ed eliminazione di metaforiche foglie secche dalla mia vita, ho sradicato l'Albero delle Polpette e dato vita a un nuovo blog!!! 
Vi invito quindi a proseguire le vostre letture su http://modasenzabito.blogspot.it/, che nonostante il titolo "modaiolo", non ha nulla a che fare col "fashion", ma solo col fascino della vita quotidiana, osservata e raccontata con la solita ironia!!!

Vi aspetto

Chiara

lunedì 9 marzo 2015

5 buone ragioni per leggere le riviste femminili.

Sì, la carta patinata luccica e tutte noi donne (che condividono l'istinto della gazza-ladra) ne siamo affascinate, così come siamo attratte anche dai gioielli e dai dolci; eppure abbiamo imparato a resistere... Le cose costose o sono lussi che ci concediamo solo in occasioni particolari: quando siamo molto felici o molto depresse, così salvaguardiamo sia il conto in banca che la linea. In circostanze "normali" non ci feriamo adoranti davanti alle vetrine dei gioiellieri né saccheggiamo pasticcerie! Per quanto riguarda le riviste femminili, vie di mezzo tra l'almanacco e il sussidiario scolastico, a volte di comprarle non ci viene neppure in mente; sui fatti di politica e cronaca ci aggiorniamo via TG o radio prima di uscire di casa  mentre andiamo al lavoro;  sul gossip ci ragguagliano abbondantemente il barista che ci prepara il cappuccino, la parrucchiera mentre ci spunta la frangia, le colleghe pettegole durante la pausa pranzo; e se avvertiamo un estemporaneo bisogno di sapere come si contrastano i radicali liberi, c'è google sempre disponibile anche 
sul nostro smartphone. Eppure leggere le riviste femminili ci assicura alcuni preziosi (e talvolta insospettati) vantaggi:
 
1. Non spaventare gli uomini. 
É inutile negarlo: gli uomini (anche i più lontani dall'australopithecus) assumono un atteggiamento molto diverso nei confronti di una donzella che si aggira per la giungla metropolitana come una pecora fuori contesto, in abiti da ninfa, piuttosto che davanti a una lottatrice di wrestling in tuta mimetica. Questo perché geneticamente, ad eccezione degli amanti del sadomaso, gli uomini preferiscono le fatine zuccherose e un po' svampite (se anche un po' sceme meglio così si sentono più intelligenti) a quelle che "portano i pantaloni" e affrontano il mondo corazzate di spregiudicata indipendenza; le donne che oltre ai tipici femminei connotati (aurei capelli, bocche carnose, candido petto e magari qualche altra fattezza piacevole su cui posare lo sguardo) esibiscono polso, spirito e metaforici "attributi", che non hanno bisogno di essere difese, accompagnate o soccorse ogni 4 minuti e mezzo, che guadagnano, scelgono, organizzano e che, se non riescono ad aprire un vasetto di sottaceti, imparano ad usare l'apriscatole! Se l'uomo che "non deve chiedere mai" affascina, la donna che si arrangia spaventa. E se ai nostri guys basta vedere una pulzella capace di fare il pieno all'auto da sola per sentirsi sconvolti nel profondo, è inevitabile che si terrorizzino alla vista di una rappresentante del gentil sesso che legge Il Sole 24 ore!!! ... 
Detto questo non dobbiamo rincretinire o vergognarci di possedere un cervello e di saperlo usare, anzi! Soltanto dobbiamo riuscire ad adeguare ogni attitudine alla giusta situazione: io ogni tanto ci provo a sviscerare le notizie del telegiornale delle 8.00 con mio marito e a discutere della guerra in Ucraina, della crisi internazionale, degli attentati terroristici e del surriscaldamento globale mentre lui si rade la barba e io mi passo il mascara...Non c'è storia! Non mi sente nemmeno! Oppure le poche sillabe che intercettano la sue frequenze gli fanno strabuzzare gli occhi e temere che durante la notte mi abbia rapita un UFO! Mentre la stessa conversazione iniziata in un'altra circostanza della giornata può evolvere fino a un gratificante litigio! Il tutto per dire che se volete essere avvicinate da quel tizio carino  timido come un capriolo che incrociate tutte le mattine sull'autobus non trinceratevi dietro un foglio 50x70, non estraete dalla borsetta un bazooka della stampa in quattro lingue, con colonne fitte di titoli di borsa, cifre, percentuali e grafici di funzioni! Non dico di portarsi dietro Harmony ma neppure un pitbull di carta!!!! 
NB. Vale anche per la Gazzetta dello sport; il fatto che sia rosa non la rende "rassicurante" e, a meno che abbiate come obiettivo conquistare il capo ultras di una squadra di calcio, non credo che otterreste l'effetto desiderato!

2.    Trarre consolazione dai difetti delle altre. 
Le donne sono perfide, innanzitutto con se stesse: sono giudici inflessibili, personal trainer spietate, life coach rigide come un agente SS; di fronte al proprio riflesso nello specchio non si lasciano sfuggire un difetto, nella condotta quotidiana si sottopongono ad esercizi psicofisici estenuanti, si torturano emotivamente, combattono professionalmente. Almeno il diritto di voto lo abbiamo ereditato, così ci è rimasto un pochino di tempo per frequentare il corso di yoga o perlustrare mercatini delle pulci... In tutto questo tran tran di torture autoinflitte e punizioni preventive per i peccati della nostra eventuale prossima vita, è terapeutico avere sott'occhio del materiale che ci distragga dalla nostra immagine e su cui poter scatenare la nostra attitudine ipercritica. Scoprire che anche le nostre "colleghe" consacrate come icone della femminilità moderna,  quintessenza dell'attuale ideale di bellezza hanno qualche cmq di buccia d'arancia, un po' di pelle moscia qui e là, e addirittura sporadici brufoli, è un vero trattamento benessere per la nostra autostima! E sebbene questo non serva ad ammorbidire il nostro spirito masochista (chissà perché l'erba del vicino ci appare più verde anche se ci si è riversata sopra una colata di cemento!), riscontrare che tempo e forza di gravità producono i loro impietosi effetti anche tra gl'idoli del piccolo e grande schermo, ci rincuora e ci fa temporaneamente perdonare a noi stesse il fatto di avere una consistenza corporea! 

3.    Conoscere le tendenze e trasgredirle.  
Bisogna sempre essere aggiornati sulle ultime tendenze... soprattutto per poterle trasgredire con cognizione di causa! Per capire da che parte tira il vento del fashion non basta schiacciare il naso sulle vetrine di tutti i negozi delle capitali della moda; bisogna sapere cosa succede nelle "alte sfere" dello styling e conoscere tutti i trabocchetti che qui vengono escogitati, per evitare le alzate di sopracciglia delle commesse un po' altezzose dei negozi di abbigliamento e decifrarne il gergo per capire che non ci stanno prendendo a parolacce! Per esempio: ormai non esistono più i colori; si parla di nuance...e ogni stagione ha la sua! Non si può entrare in una boutique e chiedere un capo o un accessorio banalmente "rosso"; bisogna specificare quale delle 36 gradazioni si intende: amaranto, carminio, ciliegia, corallo, cremisi, magenta, melograno, porpora, rosso cardinale, rosso mattone, rosso pompeiano, rosso Valentino, rosso veneziano, ruggine, scarlatto, terra cotta, vermiglio, ecc. In questo le riviste di moda fungono un po' da vangelo per profani, diffondendo la parola dei "profeti" del glamour a noi comuni mortali, che non "indossiamo" ma "ci abbigliamo", non "sfiliamo" ma "camminiamo", e non abbiamo "outfit" ma solo "vestiti"! In ogni caso, dal momento che la carta patinata non è il Corano, nessuno ci impone di credere indubitabilmente a quel che leggiamo e di agire di conseguenza: se le tinte pastello ci fanno assomigliare a una caricatura della regina d'Inghilterra o i cinturoni all'altezza della vita ci danno l'aspetto di una clessidra, abbiamo tutto il diritto di lasciar perdere! Ed è proprio così che riusciamo a elaborare un nostro "stile", che significa innanzitutto rifuggire lo stereotipo.

4. Prendere spunto. 
Qualsiasi mamma, moglie, fidanzata o single, più meno giovane, che non voglia appiattirsi sulla ripetitività del tran tran quotidiano, è sempre alla ricerca di nuove idee: cosa fare dopo il lavoro, che film scegliere al cinema, quale nuovo ristorante provare, a che eventi partecipare, ecc. 
Il nostro laboratorio prediletto è sicuramente la cucina, non solo in  quanto spazio fisico capace di trasformarsi all'occorrenza in camera oscura, sala ricreativa (per taglio e cucito, pittura su ceramica, pasta di sale, ecc), spazio bricolage, ufficio, deposito, serra, nursery, consultorio per amiche affrante, meeting room per le riunioni di famiglia. Ogni tanto però utilizziamo anche i fornelli secondo la loro originaria destinazione d'uso, e ci impegniamo nella sperimentazione culinaria con lo stesso ardore con cui coltiviamo piantine di legumi dentro lo scolapiatti... Quale occasione migliore di una cenetta tra amici per prodigarsi con qualche nuova ricetta? 
Beh, se in cerca di un input ci avventuriamo tra e pagine di un libro firmato da Sadler, non è improbabile che ci troviamo di fronte a manifesti dell'avanguardismo gastronomico, del tipo "Ravioli di farina di lenticchie, ripieni di ricotta di mandorle, conditi con clorofilla di spinaci, idea di aglio e aria d noce moscata". Oibò! Anche ammettendo che una abbia la buona lena di macinarsi da sola le lenticchie, la forza d'animo di assistere alla fermentazione del latte di mandorla e l'equilibrio interiore necessario a distillare la linfa degli ortaggi (su "idea di aglio" e "aria di noce moscata" non so pronunciarmi!), credo che i "tempi di preparazione" stimati (6-8 giorni) e il "livello di competenza" richiesto (diciamo almeno un diploma di istituto alberghiero, un paio di corsi di cucina professionale e una decade di esperienza presso qualche ristorante pluristellato) scoraggerebbero chiunque! 
Se il nostro scopo non è quello di aggiudicarci il Nobel per la cucina ma solo di sorprendere le papille gustative dei nostri ospiti, meglio rinunciare ai menù ermetici e ripiegare su pietanze "amichevoli", a base di ingredienti accessibili (niente caviale di lumaca, agar-agar o platano), con tempi di preparazione che non comprendano un'era geologica! E anche in questo le riviste femminili vengono in soccorso alla tua creatività: oltre a proporti lavoretti con materiali di recupero, insegnarti l'arte del decoupage o le tecniche dello stencil, o addirittura spiegarti come debellare le tarme o sostituire la corda della tapparella senza precipitare dal quinto piano, comprendono sempre un gruppetto di pagine raccolte sotto un titolo che è soprattutto una promessa rassicurante: "Strategie per non preparare la cena","Il fornello magico", "Pappa bella, buona e veloce", "Menu gourmet in 5 minuti", "Easy microonde", o simili.


5.  Sentirsi "normali".  
Tutte noi abbiamo le nostre "manie": convinzioni più o meno fondate, che possono  trasformarsi in veri e propri "rituali" e anche tramandarsi da una generazione all'altra insieme alla ricetta della pasta frolla e alla biancheria ricamata. 
Ma le nostre stranezze non sono nulla paragonate a quelle delle "stars", e saperlo ci libera in parte dal nostro senso di colpa; apprendere che Gwyneth Paltrow utilizza le "inalazioni vaginali" per sentirsi sessualmente appagata, Katy Holmes segue la dieta dei soli broccoli per rimettersi in forma e Angelina Jolie applica un siero al veleno di vipera per contrastare le rughe, ci rende improvvisamene orgogliose del nostro equilibrio mentale! 
A noi comuni mortali verrebbe mai in mente di farci affumicare le ovaie? 
Certo succede che per spirito di emulazione, qualche "creativo" si metta a giocare al Piccolo Chimico ed escogiti fantasiose reinterpretazioni dei classici "rimedi della nonna". Per questo il web straborda di "ricette miracolose", "pozioni magiche" che farebbero impallidire le streghe di Salem: lo "sciroppo allunga-capelli" (anche ammesso che funzioni -cosa di cui ho i miei leciti dubbi- sfido chiunque a buttar giù tutte le mattine uno shottino di acqua tiepida, aceto e miele senza sentirsi male!), gli impacchi per capelli a base di olio e miele (che una volta applicata e lasciata in posa due ore si toglie solo con l'acquaragia), la maschera antirughe all'uovo o direttamente alla maionese (che schifo...). 
Fortunatamente, consapevoli del fatto che oggi i "rimedi naturali" sono tornati di moda, anche gli autori delle riviste si sono adeguati, e in ogni pubblicazione offrono consigli di medicina dolce e cure omeopatiche, avvalendosi però della consulenza di esperti: soluzioni meno "futuristiche" ma provenienti da fonti più accreditate delle sciamano di turno. Ecco allora che le riviste possono salvarci anche dal rischio di finire intossicate, rapate come marines o puzzolenti di insalata russa!
 

domenica 8 marzo 2015

La palestra della felicità

Dal 6 al 29 marzo 2015 al Teatro Elfo Puccini




Testo Valentina Diana
Regia Elena Russo Arman
Musiche Alessandra Novaga
con Elana Russo Arman, Cristian Gianmarini
Produzione Teatro dell’Elfo
Prima nazionale


Anche alla felicità bisogna allenarsi, passando attraverso l’esercizio della rabbia, della violenza, del desiderio di sopraffazione; e dunque occorre una “palestra” in cui sfogare queste pulsioni, in cui sublimarle catarticamente e scaricare la tensione che suscitano sull’essere umano. Occorre un luogo “sospeso”, fuori dal tempo e dallo spazio reali, in cui vivono creature primordiali o provenienti dal futuro, in cui le teiere parlano (rivelando maggiore saggezza delle creature tradizionalmente reputate razionali) e in cui ci si uccide con pistole di plastica, e per tornare alla vita basta raccogliere una nuova maschera dal pavimento.
Sette scene e una sola storia che si ripete; «non c’è un inizio, non c’è una fine», solo un alternarsi di personaggi umoristici che mettono in scena la natura tragicomica dei rapporti umani: una madre che ossessiona il figlio («troppo sensibile, troppo delicato […] un perdente, un molle») con sproloqui insignificanti suscitati da un aneddoto sulle «cozze»; un donna col mal di testa che chiede al compagno perché, pur trovandola attraente, preferisce il corso di apnea piuttosto che dedicarle del tempo nel week end; un marito razzista e prevaricatore che schiaccia la moglie sotto il peso della sua cultura («Io ho studiato; ho sostenuto due esami sulle figure retoriche nel Petrarca e due esami di semiologia e critica lessicografica nei Vangeli apocrifi […] Se dico una cosa è perché la so […] Se non hai cultura non sei nessuno; tu non hai spessore, non esisti»); una coppia senza figli, con un «rapporto morboso» con i propri pesci («Gli fai del male con i tuoi comportamenti concessivi e lassisti, dandogli da mangiare di nascosto quintalate di plancton») ma di fatto incapace di riconoscersi («Chi sono io per te? […] Chi sei tu che porti la parrucca?») e perfino di litigare.

Vite qualsiasi in scenari domestici, dialoghi inconsistenti (talvolta trasformati in monologhi da personaggi troppo ingombranti), morti tragiche, eccessive e assurde; “scene” (in senso letterale) tenute insieme da due personaggi (Marta e il suo collega attore e aspirante innamorato) che si interrogano su come continuare la recita, su quale parte assumere in modo definitivo e su quale direzione dare alla trama. A loro è affidata la riflessione metateatrale sullo spettacolo fittizio quale “luogo” per dare forma e voce alle situazioni che nella vita realmente vissuta si caricano di un’assurdità, un’ironia e talvolta una tristezza che possono risultare insopportabili: «Se tu mi sposassi, almeno ci sarebbe una storia d’amore»; «Io non posso sposarmi […] l’amore non buca, la morte sì». Dunque il finale di ogni storia (recitata o reale), della vita stessa, del mondo intero, deve essere tragico, perché «quando sembra che non ci siano ostacoli, nessun apparente impedimento al compiersi della felicità, si verificano fraintendimenti, inceppi che ci lasciano tristi, basiti, senza parole: che fregatura».
Lo spettacolo (gli spettacoli?) sapientemente costruito ed egregiamente interpretato dai protagonisti, rappresenta allora una “palestra”, una parentesi di riflessione sull’«umanità che cammina» verso la felicità o la bellezza, portandosi dentro «un qualcosa, che non è propriamente una domanda» ma un desiderio, un bisogno, una ricerca d’impossibile onnipotenza…«mentre a casa, accartocciata in un angolo c’è la vita».
Elena Russo Arman e Cristian Gianmarini, nuovamente fianco a fianco sui palcoscenici dell’Elfo, prestano la loro arte agli appartenenti a questa umanità in cammino, assumendo personalità molteplici (tutte perfettamente credibili pur nella loro carica umoristica) e riservando un piccolo spazio al loro alter ego di artisti, attori che riflettono sull’obbligo di assumere maschere e sostenere il ritmo incalzante di una recitazione capace di garantire il colpo di scena, per non essere «buttati via» come «pedine inutili sulla scacchiera» della triste inutile impotenza umana.



lunedì 2 marzo 2015

Kamasutra fumé

«Nella battaglia del sesso gli amanti, accecati dalla passione e travolti dall'energia impetuosa non fanno attenzione ai pericoli» 
(Vatsyayana, Kamasutra, cap. 12, VI sec. ca)
«Com'è bello far l'amore...con la testa in giù» ... Così avrebbe cantato Raffaella Carrà se avesse assistito alla proiezione dell'ultimo "capolavoro" della filmografia internazionale!
Eh già, ne stanno (s)parlando che per solidarietà mi sento in dovere di associarmi anch'io con polemica gratuita; e per "gratuita" intendo letteralmente "a costo zero", perchè di spendere 12 euro per sciropparmi il film di Mrs James non ne ho avuto l'ardire; per valutarne il livello mi sono bastati il trailer e due o tre riassunti reperiti su web e giornali, le testimonianze dirette delle amiche che hanno letto il romanzo.
La trama è inverosimile, improbabile, assurda e insignificante; gli interpreti scontati, prevedibili, ripetitivi fino allo stereotipo: lei con il suo aspetto da cerbiatta spaventata, gli occhioni da peluche (ricorda vagamente Lucia Mondella), l'animo puro e il corpo casto, si affida al suo carnefice (il classico bellimbusto, tronfio come un pavone) e ne diviene volontariamente vittima, allo scopo di riscattare entrambi. Perché fin dal primo incontro la piccola Anastasia (così si legge in molte presentazioni della pellicola) "si rende conto che Christian è un uomo oscuro, il cui apparente splendore nasconde una persona piena di segreti." Un genio! E dire che non studia neppure una psicologa bensì Letteratura inglese!
Ora, qualcuno mi dica quante probabilità ci sono nella vita di una persona normale di vedersi chiedere dall'amica direttrice del giornale universitario, di sostituirla d'emblée per un'intervista a un amministratore delegato, ricco, giovane, (teoricamente) affascinante? Riuscire a sedurlo e finire per condividerne l'esistenza in una casa paragonabile alla Reggia di Versailles, per essere scarrozzata su auto di lusso, elicotteri, alianti acrobatici, ecc? Certo, tutto ha un "prezzo": il fascinoso magnate impone alla dolce pulzella l'iniziazione all'ars amatoria più perversa, al sesso circense, alla versione caricaturale dell'erotismo esotico. E lei, guarda un po', non sembra disprezzare la situazione, anzi: non solo si gode l'attimo, ma si convince di aver trovato la chiave per redimere il suo focoso (perverso) amante, liberandolo dai fantasmi di un'infanzia traumatica (capirai!). Su queste note, tra piroette e contorsioni, strumenti assurdi e godimenti incomprensibili, la vicenda procede fino all'abbandono finale da parte di lei, che si riscatta dalla sua volontaria sottomissione per scoprirsi, di fatto, "dominatrice". Ode alle donne di buona volontà!
Questo, in 20 righe, il succo insipido dell'intreccio, sul quale l'autrice è riuscita a scrivere tutta una trilogia e su cui l'industria cinematografica statunitense ha investito 40 milioni di dollari...
Il film è stato distribuito in 39 Paesi, ha incassato un totale di 311 milioni di dollari entro i primi otto giorni dall'uscita nelle sale (di cui 8,5 in Italia); sono stati veduti 2,75 milioni di biglietti, di cui 180.000 in prevendita! E la maggior parte degli spettatori sono di sesso femminile.
E va bene, dichiamolo dopo secoli, di pudico silenzio (e tacita bigottaggine), l'erotismo è diventato argomento trendy, cool, hard, in, conteso tra negozi di parrucchieri, bar, spa, centri estetici, uffici, mense, tram... Non so se dobbiamo ringraziare le femministe degli anni 60 e i loro falò di reggiseni (quanta biancheria vintage sprecata!) o i figli dei fiori.... Sta di fatto che dopo il primo "La" della liberazione sessuale, noi donne ci abbiamo costruito sopra tutta la scala musicale, completa di diesis e bemolle... In questo settore siamo arrivate tardi, così come siamo un po' anacronistiche in fatto di apparati riproduttivi e tabù correlati: fino a pochi anni fa si raccomandava di non lavarsi i capelli durante il periodo etichettato come "Quei giorni" e addirittura si riteneva che una donna non potesse svolgere il mestiere di medico, avvocato e poliziotta perché il ciclo ne avrebbe condizionato la capacità di giudizio!
Oggi abbiamo intrapreso un'opera di "svecchiamento" d'immagine dei nostri attributi, e siamo maggiormente consapevoli della loro (piacevole) utilità. Siamo un po' più "libere", curiose  ed "esigenti"... e siccome anche in quest'ambito la globalizzazione ha prodotto i suoi effetti, ci interessiamo di usanze orientali e tradizioni molto più antiche delle nostre favole a base di cavoli e cicogne. Certo, dal punto di vista "didattico" è interessante scoprire che secondo la cultura hindu esistono 8 modi di fare l'amore, e che ognuna prevede 8 posizioni, per un totale di 64 "Arti", ciascuna associata a un nome di animale e descritta nel famoso Kamasutra, vera e propria "guida tecnica" al godimento erotico scritta nel VI secolo d.C.  Ancora prima, figure femminili come l'imperatrice Cleopatra o la leggendaria regina assiro-babilonese Semiramide divennero famose per i la loro lussuria e la capacità di ammaliare i loro amanti. Omero racconta di come la bella maga Circe trasformasse gli uomini in animali, invece Ovidio, nel suo poema didascalico intitolato Ars amatoria offre agli uomini strategie di conquista delle donne e alle donne consigli su come attrarre il proprio amante.
Insomma l'argomento in se non è una novità, e di esibizioni eroiche più o meno pretenziose ne sono passate tante. Ognuno ha la propria da dire, come sui rimedi per la stitichezza o i modi migliori per cuocere il pesce... Pur non volendo trinciare giudizi, personalmente non so come si possa apprezzare il momento legati come un arrosto o avviluppati come una pianta epifita; anche a patto di avere ottime capacità di contorsione e la capacità di respirare con le orecchie, resta sempre l'elevato rischio di restare incastrati in posture poco raccomandabili e imbarazzati da spiegare al pronto soccorso...
Ma a parte questo, quello che fa riflettere è l'impazienza con cui nugoli di donne si sono assiepate a precipizio a far la fila davanti alle biglietterie nella speranza di vedere chissà che... Romanzo alla mano per spuntare le corrispondenze e rintracciare le discrepanze. Mi sfugge lo scopo di tanto entusiasmo... Un insospettabile ritorno del bisogno di favole? La speranza di un revival di Cenerentola in versione sadomaso, o di una rivisitazione licenziosa di Bianca Neve? Ci interessa la favola (che già sappiamo improbabile e irrealizzabile nella realtà) o gli orpelli piccanti di contorno? Cerchiamo sublimazione a desideri che non avremo mai né il coraggio né l'occasione di realizzare, o spunti da applicare nella vita reale? E insomma, servono 40 milioni di dollari per accendere l'immaginazione del pubblico con un po' di sesso strano? (peraltro, giustamente, neppure rappresentato ma solo alluso).
E che non mi si racconti la balla dell'interesse per gli "aspetti psicologici della vicenda" e la "complessità interiore dei protagonisti"... perché non mi risulta che tanto ardore psicanalitico sia stato suscitato da film come "The hours" (Stephen Daldry, 2002), "Caos calmo" (Antonello Grimaldi, 2008), "Il bambino con il pigiama a righe" (Mark Herman, 2008), ecc. E non credo neppure si possa parlare di rivendicazione della libertà sessuale femminile o di  riscatto della vittima che finisce per sopraffare il suo carnefice!
Anche le nostre nonne lo facevano! Ma per emozionarsi non dovevano sperare che il nonno le legasse allo spiedo o si calasse dalla canna del camino travestito da super eroe! E certamente non erano disposte a farsi cospargere di miele o altre schifezze per vivacizzare la situazione.
Oggi invece a quanto pare la massima aspirazione erotica è il caos; vogliamo tutto contemporaneamente, al punto che se ci si distrae un attimo non si capisce più se si è a lezione di yoga, ad un appuntamento romantico, al circo, in mezzo alla scena di un crimine o al ristorante... Ma siamo sicuri che così funzioni?
Intanto ci aspetta il seguito della trilogia... Altre 100 sfumature rispettivamente "di Nero" e "di Rosso"...  Che tutto questo "sfumare" serva a farci scoprire nuove frontiere della libido? O l'unico effetto sarà quello di far calare sull'argomento una nebbia ancora più densa facendoci perdere definitivamente la direzione per il "punto G"?


Mi resta un'ultima domanda: Kate, l'amica "Galeotta" della protagonista, che si fa sostituire da Anastasia per l'intervista a Christian Gray, potrà mai perdonarsi di aver perduto l'occasione di un'esperienza simile??? Avrà mai ricevuto un cestino di frutta in segno di riconoscenza da parte dell'amica? Mah...

sabato 21 febbraio 2015

Ospiti


Teatro San Babila
Dal 20 febbraio al 1 marzo
Cesare Bocci, Marco Bonini, Eleonora Ivone
(testo e regia di Angelo Longone)

Ospiti




Un grande successo al teatro San Babila per la prima dello spettacolo Ospiti, la commedia scritta e diretta da Angelo Longoni, che porta sul palcoscenico gli aspetti tragicomici dei rapporti di coppia, tra matrimoni finiti, separazioni non accettate e relazioni iniziate per uno scambio di persona.
Magistrale l'interpretazione di Cesare Bocci, Eleonora Ivone e Marco Bonini, che prestano le loro voci e i loro gesti rispettivamente a Leo, uno scrittore comico «alcolista, cinico e misantropo» («Io non odio l'Umanità; odio tutte le persone prese una per una»; «La casa piena di gente? Meglio una colica!»), con una recente separazione alle spalle, il «terrore dei sentimenti» e una concezione del matrimonio come condanna all'ergastolo; Sara, un'aspirante attrice «masochista, con la "Sindrome di Stoccolma"» («Amavo il mio aguzzino») ma anche una laurea in antropologia e tanta voglia di vivere; Franco, un ex fidanzato «paranoico, ossessivo-compulsivo, peggio della Gestapo», che crede la gelosia sia «un afrodisiaco» ed è incapace di accettare l'abbandono :
«Se non mi ami non fa niente: posso farlo io per tutti e due»; «L'ho seguita, spiata, minacciata, picchiata...ma solo per convincerla che l'amavo...e comunque le ho sempre chiesto scusa».
Tre personaggi disadattati, le cui vicende si intrecciano sullo sfondo di un equivoco, uno scambio di identità che porta Leo al centro della vita dell'affascinante e sconosciuto Giorgio, prendendone in affitto l'appartamento e in prestito gli abiti, ricevendone le telefonate e le visite, sostituendosi a lui nella relazione con Sara e dunque nella rivalità con Franco. La figura di Giorgio diviene una sorta di alter ego ideale con cui entrambi i protagonisti vorrebbero identificarsi, per sottrarsi alla propria insicurezza, riscattarsi dalla disperazione e dal fallimento della loro vita sentimentale; ma qualsiasi tentativo di sfuggire alla loro identità («Hai fatto bene a lasciarmi; anch'io mi lascerei, se potessi») o di annebbiare la consapevolezza di sé per mezzo dell'alcool («Il fegato è un organo sopravvalutato»; «L'alcool aiuta a vedere le cose con più lucidità») non farò che approfondire in loro la convinzione che «Ci toccherà la fatica di essere noi stessi» o di scegliere il suicidio, «la peggiore forma d'impazienza» verso un risultato cui comunque la vita "porta naturalmente" («Essere innamorati non è un problema: prima o poi passa»).
Molto diversa la personalità di Sara, che s'improvvisa simpatica «psicologa in body di leopardo» e con femminilità, intelligenza e coraggio sconfessa lo «stereotipo della coppia» («Tutti si sposano per narcisismo») e dirige le vicende degli uomini che la circondano, affermando la propria indipendenza, difendendo la libertà conquistata e il diritto di "dire no" anche a costo di prendere a calci il passato dall'eleganza delle sue scarpe di vernice rossa (con tacco).
In questa commedia, il cui finale resta sospeso tra una dichiarazione d'amore e una pistola inceppata che però ricomincia a funzionare, il sesso "debole" prende la propria rivincita sulla prevaricazione dell'uomo, che si rivela qui infantile, capriccioso e incapace di accettare le sconfitte, i rifiuti, gli insuccessi personali, rifugiandosi nell'autolesionismo o nella violenza.

«Ti sembrerà strano, ma alle donne non piace essere picchiate. Tranne ad alcune. Ma quelle le riconosci:  indossano delle tute in latex, usano le fruste e hanno delle manette appese al fianco!».

 Sta alla donna, in fondo incompresa nella nuova immagine e nel nuovo ruolo sociale che è andata costruendosi, il compito di difendersi, di gridare la propria volontà, di ridisegnare i confini della sua indipendenza, con eleganza, provocazione, ironia e decisione. Perché anche ai lei tocca la "fatica di essere se stessa", ma sembra riuscire a farlo con disinvoltura, determinazione e apparente leggerezza, senza maschere e senza espedienti, che non siano scarpe col tacco e un body di leopardo un po' scollato... ma non troppo.






giovedì 22 gennaio 2015

lessemi e lenticchie


Da  «adulescere» a «zoccolaggine»: 1.500 nuove parole nello Zingarelli 2014.

New-entries: «inzitellito», «rosicone», «shortino» e «hasthtag»

Mentre il termine «rottamatore» si arricchisce del significato di «renziano»…



Il vocabolario della lingua italiana vanta un patrimonio stimato tra i 215 e i 270.000 vocaboli (sebbene le parole “dicibili e scrivibili”, cioè le “forme di lessemi” siano più di 2 milioni); un numero in costante aumento viste le continue acquisizioni che il lessico fagocita: neologismi, prestiti interlinguistici, neoformazioni, prestiti dal linguaggio tecnico o giovanile, lessico settoriale, voci gergali, regionalismi e dialettismi divenuti d’uso, alterazioni (mediante prefissi, infissi e suffissi).
Di questa promiscuità lessicale, 47.000 vocaboli costituiscono il cosiddetto “linguaggio comune”… insomma l’italiano pret a porter, alla portata di tutti gli individui che abbiano superato la fase di alogon zoon (“animale afono”); le statistiche ne concedono 6.500-7.000, il cosiddetto “vocabolario di base” che copre il 95% dei discorsi comuni a coloro che non siano proprio capre spinte fuori dal sistema scolastico a calci nel didietro, di cui 2.000 voci costituiscono il lessico detto “fondamentale” (insomma quello che di poco ci discosta da “Fido”). Chi invece avesse qualche aspirazione "erudita" dovrebbe locupletare il proprio vocabolario con altre 2.500 voci considerate di livello medio-alto (quello che copre appena il 6 % dei nostri discorsi) … il fatto che comprenda «idiota» e «impaurire» ci restituisce la catastrofica immagine della competenza linguistica italiana...

La colpa? Ricominciare la tiritera di scuola, famiglia, TV, giornalisti analfabeti, ecc. è "anacronistico", "obsoleto" (e chi non sa cosa vuol dire se lo vada pure a cercare sul dizionario!). 


Non voglio qui addentrarmi nel ginepraio della polemica, anche perchè non ho alcuna velleità di "cruscante" e l'unica "crusca" che al momento rientra nell'orizzonte dei miei interessi è quella (con la minuscola) contenuta nel muesli della colazione; sullo sfacelo dell'italiano "standard" (definizione accattivante per indicare la diffusa ignoranza camuffata da "consuetudine" comunicativa) mi soffermerò un'altra volta.

Però mi concedo una breve considerazione: noi poveri esseri umani evolviamo dallo stato animale e ci conquistiamo la dignità di essere finalmente considerati creature razionali dal momento in cui cominciamo a padroneggiare il linguaggio, per esprimere pensieri, volontà, consapevolezza mediata di noi stessi e del mondo che ci circonda… Nel momento in cui smettiamo di balbettare “Ua-Ua” e cominciamo a chiedere “Acqua” e quando anche per noi il "bau" diventa un "cane", ci conquistiamo a pieno titolo l’ammissione nella comunità degli esemplari senzienti.

Eppure non si sa per quale strana evoluzione, per un verso o per un altro, finiamo con l’esprimerci come dei ruminanti trogloditi o come dei veri e propri alieni col cervello sciroppato dalle radiazioni dei cellulari. E mentre le "Tre corone", i padri del dialetto fiorentino trecentesco, si rivoltano nei loro sepolcri noi ci affidiamo agli Smart phone: i cellulari “intelligenti”, tanto che riescono a sapere prima e meglio di noi cosa intendiamo scrivere al nostro interlocutore virtuale e accorrono in soccorso della nostra incompetenza linguistica con provvidenziali “suggerimenti”. Pazienza se poi invece di un “consiglio” inviamo un “coniglio” e invece che imporre a qualcuno “smettila” gli chiediamo un “alettone”… conserviamo i neuroni in gelatina, non si sa mai che un domani potremo venderli o cederli in comodato d’uso…

“Tvb, kk, tt, nn, xkè, wfq”, ecc…Avanguardismo linguistico? No, soltanto che col nuovo millennio siamo diventati non solo intolleranti al glutine e al lattosio ma anche allergici alle vocali e alla subordinazione; le care buone vecchie proposizioni relative, completive, infinitive oggettive…!!! Chi le ricorda più?  Oggi tirano forte italiano standard e lo stile “brillante”, giornalistico e un po’ antipatico... Ed è la diaspora dei significati!


Tornando al nostro vocabolario interiore: della sterminata varietà linguistica potenzialmente disponibile, dobbiamo togliere la percentuale delle parole che non conosciamo (cioè quelle udendo le quali assumiamo la significativa espressione da triglia bollita) e quella delle voci che ci asteniamo dal pronunciare (o perché pur essendo giunte alle nostre orecchie non sapremmo inserirle correttamente in un discorso o per evitare che il 98% dei nostri interlocutori le interpreti come primo sintomo di un nostro ictus imminente... o dia un'occhiata alle nostre spalle per scoprire se ci sta spuntando la coda a seguito di un rapimento alieno!). Ci sono poi le parole che tutti sanno, dicono e pensano, ma da cui sono ufficialmente “astemi”: per esempio le parolacce, più o meno “raffinate” o i “neologismi domestici”, fenomeni associativi per cui l’accappatoio diventa acchiappa-topi e il dentifricio si trasforma in un discriminante dentifrocio, oppure con un’immotivata “metatesi” le pantofole si mutano in panfotole.

Sono i nostri salvagenti mentali, gli strumenti che ci inventiamo per sublimare le nostre carenze espressive e tappare i vuoti lessicali: tutti noi abbiamo (più o meno consapevolmente) un vero e proprio "sgabuzzino" interiore, in cui releghiamo scope e parole. Ci ficchiamo dentro, destinandole a immeritato oblio anche quella sfilza di termini che ci costringono a imparare in prima elementare e il cui unico scopo apparente è quello di far divertire sadiche maestre, mentre correggono disastrosi dettati a colpi di penna rossa.

Esempio: "soqquadro". É una di quelle parole che suonano simpaticamente inutili (se non a scopo illustrativo) che ti insegnano insieme a far germogliare le lenticchie nelle confezioni delle uova riempite di ovatta (come se la massima aspirazione di tutti gli alunni di sei anni per il loro futuro fosse quella di avviarne una coltivazione domestica, affermando la propria autarchia alimentare!) e che sai già che userai un paio di volte al massimo in tutta la vita, e che entrambe le volte suderai freddo di fronte alla chimera della doppia Q!!!

Ma anche al trauma del "soqquadro" si sopravvive... così come si supera il dilemma tra valige o valigie, coscenza o coscienza, familiare o famigliare... Finiamo le elementari, ci barcameniamo tra medie e superiori... I più ambiziosi (o i figli di genitori ambiziosi) finiscono all'università per conquistarsi qualche altro acrostico da premettere al proprio cognome. Il mondo pullula di "Avv.", "Dott.", "Arch.", "Ing." che non hanno ancora superato l'epoca in cui coltivavano lenticchie nell'ovatta e non sanno che l'"abbrivio" non è uno dei sintomi dell'influenza, che l'"Alchermes" non è un paese del Medio Oriente,  la "Salmonella" non viene servita come antipasto nei ristoranti di lusso e che essere "automuniti" non significa avere un deficit fisico inguaribile...

Forse allora, ripensandoci, le maestre che tentavano di iniziarci alla coltivazione dei legumi avevano lungimiranza sui tanti somari che avrebbero fatto meglio a sostenere l'agricoltura nazionale piuttosto che ad appollaiarsi dietro alle scrivanie dandosi aria di gran signori. Eppure ormai si sa: anche alle piante bisogna parlare... e con un vocabolario sterile come l'Atacama, al massimo possiamo sperare che cresca qualche cactus o una colonia di licheni...


















sabato 17 gennaio 2015

Il (pro)fumo di un'altra...









Sì, questo mondo è piatto, e quanto all'altro, frottole.
Senza speranza vado mansueto alla mia sorte;
per ammazzare il tempo, aspettando la morte,
fumo in faccia agli dei sottili sigarette.

Su, viventi, affannatevi, o scheletri futuri.
Me, l'azzurro meandro che verso il cielo si torce
mi sprofonda in un'estasi infinita e m'addorme
come ai morenti aromi di mille bruciatori.

Ed entro nel fiorito eden dai sogni chiari,
dove elefanti in fregola si intrecciano alla fioca
danza delle zanzare, in fantasiosi valzer.

E quando poi pensando ai miei versi mi scuoto,
contemplo, il cuore pieno di dolce gioia, il caro
mio pollice arrostito come un cosciotto d'oca.

(Jules Laforgue, La sigaretta)


Cica, cicca e chica... Dal latino cicus o ciccus, "pellicola sottilissima che avvolge i semi dei frutti" o, nell'uso metaforico, "un nonnulla", "un minimo"... Considerando l'origine comune, mi chiedo per quale delirante scherzo etimologico si sia passati da "buccia" a "ragazza" ma anche a "mozzicone"... ma non posso esibire una competenza plurilinguistica sufficiente per ritenermi offesa dall'accostamento.  In fondo a separare i tre concetti c’è non solo una consonante ma nientemeno che la caduta dell'impero romano d'Occidente (!)... con conseguente minestrone di lingue romanze.
In ogni caso, per i devoti del dio Tabacco, l'associazione dell'immagine femminile alla sigaretta potrebbe non essere così stravagante. 
Primo piacere del mattino, virgola affascinante tra le labbra di Hanfry Bogart, ultimo desiderio dei condannati a morte nei film americani, la sigaretta rappresenta per qualsiasi dissoluto fumatore un vero e proprio oggetto del desiderio, una un'amica, una compagna con cui condividere momenti di stress o relax... insomma, quasi un'amante da taschino! Esile, bianca e taciturna come una Geisha... Tanto che alcune mogli ne sono gelose.
Certo, alzarsi nel cuore della notte e trovare il proprio consorte chiuso in bagno, seduto sulla tazza in pigiama, mentre si inebria di nascosto dei fumi di una Marlboro, è un po' triste... Forse un tempo eravamo noi il motivo per cui si destava anelante... Però diciamoci la verità: essere svegliate alle tre del mattino per fare "Picci-picci" può essere piacevole per il primo anno di fidanzamento (facciamo due?), ma non oltre! Dopo qualche tempo di menage coniugale il sonno diventa un territorio sacro, il regno di una pace inviolabile... E il nostro spasimante rischierebbe di vedersi ricambiato l'entusiasmo notturno con una gomitata in un occhio!
Non possiamo negare che a confronto con una consorte un po' lunatica, che si aggira per casa coi bigodini sulla testa e la faccia coperta di argilla color ramarro, la sigaretta può offrire almeno il conforto della stabilità e assicurare 8 cm di godimento, senza gli svantaggi dei preliminari o delle sfuriate domestiche.
Una donna non si può portare nel taschino in una pratica scatoletta, né (in linea di principio) farla pendere a lungo dalle proprie labbra; ogni tanto potrà fumare di rabbia...ma non è concesso capovolgerla in un piattino e porre fine ai suoi capricci... Non si può spegnere a comando una moglie né cambiare marca di fidanzata. E poi con una donna "accesa" non c'è "filtro" che tenga: dice tutto quello che pensa... e dopo l’incendio  si raccolgono le ceneri...
Ma non mi è ancora capitato di vedere una sigaretta che faccia la spesa al supermercato, cucini, carichi la lavatrice, organizzi feste di compleanno, pianga per film lacrimevoli, canti sotto la doccia, litighi col navigatore satellitare in auto, addobbi l'albero di Natale, faccia le ore piccole per cucire ai pargoli i costumi per la recita scolastica... In fondo se 9 volte su 10 i mariti che "escono a comprare le sigarette" poi tornano a casa, ci sarà un motivo!
Allora, o lussuriosi della nicotina, perdonateci il difetto di essere un po' più bisbetiche della vostra amante fumosa e attraverso la cortina sottile di fumo dietro cui vi schermite, riconosceteci per quelle che siamo, eravamo e saremo sempre, magari con qualche ruga in più o qualche capello in meno... tra i "meandri che si torcono verso il cielo" in volute danzanti, continuate a respirare anche il nostro aroma di casa, caffè, shampoo, pioggia e bambino... e magari, tornando indietro dal tabaccaio, ogni tanto portateci un fiore.