mercoledì 22 ottobre 2014

Il "ritratto" di una vita.

Ritratto di signora
Henry James
(1981)
Newton & Compton Editori
pp. 477
In circostanze adatte, poche ore nella vita sono più piacevoli dell'ora dedicata alla cerimonia nota come tè del pomeriggio. Vi sono cicostanze in cui, sia che si prenda sia che non si prenda parte al tè [...] la situazione è in se stessa deliziosa. (p. 23)

Malgrado l'aspetto "salottiero" e "frivolo" dell'esordio, affacciato sul panorama assolato e luminoso della tenuta inglese di Gardencourt, il romanzo non si riduce a una superficiale rappresentazione du circostanze mondane e dame "frullanti" nel loro abbigliamento vaporoso. L'apparente astrattezza temporale (l'"ora del tè" come limbo tra luce del pomeriggio e ombre della sera) e la sospensione spaziale (l'Inghilterra come ponte tra Vecchio e Nuovo Mondo e il giardino come locus amoenus) vengono smentite da una narrazione che che si addentra nella complessità dell'esistenza interiore, della psicologia umana e femminile in particolare, nei meandri della coscienza e nel gioco di ruoli in atto in una società (quella moderna) in evoluzione.
Al centro dell'opera, soggetto del "ritratto" che progressivamente si delinea, è Isabel Archer, una giovane americana, di condizione modesta ma di brillante personalità e acuto intelletto, che vive nella monotona Albany, lontana dal traffico di uomini e idee; dopo la morte del padre, per soddisfare il proprio desiderio di conoscere e di "vedere la vita", ella accetta di seguire l'eccentrica zia Lydia Touchett nella sua dimora fiorentina e nei suoi viaggi in Europa, passando prima per la tenuta inglese di Gardencourt. Qui risiedono lo zio e il cugino di Isabel, Ralph Touchett, malato e destinato a prematura morte, costretto perciò ad amare la cugina "senza speranza", eccetto quella di vederla
librata in alto, nell'azzurro... a navigare nella viva luce, sopra la testa degli uomini (p. 286). 
Proprio per preservare questa sua possibile, sconfinata indipendenza, quella "libertà" che per la giovane costituisce un valore assoluto e un all'apparenza irrinunciabile, Isabel respinge le proposte di matrimonio avanzatele dapprima dall'aristocratico Lord Warburton, e poi dall'industriale americano Caspar Goodwood. Ciò che ella di fatto rifiuta è l'istituzione stessa del matrimonio, intesa come limitazione della sua indipendenza personale, della sua curiosità di scoprire da sola, senza l'aiuto di un uomo (seppur intelligente) come vivere. Ma una volta divenuta ricca ereditando parte del patrimonio dello zio per volontà di Ralph, Isabel si troverà a dover affrontare il lato più ipocrita della società e l'aspetto oscuro dell'esistenza; lentamente, vedrà tessersi attorno una rete di lusinghe e relazioni interessate (quella con la carismatica e sfuggente Madame Merle e quella con il futuro marito Gilbert Osmond), di segreti, menzogne e silenzi, fino a scoprirsi, prigioniera di un'immobilità in netto contrasto con i suoi ideali giovanili, con il suo desiderio di libertà
Mi piace troppo la mia liberà. Se c’è una cosa al mondo di cui vado pazza […] questa è la mia indipendenza personale (p. 144).  

Affascinata e ingannata, irretita in un matrimonio senza gioia, con un personaggio "decadente", indifferente alla vita, collezionista di oggetti "belli" ma senz'anima, Isabel sacrificherà la seconda fase della propria esistenza in uno stato di mortificazione e umiliazione intellettuale, in un'attesa immobile e senza scopo di un penoso futuro.
Quella raccontata in Ritratto di signora non è infatti la storia di un fallimento amoroso, bensì, più tragicamente, la storia di una rinuncia, di una sottomissione del proprio desiderio alla volontà altrui. Quella rappresentata è la progressiva perdita di entusiasmo imposta alla protagonista, che annulla se stessa smettendo di essere la "signorina Archer", creatura viva, mobile, affacciata alla vita attraverso "mille finestre", per trasformarsi ella stessa in uno degli oggetti inanimati conservati dal marito nel privato museo della loro esistenza comune.

Nel rappresentare la "persona" di Isabel, Henry James costruisce un "ritratto astratto": la protagonista è presentata come uno «spirito alato», desideroso di movimento e di volo, elevata alla nobiltà del sentimento e del pensiero, e al tempo stesso "ridotta" a quegli aspetti della sua personalità che saranno progressivamente nullificati.
L'autore, e con lui il lettore, sembra dimenticarsi che, sotto la «massa di drappeggi» dei suoi abiti e la sua «testa intelligente» adornata da «un'acconciatura maestosa», la protagonista possiede quel corpo "ancora snello" che sembra essere l'unico legame con quella vita che ella è desiderosa di "vedere" e "conoscere", anche senza toccarla direttamente:
No, non desidero toccarla, la coppa dell'esperienza. E' una bevanda avvelanata! Voglio soltanto vedere ci miei occhi (p. 136)
L'immagine "concreta" di Isabel rimane sempre in qualche modo nascosta, dapprima dietro la luce della sua vivezza intellettuale e introspettiva, dalla sua «straordinaria profondità» e «nobiltà d'immaginazione», al suo «temperamento insieme perentorio e indulgente», poi sotto la «maschera» che le copre interamente il volto, dipingendovi una «serenità» che non è «un'espressione» ma piuttosto «una rappresentazione [...] addirittura un manifesto pubblicitario». 
Così la descrizione tutta "introspettiva" e "astratta" della protagonista è condotta dapprima attraverso il monologo interiore, che testimonia le sue frequenti «compiaciute ispezioni nel campo del suo carattere», poi, in misura crescente, attraverso riflessioni e discorsi che altri personaggi conducono su di lei, con un mutamento di prospettiva che vuole essere il riflesso stilistico della sua perdita di libertà e di facoltà di "movimento".
Se Isabel possiede «una grandiosità e uno splendore» paragonabili a quelli degli altri personaggi femminili che la circondano, progressivamente tali sue caratteristiche si trasformano negli aspetti superficiali di un "ritratto", di una "rappresentazione"; la sua immagine non riflette più «la ragazza, viva» che era, ma è ridotta alla funzione di mero "ornamento", oggetto da collezione del marito.
Privata della sua natura e ridotta al nuovo ruolo di "Lady", Isabel smette di essere "persona" per divenire "ritratto", mirabile forse, ma privo di vita. E se addirittura la morte appare all'ormai "signora Osmond" un'alternativa preferibile all'infelicità presente, sarà proprio una morte, quella imminente del cugino Ralph, a offrirle una possibile via di fuga, l'occasione per opporsi al marito e tornare a Gardencourt, dove sembra prefigurarsi per lei la possibilità di un nuovo inizio, di una nuova libertà, di un ritorno alla vita desiderata e sprecata.
Il romanzo si conclude così come era iniziato, con l'assenza della protagonista, nuovamente in viaggio: non più in partenza verso la piacevolezza ignota dei suoi sogni di libertà, bensì di ritorno nell'angolo buio e immobile di mondo in cui il marito la tiene prigioniera.
Di fatto l'opera termina senza una vera e propria conclusione: Isabel torna a Roma con la nuova consapevolezza di un'alternativa possibile, con la conferma che oltre le mura di Palazzo Roccanera, ferve ancora la vita un tempo desiderata, si distende ancora vasto il mondo sognato, con le sue innumerevoli finestre.
Sta al lettore immaginare l'uso che Isabel farà di questa nuova consapevolezza e del resto della sua vita: l'allontanamento da Roma ha aperto uno spiraglio nel "muro cieco" che è l'esistenza di "Lady Osmond"; all'eroina resta la scelta se cogliere l'occasione per spalancare nuovamente qualche finestra del suo futuro o rinunciare per sempre a ogni raggio di luce proveniente dal mondo "di fuori".

giovedì 2 ottobre 2014

Il prezzo del "low cost"

Viaggiare, Ulisse lo sapeva bene, è un'impresa, una vera e propria professione...Certo, l'eroe omerico doveva sottostare a divinità avverse, tempeste e venti contrari....in compenso però non si trascinava dietro la moglie Penelope, il figlio Telemaco né il cane Argo...non doveva preoccuparsi di chiudere casa a Itaca né di prenotare in anticipo stanze di hotel o di rinnovare il passaporto.
Il viaggiatore moderno deve arrabattarsi con i preparativi e le disavventure "pre" partenza e "durante" vacanza...e in più fare in conti con "Penelopi" che non hanno più nessuna intenzione di starsene a casa a sferruzzare con gli strumenti dell'arte "filanda", accontentandosi di una collana di lapislazzuli recata come souvenir dal consorte dopo 20 anni di viaggi, ma vogliono essere scarrozzate per il mondo con il loro seguito di bagagli, eventuali figli e animali domestici...
 
Non possiamo immaginare cosa (a parte l'ovvio telaio!) la cara Penelope avrebbe costretto Ulisse a caricare sulla sua nave, ma volendo guardare a qualche esempio più recente di viaggiatrice femminile possiamo citare un elenco di regine, imperatrici o "umili" principesse, che si spostavano dalla loro reggia portandosi appresso
appresso mezza corte (in termini di vestiario, servitù e mobilio).
Concediamo allora ai nostri "eroi" moderni il merito di essersi rassegnati a farci da Ciceroni internazionali, ma a noi damigelle il fatto di essere diventate molto più parche in fattodressing; invece di bauli di abiti e gioielli, carrozze di dame di compagnia, paggi e ancelle...noi ci siamo adattate a cacciar quattro stracci in uno zainetto che, purtroppo per noi, non ha la capienza della borsa di Mary Poppins...
Tutta colpa delle regole sempre più restrittive imposte dalle compagnie aeree: niente liquidi nè oggetti metallici o acuminati; dunque nulla di tutti i nostri accessori e cosmetici...pinzette, lime, rasoi, creme, trucchi...tutto ciò che ci servirebbe per mantenere la nostra quotidiana (domestica) fisionomia e non trasformarci in mutanti alieni... Sì perché un paio di settimane in trasferta senza tutti i nostri segreti miracolosi sono capaci di rendere la nostra capigliatura un ciuffo di pannocchia, un  vello di capra ispida e irsuta, i nostri talloni zoccoli di Hobbit, le nostre sopracciglia setole di cinghiale! Siamo fortunate se non ci crescono i baffi...
 E tutto questo perché? Perché basta un semplice click sulla casella tentatrice "bagaglio", durante la prenotazione on line, per trasformare il prezzo di un biglietto aereo in classe economica, in quello di un posto business class- lusso! Dunque un viaggio risparmioso, con solo bagaglio a mano (che è poi uno zaino super pesante, stipato fino all'inverosimile, nella fiduciosa speranza di non doverlo MAI aprire prima di essere giunte a destinazione!) può trasformare una piacente pulzella in un'orco...e la metamorfosi comincia già in aereo, con le gambe che, dopo 5 (6? 7? 13?) ore di volo assumono le dimensioni di polpacci di dinosauro...
Ci consola soltanto il fatto che anche il turista uomo viene maltrattato: ci fa un'immensa tenerezza vedere interminabili file di distinti signori al check-in, radiografati al metal detector, che si reggono i calzoni coi denti per non restare in braghe, perché hanno dovuto depositare la cintura negli appositi cestini....e intanto vengono palpeggiati dalla guardia giurata che cerca un bazooka nascosto sotto una loro ascella, mentre cercano di spiegare in inglese singhiozzante che hanno semplicemente un pace maker nel cuore (e sarebbero disposti a scorrere sotto i roengten insieme al loro zaino per dimostrarlo!)!
Intanto noi donne dobbiamo assistere alla vera e propria "violenza" del nostro bagaglio, "sventrato" come un pesce morto sotto i nostri occhi impotenti, dalla guardia compiaciuta alla ricerca del mascara che abbiamo dimenticato di esiliare dal beauty case, per confinarlo nel sacchetto trasparente insieme agli altri liquidi...(così scopriamo che anche il mascara è considerato "liquido"...e intanto 30 finiscono nell'immondizia aeroportuale"!).
Superata questa iniziazione, veniamo relegati nel limbo dei "gate", luogo di purgatoriale attesa per l'imbarco, vero e proprio deserto aeroportuale privo di negozi, bar o qualsiasi piacevole distrazione fatta eccezione per un tristissimo duty free, paradiso di accaniti fumatori o aspiranti alcolisti...
Che abbiate pagato 10 in più a tratta per l'optional "Speedy boarding" non fa alcuna differenza: ad ogni scalo tra un volo e l'altro vi ritrovate stipati insieme agli altri 12000 viaggiatori in attesa di una hostess dispensatrice di grazia e notizie.
Saliti sul velivolo ci di rende immediatamente conto che, nonostante non si possa vantare un'altezza da Vatusso, si sarà costretti a trascorrere l'intero volo con le ginocchia in bocca, tanto scarsa è la distanza tra una fila di sedili e l'altra... Nei casi di congiuntura particolarmente sfavorevole si scopre anche che il nostro vicino (il "signor 05L") è un energumeno di 150 kg, che inevitabilmente sconfina nel tuo "05M"', schiacciandoti come una ventosa sul povero "05N"...
Ma non c'è tempo per disperarsi: les jeux sont faits! Si decolla!
Immagino la frustrazione di hostess e stuart, costretti a ripetere inascoltati la stessa manfrine sulle misure di sicurezza e le uscite di emergenza...mentre i passeggeri, con alterigia scaramantica, fingono che l'eventualità di un disastro non li riguardi: qualcuno sonnecchia, qualcun altro ha già le cuffie sulle orecchie e smanetta con il telecomando del sedile cercando di accendere lo schermo sulla nuca del passeggero di fronte...qualcun altro sgranocchia come un coniglio le noccioline reperite nel sopra citato duty free...
Un viaggio in aereo è qualcosa di rassicurante; tutto avviene sempre con la stessa sequenza e segue una precisa retorica gestuale: il "Welcome on board" del capitano (pronunciato in 15 lingue diverse...in alcune delle quali ti sembra di cogliere l'annuncio stravagante che, durante il volo, verranno serviti "baguettes e lumache fresche"....), le dimostrazioni del funzionamento di cinture e maschere per ossigeno da parte delle hostess, il transito iterativo del carrello delle bibite, il ricorso alla toilet più compatta che mente umana possa concepire, il pianto ininterrotto di qualche neonato, l'applauso finale (tipicamente, vergognosamente, europeo!)...
Sappiamo dunque sempre cosa ci aspetta...sappiamo che tutto si ripeterà immutato al ritorno...dopo i nostri 15-20 giorni trascorsi scorrazzando per qualche isola esotica su un motorino a noleggio, un trabiccolo scalcagnato e cigolante, mezzo di trasporto più insicuro della Terra  (in questo frangente ringrazi a posteriori i tuoi genitori per non avertene regalato uno a suo tempo, salvandoti da prematuro trapasso), o percorrendo lande desolate con lo zaino in spalla e solo un pezzo di sapone di Marsiglia quale vessillo delle norme igieniche della società civilizzata... Dopo aver alloggiato in bettole terrificanti, mangiato pietanze al limite dell'identificabile, sopportato situazioni che richiedono lo spirito d'adattamento di un giapponese, unico esemplare a sangue caldo capace di adeguarsi ad ogni evenienza senza manifestare alcun disagio, di camminare con le ciabatte infradito sulla distesa di rocce vulcaniche acuminate dell'Etna o sulla scalinata di San Torini cosparsa di "fiori" di mulo, di mantenere la stessa imperturbabilità stoica sotto il sole rovente del Sahara o al gelo della Lapponia, di cibarsi di qualsiasi "entità" commestibile o presunta tale, a qualsiasi ora e di portarsi dietro praticamente qualunque accessorio  in formato mignon...
(dall'arriccia ciglia a pile allo scaccia-zanzare laser).
Al nostro rientro, durante il nostos del ritorno, Subiremo la consueta trafila di controlli e perquisizioni, attese e code... E avremo tutto il tempo per notare, con frustrante disappunto, che mentre noi esibiamo una tenuta al limite del casual, al confine tra la tuta da ginnastica e il pigiama, e assomigliamo grottescamente a uno spaventapasseri, c'é qualche viaggiatrice nostra coetanea che sembra fuggita dalla pagina patinata di una rivista di moda, e attende l'imbarco elegantemente assisa sui suoi 12 cm di tacco, tronfia come una cicogna...
(Personalmente non ho ancora capito a quale demone devo vendere l'anima per riuscire ad assomigliare a una ninfa anche dopo aver scalato e ridisceso il Machu Picchu, essermi lavata i capelli col sapone per i piatti ed essermi regolata le sopracciglia con il tagliaunghie per due settimane... Perciò mi rassegno alle condizioni pietose in cui mi ritrovo, arruffata come una gatta randagia, col rischio, ogni volta che mi accovaccio sul mio povero bagaglio in attesa dell'imbarco, che qualche passante magnanimo diretto in business class mi getti una monetina di elemosina....).
Nulla paga la soddisfazione di atterrare recando, viva, la baby Palma tenuta tra le ginocchia per tutte le 15 ore di viaggio celeste, nonostante le proteste del consorte che non comprende questa importazione trionfale...
Insomma, viaggiare per noi donne e per gli avventurieri che ci portano con sé, é una fatica: siamo capricciose, esigenti, permalose e magari un po' sofistiche, poco inclini all'adattamento a nuovi habitat. Ma a nostra discolpa possiamo però dire che una compagnia femminile in viaggio è sempre utile: ritrova tutto quello che, all'occasione, gli uomini perdono ed evita incidenti dovuti a entusiasmi di gioventù anacronistica, per esempio riportando a più miti consigli il marito di mezza età che ambisce a lanciarsi in qualche sport estremo!
Se Ulisse si fosse portato dietro la saggia Penelope, non avrebbe avuto bisogno di farsi legare come un salame all'albero della nave per resistere alle Sirene...perché non c'è niente di più efficace contro le tentazioni travianti o gli "smarrimenti" psichici e materiali, di  una moglie al seguito...anche se alla fine della vacanza assomiglia un po' all'incredibile Hulk e progetta di ricreare una foresta pluviale miniaturizzata sul balcone del salotto...

domenica 14 settembre 2014

Top ten delle tristezze di fine estate

Settembre.
Finito il "controesodo"  (espressione roboante prediletta dagli operatori di "Autostrade per l'Italia" per indicare null'altro che il ritorno, mesto e rassegnato, dei vacanzieri alle loro residenza feriali dopo l'esilio vacanzifero...), l'estate può dirsi ufficialmente conclusa!
Per chi, come me, è sopravvissuto a un agosto tutto urbano-casalingo e può compiacersi per i complimenti per la bella abbronzatura solo grazie al voto di fedeltà prestato al dio "make up" (dispensatore di miracoli a domicilio!), è venuto il momento di prendersi qualche rivincita, stilando la hit parade dei fenomeni più tristi che inevitabilmente e immancabilmente caratterizzano questo periodo dell'anno: vero e proprio "limbo" tra evasione spiritata da insolazione e ritorno alla routine quotidiana lavorativo-domestica-sociale-affettiva...

1. pedi-"trascure".
Il primo avviso che l'estate sta sfumando in un remoto ricordo si può cogliere sui piedi delle donne...o meglio sulle loro unghie dei piedi: se ancora fanno capolino da sandali e infradito, mostrano ormai i  segni di un'imperdonabile incuria. La pedicure è ormai sistematicamente disattesa e solo pochi frammenti di smalto resistono tenacemente, disegnando un triste, indecifrabile mosaico sui promontori digitali dei piedi femminili. Non c'è nulla di più deprimente di una decorazione trascurata, di un vezzo trasformato in difetto... E' come se decorassimo una torta spolverandola col sale perchè abbiamo finito lo zucchero a velo! Meglio lasciar perdere!


2. stress post-spiaggiatico.

Un altro cartellino rosso va a quella speciale categoria di donne (ormai geneticamente modificate al punto da non sapersi riconoscere un'identità indipendente dal ruolo di mogli-mamme-massaie) che, ancor prima di aver poggiato entrambi i piedi fuori dall'auto di ritorno dalla località di villeggiatura, cominciano a lamentarsi per le decine di lavatrici da caricare, le piante che sicuramente si saranno seccate per il sole (o, al contrario, saranno marcite per la troppa pioggia), i chili accumulati che dovranno smaltire prima di Natale, le scottature da curare, i preparativi da fare per il nuovo anno scolastico: libri da acquistare, vuoti negli astucci da riempire, punizioni da amministrare per i compiti non svolti durante le vacanze, ecc. Insomma: gli eventuali benefici dell'estate svaniscono in uno sbattere di portiera! Lasciandosi dietro uno strascico di capi stesi ad asciugare e cantilene di tabelline e filastrocche da imparare a memoria. Allegria!

3. narcisismo telefonico.
A pari merito si contendono un'ammonizione gli uomini che, discorrendo al cellulare in mezzo alla folla, non fanno che vantarsi con gli amici delle prodezze sportive e/o "dongiovannesche"con cui si sono contraddistinti nei super-esclusivi villaggi turistici in cui hanno trascorso le vacanze, popolati (a loro dire) unicamente da strafighe fameliche (...sì perchè di certo i suddetti play-boys non si esprimono con definizione infiocchettate come "donzelle piacenti e di nobili costumi") pronte a saltrgli addosso per strappargli anche l'abbronzatura! Un consiglio a questi soggetti: il vostro amico-interlocutore telefonico forse non vi vede da un quarto di secolo, e dunque non sa che, nascosti dietro al telefono, siete diventati panciuti come un fiasco, flaccidi come una zampogna, e magari anche calvi come una biglia...ma tutto il resto della popolazione che si trovi nelle vostre immediate vicinanze sì!!! Quindi, se già vi siete resi ridicoli tra palme e lettini reclinabili, risparmiatevi almeno l'umiliazione di essere derisi anche da quanti non è impossibile che rincontriate in palestra, dal barbiere, dietro uno sportello in banca o in un imbarazzantissimo scensore... a meno che non abitiate in una megalopoli con 25 milioni di abitanti come quella Hong Kong-Shenzhen-Macao-Zuhai...

4. La conta dei danni.
Non c'è esperienza più efficace di una vacanza per mettere alla prova le possibilità di sopravvivenza di un'amicizia, e questo (incredibile ma vero!) indipendentemente dal fatto che il viaggio sia condiviso. La convivenza forzata in una situazione "d'eccezione", in cui è necessaria una costante mediazione tra i desideri dei singoli per favorire lo svago del "gruppo", è la migliore occasione per far emergere difetti, incompatibilità,  discrasie di karma, che rendono pressocchè impensabile di protrarre il rapporto oltre la data del rientro.
Fino a qualche decennio fa un altro scoglio da superare a dimostrazione della solidità di una relazione interpersonale era l'eccesso delirante di entusiasmo documentaristico dell'amico che, di ritorno dai suoi peregrinaggi, ci sottoponeva a ore di proiezione di filmini e/o diapositive... una tortura, una minaccia, cui era possibile resistere solo in virtù di un profondo affetto e desiderio di non offendere il "regista-fotografo" autore del reportage...
 Ormai, grazie alle nuove tecnologie, siamo talmente "connessi", che non abbiamo neppure bisogno di frequentarci per starci sulle balle l'un l'altro: riusciamo a infastidirci a distanza. Ce ne stiamo tappati in città, destreggiandoci tra ménage cittadino e desiderio di fuga, mentre qualche amico-collega-conoscente già migrato all'"estero" (che sia Riccione o la Polinesia poco importa) si sente in dovere di informarci su ogni suo minimo spostamento, su ogni singola attività svolta o solo pensata come intenzione futura... ci inonda la casella di posta elettronica con ritratti di sè in tenuta da spiaggia, mentre sorregge, tronfio come Nettuno, un marlin (palesemente imbalsamato) da mezzo quintale; foto dell'albergo, della camera (da quattro angolature diverse), della vista dalla finestra, del ristorante e dei piatti che vi vengono serviti... E non sa che tu intanto, da dietro lo schermo del pc, lo stai odiando e maledicendo (perchè lui è in vacanza e tu al lavoro, lui sotto il sole, abbronzato come un prosciutto fumé e tu in ufficio bianco come una vongola malata...e per tutta una serie di ragioni inconsistenti, ma che il tedio dell'estate cittadina fa apparire legittime), così continua a "condividere" e a chiederti approvazione invitandoti a cliccare "Mi piace", e tu a negargliela...


5. rinvenimenti e dimenticanze.
Il ritorno a casa dopo un periodo lungo abbastanza da essere definito "vacanza" (in senso letterale!) ma non  tanto da diventare un trasferimento (sebbene la quantità di oggetti smobilitati possa trarre in inganno i vicini lasciando loro il dubbio se ci rivedranno o meno!), è sempre fonte di stupore e inaspettate sorprese! Innanzitutto, entrando, ci rendiamo immediatamente conto che la nostra legittima dimora non ha sentito affatto la nostra mancanza, nè sofferto per la nostra assenza: sottratta al costante, metodico controllo degli abitanti, si è inselvatichita, si è ripresa il suo spazio, mettendo in atto un'esistenza indipendente dai suoi inquilini (noi)... tant'è che per un po' continiuamo a sentirci "ospiti" (intrusi?)... come "di troppo". 
Il giardino (complici le piogge "monsoniche" dell'estate 2014) folleggia allo stato brado! con ortiche alte più della casetta del cane, che si contendono "frusto a frusto" il terreno con le verdure dell'orto, succhiando a tradimento le povere gocce dispensate dall'irrigatore automatico... ci ritroviamo a camminare in un cimitero di melanzane rachitiche, pomodori rinsecchiti, peperoni allo stato fetale... Una tristezza!
Il criceto, affidato alle cure della vicina novantenne (che ha riversato sul povero animaletto anni di peccati culinari con cui non ha potuto viziare a nipoti e discendenti) è diventato obeso e irreversibilmente carnivoro... Un lottatore di sumo in scala...con la coda.
Nel frigorifero spento, uno yogurt abbandonato per trascuratezza, ha ormai superato la fase metamorfica del formaggio, tramutandosi in una creatura semovente...dotata di libero arbitrio e di radioattività...
Aprire le valigie è poi un po' come scartare i pacchetti di Natale...non sai mai esattamente cosa ci troverai! nè, tantomeno cosa mancherà... Scopri di aver "scippato" involontariamente (?) il pareo alla vicina di ombrellone, di aver dimenticato metà delle lenzuola che avevi steso ad asciugare dopo l'ultima lavtrice (nella migliore ipotesi le ritroverai la prossima estate trasformate in fogli di papiro!) e che durante il viaggio il calore ha trasformato il beauty-case in una sorta di camera iperbarica: la bomboletta della lacca pulsa in modo allarmante, il tubetto del dentifricio è esploso e la trousse degli ombretti assomiglia a un dipinto di Picasso...





6. -70%...
Non illudetevi, oh voi vacanzieri che rientrate bel belli in città dopo settimane di impudico estraneamento spazio-temporale, di poter ancora beneficiare dello shopping estivo super-scontato; sebbene i saldi non siano ufficialmente ancora conclusi, ci abbiamo pensato noi esuli cittadini (nel senso di "esclusi" dalle partenze, relegati nell'atmosfera ovattata di città fantasma) a fare piazza pulita delle occasioni d'acquisto migliori! (qualche vantaggio per il fatto di essere rimasti fedeli alla città dovremo pur meritarcelo no???). Quello che vi abbiamo lasciato sono i fondi dei fondi di magazzino dei negozi: gli ultimi capi delle collezioni di 15 anni fa (quando andavano di moda i pantaloni cosiddetti "a zampa di cavallo" e le ecopellicce color lavanda), il cui range di taglie generalmente compie un salto diretto dalla XS alla XXXL... con un vuoto di circa 200 kg di vestibilità.

7. sky-pass?
Parlo per esprienza: ci sono uomini (ma anche donne, rare ma ci sono!) che non hanno ancora finito di spolverarsi la sabbia dalle dita dei piedi che già pensano a incastrarli in un paio di scarponi...e aa attrezzarsi per l'"imminente" stagione sciistica... Camaleontismo sportivo? Dipendenza da endorfine provocata dal troppo ping pong da spiaggia??? Quando la sindrome del'iperattività ginnica pluristagionale colpisce entrambi i membri della coppia, non ci sono generalmente problemi: le passeggiate sulla battigia diventano marce, i bagni si trasformano in staffette e stendere la crema solare  offre occasione di stretching; fino a che il primo timido fiocco di neve non risveglia in entrambi lo spirito dello yeti...
Ma se ad essere colpito/a da fanatismo atletico è solo lui/lei, il rischio che la vacanza (marittima o montanara, estiva o invernale) si trasformi nel preludio del divorzio è quasi inevitabile... A chi non è capitato di assistere ad un tentato infilzamento con ombrellone o racchetta da sci, strangolamento con braccioli o soffocamento con paraorecchie di pelo???

8. fitness.
Non abbiamo ancora smesso di disperarci per la famigerata "prova costume": nel bikini, in qualche modo, siamo ruscite a entrarci, anche se non siamo del tutto sicure della promozione...(che ci rispediscano su qualche atollo del Pacifico per gli esami di riparazione a settembre???)... Eppure già veniamo sommersi dalla seconda ondata annuale di volantini promozionali che cercano di iniziarci al "culto" della palestra-spa, una sorta di santuario del benessere, dove possiamo essere stirate, scolpite, massaggiate, piallate, vaporizzate, drenate, depurate, rigenerate, trasformate... Tutto compreso in abbonamento "superscontato" della durata minima di 12 anni...molto più della sopravvivenza media di un matrimonio... Le città sono invase da signorine alte e toniche e sorridenti, che cercano di far proseliti da condurre al loro tempio (e i nomi sono tutti un programma: "Il paradiso del bicipite","Il manubrio volante", "Scolpisci te stesso"): gli opuscoli ce li sventolano sotto il naso, insieme alla loro perfezione apollinea, ce li ficcano a tradimento nella borsa o sotto i tergicristalli dell'auto...
Considerando che il picco di affollamento nei centri fitness e/o benessere si verifica in concomitanza con l'apertura "ufficiale" della stagione balneare (quando nuguli di clienti speranzosi si abbonano per due-tre settimane sperando di compiere un rapido miracolo), è ovvio che i manager del settore sono disposti a mettere in atto qualunque strategia di marketing per riacchiappare in autunno i frequentatori primaverili mordi e fuggi... Ora promettono anche miracoli a domicilio! Ecco l'ultimo: 

Espellete il grasso dal vostro corpo con SaunaFit Plus!
 
Come se alle donne mancassero quelle quattro nozioni di fisiologia sufficienti a farsi venire in mente che il grasso non si "scioglie" e non si "suda"! Ad andarsene in giro inguainate come insaccati (con le cosce che, per l'attrito del materiale sintetico, fanno scintille a ogni passo) si perdono solo liquidi, facoltà di movimento e dignità.





9. riscaldamento coatto.

A settembre, che ci siano 12 gradi o 35, "fanno" il collaudo dell'impianto di riscaldamento. Chi o che cosa ne sia responsabile è ignoto: ogni anno l'evento ci viene comunicato vigliaccamente, con un avviso sulla bacheca del condominio; le forze divine, fatine delle stufe o demoni dei caloriferi, che popolano i tubi dell'acqua calda non si mostrano a noi comuni mortali; possiamo solo averne una fede cieca e assistere di buon grado al rituale di riempimento-svuotamento dei termosifoni, e trascorrere l'inizio dell'autunno con la sensazione di vivere in un giardino-zen: si ode un costante gocciolìo d'acqua e ogni tanto si forma uno stagno a ridosso delle pareti...sostituendo il divano con una statua di Buddha otterremmo l'atmosfera perfetta! A impedirci di raggiungere il Nirvana solo lo scoppio estemporaneo di una valvola che si stacca come un missile dalla sua sede, col rischio di spiattellarci due vertebre all'altezza dei lombi. Ma non c'è da stupirsi o preoccuparsi: il collaudo serve proprio a questo! Eventuali malfunzionamenti è meglio rilevarli ora! Così avremo tutto l'inverno per fare riabilitazione e riacquistare la capacità di deambulare...nel teporino della nostra casa. I caloriferi staranno benissimo.


10. cambio di guardaroba.
Necesse est. Anche nelle migliori famiglie bisogna che succeda: gli indumenti leggeri vanno "su", i maglioncini e le sciarpe discendono dai piani alti dell'armadi: una rotazione biennale inevitabile. A meno che non siate tra i pochi privilegiati che possono sempre
sperare in una partenza estemporanea verso qualche meta tropicale, non c'è motivo di tenersi prendisole e bermuda tra i piedi per tutto l'inverno. E poi la riorganizzazione degli abiti è un modo per riprendere a pieno il contatto con la realtà "feriale", per ristabilire il controllo sulla vita ordinaria... E immancabilmente la consapevolezza arriva, magari sotto mentite spoglie, camuffata da alce, quando ci capita tra le mani il pluridecennale maglione, confezionatoci quando frequentavamo la seconda elementare da qualche perfida nonna o zia (in perfetta buonafede però), ormai pur sorda e rincoglionita, ma non immemore di quel suo prezioso dono (vero e proprio attentato alla nostra autostima) che si aspetta di vederci indossare con orgoglio ogni Natale. Sì, è lui. Esiste! Non è un incubo! E' sopravvissuto a un'altra primavera-estate di esilio, ad altri 364 giorni di inutilizzo. Neppure le tarme hanno osato avvicinarglisi. La renna in primo piano ci guarda con aria impertinente, ma forse in fondo ai bottoni dei suoi occhi cogliamo una scintilla di compassione. E il Natale si fa incredibilmente, spaventosamente vicino...

venerdì 29 agosto 2014

Saggezza su due ruote




C'è stata un'epoca, prima dell'avvento della Play Station e dell'epidemia dello spinning, in cui il genere umano era ancora consapevole dell'esistenza di un mondo reale, popolato non solo da pixel e da monitor per la cardiofrequenza, e "addirittura" fisicamente percorribile con spostamenti misurabili da un punto A ad un punto B!
Era il tempo in cui ancora ogni bambino (con il cervello non ancora invaso dai Pokemon) sognava e desiderava la sua prima bicicletta, pronto a grattugiarsi ginocchia e gomiti nel nobile tentativo di domare l'insidioso trabiccolo e sviluppare un'abilità che non lo avrebbe più abbandonato per tutta la vita. Chi non ricorda la gloriosa soddisfazione sperimentata alla prima pedalata portata a termine senza sfracellamenti, senza rotelle e senza il supporto di un amorevole genitore disposto a correrci dietro sorreggendoci per il sellino durante i nostri esperimenti di equlibrismo (mentre il coniuge si teneva pronto con la borsa del ghiaccio e il kit di pronto soccorso)?
Le prime impagabili conquiste! Tempravano il fisico e il carattere, insegnando determinazione  e dignità! Grattugia oggi, gibolla domani, si imparava che non tutto è facile, ci si confrontava con i propri limiti, le proprie paure, e si cercava di superarli, si capiva l'importanza del riuscire a fidarsi ma anche di saper rinunciare alla mano disposta a sorreggerci... Era un gioco ma anche una lezione di vita.
Anche per gli adulti, prima che esplodesse la sindrome da cilindrata, il caro biciclo rappresentava più che un prezioso mezzo di trasporto: era un’affermazione d’indipendenza, di libertà di movimento, di fiducia nelle proprie forze. I nostri nonni pedalavano per la città senza cambio, senza telaio in carbonio superleggero e senza tanti fronzoli: solo una bella molletta per reggere i pantaloni a metà polpaccio…accessorio che poi veniva immancabilmente dimenticato e poco elegantemente conservato per buona parte della giornata!
Ormai, un po’ per pigrizia, un po’ per paura di essere stirati dagli autoveicoli o intossicati dalle polveri sottili, il culto della bicicletta in città fatica a sopravvivere… fatta eccezione per contesti come quello di Amsterdam, dove ogni giorno migliaia di ruote percorrono strade e ponti chiusi al traffico, e non è inusuale vedere signore vestite di tutto punto che pedalano trainando “rimorchi” con tre o quattro figli da accompagnare a scuola, con il cane nel cestino e la borsa della spesa appesa al manubrio…
Altrove gli adulti preferiscono generalmente accomodare il fondoschiena sul flock antisqueaking delle loro automobili anche per andare a comprare il giornale, tanto per sperimentare cotidie il piacere terapeutico di sbraitare nel traffico, e rinchiudersi poi in affollate palestre per pedalare come criceti frustrati su sentieri immaginari che non portano da nessuna parte…se non verso il miraggio di glutei supertonici da sfoggiare in spiaggia…
Qualche amante delle sane pedalate però rimane: oltre a coloro che agognano gli sporadici blocchi della circolazione indetti dai comuni per far rientrare le polveri sottili entro livelli respirabili, e colgono queste rare occasioni per riversarsi per le strade con bici, tandem, tricicli, monopattini, skateboard, pattini e tutto ciò che possa rotolare sull’asfalto, ogni tanto si vedono gruppetti di ciclisti della domenica che partono equipaggiati di tutto punto diretti verso tranquilli sentieri di campagna o avventurose discese a rotta di collo dai pendii di qualche vicino monte.
Alcuni partono già combinati con le loro tutine aderenti e sgargianti…che li fanno tanto somigliare agli omini che nello spot dello yogurt Actimel dovrebbero rappresentare i fermenti lattici… però vestiti a festa, multicolor!
Hanno caschetti, ginocchiere, guanti forati, imbottiture per pudenda (ma tante volte sospetto sia solo un pretesto per esibire ciò su cui l’occhio non dovrebbe cadere…e invece così ci cade!)…bottigliette di integratori salini, ecc., ecc.

I più fanatici hanno addirittura lanciato la moda della microtelecamera montata sul casco, per documentare le loro prodezze o lasciare testimonianza dei loro ultimi istanti di vita prima dello schianto contro qualche pino! Ma generalmente nel gruppo c’è sempre qualche membro assennato e prudente, che parte con il kit del prontosoccorso sul portapacchi (e il rosario nascosto sotto la maglietta!).
Quanti se ne vedono, che arrancano come cinghiali mentre si arrampicano verso le cime delle montagne, per poi godersi 30 secondi di gloriosa (pericolosissima) discesa! Che brividi (tra adrenalina e sudore che si raffredda nella tuta) mentre si sfreccia a tutta velocità verso la valle! Schivando rami e macigni…col rischio costante di ritrovarsi una pigna in un occhio o uno scoiattolo in bocca!
Per i più saggi e riflessivi (magari anche meno giovani?), il piacere del ciclismo risiede nell’atto stesso del montare in sella e rinvigorirsi di movimento proprio! Tonificare i muscoli per rinvigorire il cervello, ascoltare il fruscio dell’aria che passa tra i raggi delle ruote e ci accarezza il viso, per sgombrare la mente e abbandonarsi alla ripetitività rilassante del movimento; il piacere di giungere alla meta scivolando su strade inusitate, o su quelle consuetamente percorse a piedi o in automobile, ma ora riscoperte “ad una velocità diversa”, ad un ritmo che siamo noi stessi a imporre… Faticare, anche, per dimostrare a noi stessi la nostra forza di volontà, testare lo stato della nostra forma fisica di cittadini pigroni, riacquistare fiducia in noi stessi e riscoprirci un tutt’uno con il paesaggio.
Fonderci con una parentesi di mondo che diventa nostra nella misura in cui la attraversiamo con tutti i sensi tesi predisposti alla percezione e all’assimilazione: ascoltiamo in modo nuovo il silenzio interrotto dalla linea sonora tracciata dalle nostre ruote, osserviamo quello che ci scorre accanto a velocità “umana”, respiriamo quegli odori che sempre schermiamo dietro ai parabrezza, e che ora ci disponiamo ad accogliere, a lasciare entrare con piacevole violenza nelle nostre narici. E allora non ha importanza se si arranchi in salita o si sfrecci in discesa, se si vada lontano o si torni a casa, se si sia soli o in allegra brigata… La bicicletta ci accompagna come una fedele amica, su strade prima di tutto interiori, alla conquista di vette simboliche, verso panorami che si rinnovano ad ogni contrazione di quadricipite.



PS. per la realizzazione di questo post, scritto in onore dell'amico (e ciclista) Stefano Petti, non è stato maltrattato nessun animale... al massimo qualche volonteroso bipede che si è prestato ad essere immortalato anche in atteggiamenti non proprio edificanti! Riferimenti a fatti e persone realmente esistenti sono da ritenersi esattamente quello che sembrano: richiami espliciti a conoscenti e amici, più o meno fanatici, più o meno giovani, più o meno atletici!
Fotografie scattate da Maria Pia Pullano, che ringrazio molto per la collaborazione artistica e sportiva!


domenica 10 agosto 2014

Happy (?) hour

[…] Così finalmente ci mettemmo a tavola, con valletti di Alessandria che versavano acqua ghiaccia sulle mani, e altri che li rimpiazzavano ai piedi e con estrema precisione toglievano le pipite.
E neppure questo servizio così ingrato li faceva star zitti, ma in quel mentre cantavano.
Io volli provare se tutta la servitù cantava e chiesi allora da bere.
Lì pronto mi secondò un valletto con un gorgheggio non meno stridulo, e così ogni altro a pregarlo di qualcosa.
Sembrava un coro di pantomima, non il triclinio di un padre di famiglia.
Fu servito comunque un antipasto di gran
classe, che tutti ormai erano a tavola, all'infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto.
Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell'altra.
Ricoprivano l'asinello due piatti, su cui in margine stava scritto  il nome di Trimalcione e il peso dell'argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero.
E c'erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d'argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana
[…].
(Petronio Arbitro, Satyricon, XV, 31)

Non siamo più nella Magna Grecia, banchetti e simposi sono passati di moda... Non ci sono più schiavi a mescere vino (o nettare) nei crateri, magari aromatizzandolo con cipolla, interiora di pesce fermentate e petali di rosa (la versione originaria della Sangria), allungandolo con parti d'acqua per ridurne la concentrazione (una tecnica che i baristi hanno imparato benissimo... presentandocela come chiccheria "on the rock"!).
Eppure l'usanza di riunirsi tra alcol e vassoi sopravvive...
E per i milanesi assume la forma dell'"happy hour"... zona franca tra i pasti veri e propri, occasione di convivialità poco impegnativa in cui sbocconcellare stuzzichini appetitosi e affogare qualche neurone nelle bollicine... possibilmnete en plein air (condizioni metereologiche e livelli di inquinamento da polveri sottili permettendo)...
Volendo ricostruire l'eziologia del fenomeno, dobbiamo ammettere che tra fretta e pigrizia verso gli oneri dell'ospitalità, abbiamo semplicemente inventato un'"alternativa" al vecchio "aperitivo" e alla "pizza in compagnia", che riassume in un unica situazione il prima-dopo-durante il pasto. Sottolineo inoltre che la definizione "hour" è ingannevole, perchè il tutto si protrae dall'ora della merenda al tempo della camomilla, e nonostante la designazione ottimistica, di fatto non ha nulla di "happy"...
Anche con tutta la buona volontà, la circostanza non depone a favore della definizione:
l'idea incosciente dell'aperitivo-dopo lavoro del venerdì sera, nasce come figlia legittima del tedio della domenica pomeriggio, quando nell'ozio domestico forzato, il lavotatore milanese si dedica al planning dell'imminente settimana e, di fronte allo spaventoso biancore dei "vuoti" nella sua agenda, si impegna a riempirli... fiducioso (illuso) che alle 20.00 del venerdì sera, dopo un'intera settimana di casa-ufficio-palestra-spesa- dentista-pediatra-cane dal veterinario- recita scolastica-ecc, avrà ancora voglia ed energie da annegare in un bicchiere di Spritz.

La consapevolezza dell'insanità del proposito lo coglie già al mercoledì, si impossessa di lui nel corso del giovedì, ed esplode in tutta la sua drammatica evidenza il venerdì mattina, quando il primo pensiero che lo assale al trillo della sveglia è "Misero me, stasera mi tocca! ma chi me lo ha fatto fare?".
E l'"ora felice" diventa un incubo, un obbligo, una costrizione cui è impossibile sottrarsi... una spada di Damocle che ci pende sopra la testa per tutta la giornata...mentre arranchiamo sui tacchi alti per essere all'"altezza" della serata o ce ne stiamo strizzati e sudanti nella camicia sintetica più aderente del guardaroba (col costante rischio di prendere fuoco ogni volta che qualcuno ci passa accanto accendendosi una sigaretta!)...
Arriva l'"ora"... usciamo dall'ufficio stravolti, con la glicemia sotto i piedi, il traffico infuria, vorremmo solo strapparci la camicia di dosso, cavarci le decollettes dai piedi (gonfi come due zampogne!) e infilarci la tuta da casa per stenderci sul divano "a pelle di leopardo"! E invece questa frazia non ci è concessa! Siamo tutt'altro che "happy", ma ci tocca stamparci un sorriso ebete sulla faccia, fingerci intraprendenti e trascinare la nostra giornata ancora per un po'... e non solo per un'"hour"! come minimo diventano sempre tre o quattro... le "hours"!
"HAPPY HOUR... un nome e due inganni"... oppure "due truffe in un bicchiere"! Ecco cosa dovrebbero scrivere i gestori dei locali invece che ""happy hour dalle 18.00"!!!!
Appuntamento sul marciapiede: temperaura dell'aria 40 °C, tacchi che affondano nelle sabbie mobili dell'asfalto sciolto, Tizio è in ritardo, Caio non trova parcheggio, Sempronio ha sbagliato a l'orario della prenotazione e non c'è un tavolo disponibile... Si decide di cambiare locale: disputa, comizio, assemblea generale. "Andiamo di qua", "Proviamo di la", "Sushi?", "Finger food?"... Quando gli Stati Generali hanno trovato un accordo suona la compieta.
Ci si stringe attorno a un tavolo... "stringe" letteralmente, perchè che si arrivi in coppia, in quattro o in un gruppo di 12 persone, lo spazio riservatoci è sempre quello... bisogna ottimizzare! Ma se uno si adatta a star quasi sulla soglia della toilette e l'altro si rassegna a congelarsi sotto il bacchettone dell'aria condizionata, ci si sta tutti!
Bisogna ordinare da bere. Camerieri corrono come elettroni impazziti, con vassoi carichi di bicchieri dalle forme accattivanti, pieni di liquidi schiumosi e fluorescenti... Non vogliamo essere da meno e additiamo a caso sul menù dei cocktail nomi assurdi e sconosciuti... Guai a chiedere un banale Prosecco o un vile analcolico! Veniamo immediatamente puniti con uno sciatto bicchiere servito su un  freesbi di cartoncino.
Allora, per sopportare i 50 gradi del nostro drink senza rischiare di tornare a casa strisciando sui gomiti, decidiamo di mangiare qualcosa e ci dirigiamo speranzosi verso il buffet...
Ci facciamo largo a fatica come tra un branco di lupi famelici, che difendono la loro preda a gomitate e colpi bassi di pinze da insalata! Ma per fortuna la musica è tenuta a volume abbastanza alto da coprire gli scambi di insulti (anche se ci costringe a urlare a chi ci sta seduto di fronte, seppur ad un tavolo di 20 cm quadrati...).
Assistiamo a scene penose di equilibrismo: piramidi di tartine tenute in bilico su piattini del diametro di un bottone, monti di cous cous che sfidano la forza di gravità, rovinando talvolta in vere e proprie slavine granulose! Qualche frutto di mare salta nella ciotola della ciotola della macedonia, qualche fetta di salame plana fino al reparto dessert, mentre qualche bignè si suicida annegandosi nella coppa del pinzimonio! E' l'anarchia del self service!
Si conquista quel che si può e si torna al proprio tavolo-francobollo. E non ci si può alzare finchè non si ha finito ciò che si ha nel piatto... non solo perchè ce lo ha insegnato mamma quando eravamo piccoli, ma perchè c'è sempre qualche cameriere in agguato che, alla nostra prima distrazione, è pronto a portarci via il piattino faticosamente conquistato per far posto sul tavolo!
Al terzo furto così subito rinunciamo all'impresa... anche perchè ormai sono le 21.00 e il cibo magicamente svanisce, non restano in circolazione nemmeno una tartina o un acino d'una.. un vero deserto di viveri.. le luci si abbassano, le candele si accendono... E' tutto finito! L'"hour" è trascorsa e possiamo smettere di fingerci "happy"... Volevamo un'occasione per socializzare e invece non abbiamo potuto scambiare due parole neppure col vicino attrespolato sulla nostra stessa sedia... abbiamo sgranocchiato un po' di cibo per criceti (qualche strisciolina di carota o sedano crudi afferrati al volo e rosicchiati tenedoli in equilibrio su forchettine mignon) e pagato un conto salatissimo... Usciamo con la sensazione che una colonia di grilli abbia preso dimora nei nostri padiglioni auricolari... chiedendoci: invece di un'ora fintamente "happy" non avremmo preferito 30 genuini minuti di amicizia e una pizza démodé?






sabato 19 luglio 2014

Umidità...

Fisica e chimica non sono discipline aleatorie: si basano su meccanismi precisi, stabili, scientificamente dimostrati. 
 Le donne ne sono consapevoli, e perciò le vediamo lambiccarsi il cervello alla ricerca della molecola miracolosa per debellare le rughe o la ciccia, condurre una lotta perpetua contro la forza di gravità, e suggerire sempre nuovi ambiti di applicazione per la teoria della "relatività"... 
Così cercano di attribuire fondameno scientifico alla convinzione che il nero "sfila", l'ananas "depura", le "zampe di gallina" sono "segni d'espressione",  preziosi indicatori di personalità, l'età è "quella che una si sente"...
Gli uomini invece, dotati di perpetuo spirito fanciullesco e capaci di eterno stupore, non si curano affatto degli equilibri che governano il nostro universo, e si lasciano trascinare come indifferente pulviscolo atmosferico nello scorrere del Tutto, in armonia pànica con il Cosmo...


Premessa: da qualche mese è tornata la"moda" della raccolta differenziata dei rifiuti organici... un esperimento già compiuto circa un lustro fa, con scarso successo e dunque abbandonato (o rimandato a tempi più maturi). L'idea si basa su principi sacrosanti: coscienza ecologica, rispetto per l'ambiente, rivalorizzazione dei materiali, contenimento degli sprechi... Ma l'astrusità della loro attuazione pratica (unita al fatto che purtroppo il popolo italiano la cultura dell'ecologia e la dote della lungimiranza non ce l'hanno proprio nel DNA) non aiuta il progetto. In ogni caso, il nostro spirito "verde" si è ringalluzzito e ha deciso di riprovarci, anche a costo di fronteggiare le complicazioni iniziali insite in ogni cambiamento di abitudini.
Volente o meno, ogni famiglia della penisola ha dovuto accogliere sotto il proprio tetto un esemplare del tanto annunciato (ormai entrato nell'immaginario collettivo con le sembianze di una chimera) "bidoncino dell'umido"... e trovargli una sistemazione sotto il lavello della cucina o in qualsiasi altro sito dal quale potesse comodamente accogliere scarti di cibo, fiori, piante, semi, mozziconi di sigaretta, tovaglioli usati, cotone...ecc...ecc...
Accompagnato da pochi esemplari di sacchetti biodegradabili (quelli che si rompono solo guardandoli e ti lasciano colare sulle scarpe tutto il loro maleodorante contenuto) e da un opuscolo illustrativo del volume di un tomo dell'enciclopedia Treccani... il bidoncino marrone è diventato il mostro mentore, il guardiano attento che vigila su ogni nostra mossa e tiene vivo il nostro spirito ecologico. Sta lì e ci guarda...pronto a coglierci in fallo... cosicchè, ogni volta che dobbiamo gettare un cleenex ci ritroviamo a perdere un buon quarto d'ora di fronte allo schieramento dei cassonetti dell'immondizia, in preda ai sudori freddi e all'assedio dei dubbi.
E sì, perchè anche se siamo stati sottoposti a un training di formazione altamente specialistica su "cosa gettare dove" (manca solo un'applicazione per smart phone, che potrebbe titolare "Dimmi cosa getti e ti dirò se ci azzecchi!") il caos sembra ancora dominare le nostre pattumiere...
L'esaurirsi delle pile del telecomando TV può suscitare una disputa familiare o addirittura il fulminarsi di una lampadina può divenire oggetto di discussione in una seduta plenaria di assemplea condominiale..."Nel vetro", "No, nel settore plastica-metallo", "Forse nell'indifferenziato?"

Tornando alla questione sulle leggi fisiche e chimiche liberamente reinterpretate dai soggetti di sesso maschile che popolano le nostre cucine, va notato come gli uomini tendano a elaborare concezioni tutte particolari della realtà...creandosi universi paralleli governati da leggi proprie.
Così come manifestano la convinzione che carta igienica e dentifricio si producano per generazione spontanea nei loro rispettivi contenitori, allo stesso modo appaiono convinti che il secchio dell'umido si svuoti magicamente, per "sublimazione" spontanea del suo contenuto, capace di "dissolversi" e svanire naturalmente, per un inspiegabile miracolo quotidiano.
Se tale fenomeno tarda a manifestarsi, pur di non sporcarsi le mani con i maleodoranti scarti di pranzi e cene cui anch'essi hanno partecipato con entusiasmo, gli esemplari maschi della razza umana fingono indifferenza: distolgono lo sguardo, si tappano le narici e ignorano le mosche... Si limitano ad attendere che il processo di decomposizione faccia il suo corso, con l'ausilio di organismi saprofagi e detritivori... Che sperino di ottenere humus per concimare le piante del terrazzo? o cercano di avviare una produzione domestica di combustibili fossili per raggiungere l'autosufficienza energetica?

Alla fine, per evitare di ritrovarsi il salotto invaso da gabbiani e cinghiali, tocca a noi donne farci coraggio, affrontare la selva di muschi e licheni che riveste i pensili della cucina e affondare le nostre angeliche mani nella poltiglia organica che ormai sembra essersi evoluta, sviluppando un'intelligenza superiore (che siano questi i tanto demonizzato OGM?) 
Con le braccia immerse nell'humus fino ai gomiti, riusciamo finalmente a identificare i due laccetti (sottili come i filamenti di una tela di ragno) che dovrebbero consentire di la chiusura (temporanea e precaria) del sacchetto (ormai bio-"degradato" più che "degradabile"). E di cosa ci accorgiamo? Il bidoncino è "made in China", cioè prodotto in un Paese in cui il concetto di "ambientalismo" non esiste neppure come astrazione, i sacchetti sono arricchiti con prodotti chimici di sintesi (pigmenti di colore e plastificanti per renderli, in teoria, più resistenti) e hanno laccetti di  nylon...e dunque NON biodegradabili...
Ma allora perchè  noi dobbiamo essere divorati dai sensi di colpa se per caso ci scappa un cotton fioc tra le bucce di cipolla e i torsoli di mela?
Tornando al ménage domestico che si svolge attorno al secchio dell'immondizia ci chiediamo: il sesso "forte" è schifiltoso? pigro? poco ecologista? troppo fiducioso nella possibilità di una perfetta integrazione tra processi naturali e artificialità della vita urbana?
D'altronde la tendenza del sesso maschile all'involuzione verso lo stato animale si manifesta in molteplici circostanze.. ed è uno dei tratti che lo rende totalmente "altro" rispetto alla "dimensione donna"... Per esempio: gli uomini sembrano trovare un motivo di orgoglio e vanto nella rumorosità con cui si compiono i loro processi fisiologici, e ci tengono a partecipare al mondo intero le loro prodezze viscerali...le donne invece cercano di allontanare il più possibile dall'immagine di se stesse ciò che non è puro ed etereo, quasi non effettuassero digestione ma  fotosintesi!
In caso di lite gli uomini si prendono a pugni e dopo cinque minuti sono amici come prima; le donne si scambiano subdoli insulti e serbano rancore in eterno....(la crudeltà richiede intelligenza e determinazione!).
La giornata ideale di un uomo prevede svegliarsi alle 12.30, fare colazione con gli avanzi di pizza della sera precedente, guardando la tv; andare in palestra a esibire i muscoli, uscire con gli amici e trascorrere la serata tra birre, conquiste e gare di rutti... Una donna sogna invece di essere svegliata dal cinguettio degli uccellini per assistere al roseo tingersi dell'alba, avere tempo per farsi un bagno aromatico avvolta da bolle di schiuma, vestirsi con cura, leggere un libro, cambiare la disposizione dei mobili del salotto, dedicarsi al giardinaggio (ricodo che la nascita dell'agricoltura ha rivoluzionato il destino dell'umanità!)...
La dicotomia tra ritorno allo "stato brado" e spinta all'elevazione della specie costituisce una delle principali ragioni per cui la "discriminazione di genere" può non apparire completamente sbagliata...solo la gerarchia  tra i sessi andrebbe un attimo ripensata...
E l'atteggiamento nei confronti della "raccolta differenziata" si pone quale ulteriore movente per ridefinire il concetto di "virilità"... Millenni di evoluzione e poi i nostri mariti si perdono in un bidoncino da 10 litri...in un sacchetto da 42x44 cm...
Così la diatriba su a chi tocchi portare fuori casa l'umido si ripete con la regolarità di un rito quotidiano... voce che si aggiunge all'interminabile elenco delle cause di litigio domestico. E forse è il caso che WWF, Green Peace e altre organizzazioni ambientaliste, destinino un po' dei loro sforzi, oltre che a evitare l'estinzione di panda, orsi polari e tigri della Malesia, anche a salvare i matrimoni tra bipedi e garantire la continuità della nostra specie.... per non ritrovarci con un mondo verdissimo, molto "degradabile", ma poco "umanamente bio".
Se i matrimoni "a basso impatto" non esistono ancora, di uomini "classe A" ne retano pochini... almeno diano a noi donne la "certificazione energetica"... Se dobbiamo essere mogli, madri, lavoratrici, infermiere, contabili, cuoche, lavandaie e anche operatrici ecologiche, qualche "eco-incentivo" ci spetta di diritto o no?!???