venerdì 29 agosto 2014

Saggezza su due ruote




C'è stata un'epoca, prima dell'avvento della Play Station e dell'epidemia dello spinning, in cui il genere umano era ancora consapevole dell'esistenza di un mondo reale, popolato non solo da pixel e da monitor per la cardiofrequenza, e "addirittura" fisicamente percorribile con spostamenti misurabili da un punto A ad un punto B!
Era il tempo in cui ancora ogni bambino (con il cervello non ancora invaso dai Pokemon) sognava e desiderava la sua prima bicicletta, pronto a grattugiarsi ginocchia e gomiti nel nobile tentativo di domare l'insidioso trabiccolo e sviluppare un'abilità che non lo avrebbe più abbandonato per tutta la vita. Chi non ricorda la gloriosa soddisfazione sperimentata alla prima pedalata portata a termine senza sfracellamenti, senza rotelle e senza il supporto di un amorevole genitore disposto a correrci dietro sorreggendoci per il sellino durante i nostri esperimenti di equlibrismo (mentre il coniuge si teneva pronto con la borsa del ghiaccio e il kit di pronto soccorso)?
Le prime impagabili conquiste! Tempravano il fisico e il carattere, insegnando determinazione  e dignità! Grattugia oggi, gibolla domani, si imparava che non tutto è facile, ci si confrontava con i propri limiti, le proprie paure, e si cercava di superarli, si capiva l'importanza del riuscire a fidarsi ma anche di saper rinunciare alla mano disposta a sorreggerci... Era un gioco ma anche una lezione di vita.
Anche per gli adulti, prima che esplodesse la sindrome da cilindrata, il caro biciclo rappresentava più che un prezioso mezzo di trasporto: era un’affermazione d’indipendenza, di libertà di movimento, di fiducia nelle proprie forze. I nostri nonni pedalavano per la città senza cambio, senza telaio in carbonio superleggero e senza tanti fronzoli: solo una bella molletta per reggere i pantaloni a metà polpaccio…accessorio che poi veniva immancabilmente dimenticato e poco elegantemente conservato per buona parte della giornata!
Ormai, un po’ per pigrizia, un po’ per paura di essere stirati dagli autoveicoli o intossicati dalle polveri sottili, il culto della bicicletta in città fatica a sopravvivere… fatta eccezione per contesti come quello di Amsterdam, dove ogni giorno migliaia di ruote percorrono strade e ponti chiusi al traffico, e non è inusuale vedere signore vestite di tutto punto che pedalano trainando “rimorchi” con tre o quattro figli da accompagnare a scuola, con il cane nel cestino e la borsa della spesa appesa al manubrio…
Altrove gli adulti preferiscono generalmente accomodare il fondoschiena sul flock antisqueaking delle loro automobili anche per andare a comprare il giornale, tanto per sperimentare cotidie il piacere terapeutico di sbraitare nel traffico, e rinchiudersi poi in affollate palestre per pedalare come criceti frustrati su sentieri immaginari che non portano da nessuna parte…se non verso il miraggio di glutei supertonici da sfoggiare in spiaggia…
Qualche amante delle sane pedalate però rimane: oltre a coloro che agognano gli sporadici blocchi della circolazione indetti dai comuni per far rientrare le polveri sottili entro livelli respirabili, e colgono queste rare occasioni per riversarsi per le strade con bici, tandem, tricicli, monopattini, skateboard, pattini e tutto ciò che possa rotolare sull’asfalto, ogni tanto si vedono gruppetti di ciclisti della domenica che partono equipaggiati di tutto punto diretti verso tranquilli sentieri di campagna o avventurose discese a rotta di collo dai pendii di qualche vicino monte.
Alcuni partono già combinati con le loro tutine aderenti e sgargianti…che li fanno tanto somigliare agli omini che nello spot dello yogurt Actimel dovrebbero rappresentare i fermenti lattici… però vestiti a festa, multicolor!
Hanno caschetti, ginocchiere, guanti forati, imbottiture per pudenda (ma tante volte sospetto sia solo un pretesto per esibire ciò su cui l’occhio non dovrebbe cadere…e invece così ci cade!)…bottigliette di integratori salini, ecc., ecc.

I più fanatici hanno addirittura lanciato la moda della microtelecamera montata sul casco, per documentare le loro prodezze o lasciare testimonianza dei loro ultimi istanti di vita prima dello schianto contro qualche pino! Ma generalmente nel gruppo c’è sempre qualche membro assennato e prudente, che parte con il kit del prontosoccorso sul portapacchi (e il rosario nascosto sotto la maglietta!).
Quanti se ne vedono, che arrancano come cinghiali mentre si arrampicano verso le cime delle montagne, per poi godersi 30 secondi di gloriosa (pericolosissima) discesa! Che brividi (tra adrenalina e sudore che si raffredda nella tuta) mentre si sfreccia a tutta velocità verso la valle! Schivando rami e macigni…col rischio costante di ritrovarsi una pigna in un occhio o uno scoiattolo in bocca!
Per i più saggi e riflessivi (magari anche meno giovani?), il piacere del ciclismo risiede nell’atto stesso del montare in sella e rinvigorirsi di movimento proprio! Tonificare i muscoli per rinvigorire il cervello, ascoltare il fruscio dell’aria che passa tra i raggi delle ruote e ci accarezza il viso, per sgombrare la mente e abbandonarsi alla ripetitività rilassante del movimento; il piacere di giungere alla meta scivolando su strade inusitate, o su quelle consuetamente percorse a piedi o in automobile, ma ora riscoperte “ad una velocità diversa”, ad un ritmo che siamo noi stessi a imporre… Faticare, anche, per dimostrare a noi stessi la nostra forza di volontà, testare lo stato della nostra forma fisica di cittadini pigroni, riacquistare fiducia in noi stessi e riscoprirci un tutt’uno con il paesaggio.
Fonderci con una parentesi di mondo che diventa nostra nella misura in cui la attraversiamo con tutti i sensi tesi predisposti alla percezione e all’assimilazione: ascoltiamo in modo nuovo il silenzio interrotto dalla linea sonora tracciata dalle nostre ruote, osserviamo quello che ci scorre accanto a velocità “umana”, respiriamo quegli odori che sempre schermiamo dietro ai parabrezza, e che ora ci disponiamo ad accogliere, a lasciare entrare con piacevole violenza nelle nostre narici. E allora non ha importanza se si arranchi in salita o si sfrecci in discesa, se si vada lontano o si torni a casa, se si sia soli o in allegra brigata… La bicicletta ci accompagna come una fedele amica, su strade prima di tutto interiori, alla conquista di vette simboliche, verso panorami che si rinnovano ad ogni contrazione di quadricipite.



PS. per la realizzazione di questo post, scritto in onore dell'amico (e ciclista) Stefano Petti, non è stato maltrattato nessun animale... al massimo qualche volonteroso bipede che si è prestato ad essere immortalato anche in atteggiamenti non proprio edificanti! Riferimenti a fatti e persone realmente esistenti sono da ritenersi esattamente quello che sembrano: richiami espliciti a conoscenti e amici, più o meno fanatici, più o meno giovani, più o meno atletici!
Fotografie scattate da Maria Pia Pullano, che ringrazio molto per la collaborazione artistica e sportiva!


domenica 10 agosto 2014

Happy (?) hour

[…] Così finalmente ci mettemmo a tavola, con valletti di Alessandria che versavano acqua ghiaccia sulle mani, e altri che li rimpiazzavano ai piedi e con estrema precisione toglievano le pipite.
E neppure questo servizio così ingrato li faceva star zitti, ma in quel mentre cantavano.
Io volli provare se tutta la servitù cantava e chiesi allora da bere.
Lì pronto mi secondò un valletto con un gorgheggio non meno stridulo, e così ogni altro a pregarlo di qualcosa.
Sembrava un coro di pantomima, non il triclinio di un padre di famiglia.
Fu servito comunque un antipasto di gran
classe, che tutti ormai erano a tavola, all'infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto.
Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell'altra.
Ricoprivano l'asinello due piatti, su cui in margine stava scritto  il nome di Trimalcione e il peso dell'argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero.
E c'erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d'argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana
[…].
(Petronio Arbitro, Satyricon, XV, 31)

Non siamo più nella Magna Grecia, banchetti e simposi sono passati di moda... Non ci sono più schiavi a mescere vino (o nettare) nei crateri, magari aromatizzandolo con cipolla, interiora di pesce fermentate e petali di rosa (la versione originaria della Sangria), allungandolo con parti d'acqua per ridurne la concentrazione (una tecnica che i baristi hanno imparato benissimo... presentandocela come chiccheria "on the rock"!).
Eppure l'usanza di riunirsi tra alcol e vassoi sopravvive...
E per i milanesi assume la forma dell'"happy hour"... zona franca tra i pasti veri e propri, occasione di convivialità poco impegnativa in cui sbocconcellare stuzzichini appetitosi e affogare qualche neurone nelle bollicine... possibilmnete en plein air (condizioni metereologiche e livelli di inquinamento da polveri sottili permettendo)...
Volendo ricostruire l'eziologia del fenomeno, dobbiamo ammettere che tra fretta e pigrizia verso gli oneri dell'ospitalità, abbiamo semplicemente inventato un'"alternativa" al vecchio "aperitivo" e alla "pizza in compagnia", che riassume in un unica situazione il prima-dopo-durante il pasto. Sottolineo inoltre che la definizione "hour" è ingannevole, perchè il tutto si protrae dall'ora della merenda al tempo della camomilla, e nonostante la designazione ottimistica, di fatto non ha nulla di "happy"...
Anche con tutta la buona volontà, la circostanza non depone a favore della definizione:
l'idea incosciente dell'aperitivo-dopo lavoro del venerdì sera, nasce come figlia legittima del tedio della domenica pomeriggio, quando nell'ozio domestico forzato, il lavotatore milanese si dedica al planning dell'imminente settimana e, di fronte allo spaventoso biancore dei "vuoti" nella sua agenda, si impegna a riempirli... fiducioso (illuso) che alle 20.00 del venerdì sera, dopo un'intera settimana di casa-ufficio-palestra-spesa- dentista-pediatra-cane dal veterinario- recita scolastica-ecc, avrà ancora voglia ed energie da annegare in un bicchiere di Spritz.

La consapevolezza dell'insanità del proposito lo coglie già al mercoledì, si impossessa di lui nel corso del giovedì, ed esplode in tutta la sua drammatica evidenza il venerdì mattina, quando il primo pensiero che lo assale al trillo della sveglia è "Misero me, stasera mi tocca! ma chi me lo ha fatto fare?".
E l'"ora felice" diventa un incubo, un obbligo, una costrizione cui è impossibile sottrarsi... una spada di Damocle che ci pende sopra la testa per tutta la giornata...mentre arranchiamo sui tacchi alti per essere all'"altezza" della serata o ce ne stiamo strizzati e sudanti nella camicia sintetica più aderente del guardaroba (col costante rischio di prendere fuoco ogni volta che qualcuno ci passa accanto accendendosi una sigaretta!)...
Arriva l'"ora"... usciamo dall'ufficio stravolti, con la glicemia sotto i piedi, il traffico infuria, vorremmo solo strapparci la camicia di dosso, cavarci le decollettes dai piedi (gonfi come due zampogne!) e infilarci la tuta da casa per stenderci sul divano "a pelle di leopardo"! E invece questa frazia non ci è concessa! Siamo tutt'altro che "happy", ma ci tocca stamparci un sorriso ebete sulla faccia, fingerci intraprendenti e trascinare la nostra giornata ancora per un po'... e non solo per un'"hour"! come minimo diventano sempre tre o quattro... le "hours"!
"HAPPY HOUR... un nome e due inganni"... oppure "due truffe in un bicchiere"! Ecco cosa dovrebbero scrivere i gestori dei locali invece che ""happy hour dalle 18.00"!!!!
Appuntamento sul marciapiede: temperaura dell'aria 40 °C, tacchi che affondano nelle sabbie mobili dell'asfalto sciolto, Tizio è in ritardo, Caio non trova parcheggio, Sempronio ha sbagliato a l'orario della prenotazione e non c'è un tavolo disponibile... Si decide di cambiare locale: disputa, comizio, assemblea generale. "Andiamo di qua", "Proviamo di la", "Sushi?", "Finger food?"... Quando gli Stati Generali hanno trovato un accordo suona la compieta.
Ci si stringe attorno a un tavolo... "stringe" letteralmente, perchè che si arrivi in coppia, in quattro o in un gruppo di 12 persone, lo spazio riservatoci è sempre quello... bisogna ottimizzare! Ma se uno si adatta a star quasi sulla soglia della toilette e l'altro si rassegna a congelarsi sotto il bacchettone dell'aria condizionata, ci si sta tutti!
Bisogna ordinare da bere. Camerieri corrono come elettroni impazziti, con vassoi carichi di bicchieri dalle forme accattivanti, pieni di liquidi schiumosi e fluorescenti... Non vogliamo essere da meno e additiamo a caso sul menù dei cocktail nomi assurdi e sconosciuti... Guai a chiedere un banale Prosecco o un vile analcolico! Veniamo immediatamente puniti con uno sciatto bicchiere servito su un  freesbi di cartoncino.
Allora, per sopportare i 50 gradi del nostro drink senza rischiare di tornare a casa strisciando sui gomiti, decidiamo di mangiare qualcosa e ci dirigiamo speranzosi verso il buffet...
Ci facciamo largo a fatica come tra un branco di lupi famelici, che difendono la loro preda a gomitate e colpi bassi di pinze da insalata! Ma per fortuna la musica è tenuta a volume abbastanza alto da coprire gli scambi di insulti (anche se ci costringe a urlare a chi ci sta seduto di fronte, seppur ad un tavolo di 20 cm quadrati...).
Assistiamo a scene penose di equilibrismo: piramidi di tartine tenute in bilico su piattini del diametro di un bottone, monti di cous cous che sfidano la forza di gravità, rovinando talvolta in vere e proprie slavine granulose! Qualche frutto di mare salta nella ciotola della ciotola della macedonia, qualche fetta di salame plana fino al reparto dessert, mentre qualche bignè si suicida annegandosi nella coppa del pinzimonio! E' l'anarchia del self service!
Si conquista quel che si può e si torna al proprio tavolo-francobollo. E non ci si può alzare finchè non si ha finito ciò che si ha nel piatto... non solo perchè ce lo ha insegnato mamma quando eravamo piccoli, ma perchè c'è sempre qualche cameriere in agguato che, alla nostra prima distrazione, è pronto a portarci via il piattino faticosamente conquistato per far posto sul tavolo!
Al terzo furto così subito rinunciamo all'impresa... anche perchè ormai sono le 21.00 e il cibo magicamente svanisce, non restano in circolazione nemmeno una tartina o un acino d'una.. un vero deserto di viveri.. le luci si abbassano, le candele si accendono... E' tutto finito! L'"hour" è trascorsa e possiamo smettere di fingerci "happy"... Volevamo un'occasione per socializzare e invece non abbiamo potuto scambiare due parole neppure col vicino attrespolato sulla nostra stessa sedia... abbiamo sgranocchiato un po' di cibo per criceti (qualche strisciolina di carota o sedano crudi afferrati al volo e rosicchiati tenedoli in equilibrio su forchettine mignon) e pagato un conto salatissimo... Usciamo con la sensazione che una colonia di grilli abbia preso dimora nei nostri padiglioni auricolari... chiedendoci: invece di un'ora fintamente "happy" non avremmo preferito 30 genuini minuti di amicizia e una pizza démodé?