Perchè letteratuta "in cucina"? Perchè è il luogo in cui avviene la maggior parte delle mie letture e delle riflessioni da esse suscitate... d'altronde nell'attesa che cuocia il coniglio (nel tempo eterno che la sua carnina tenera e scialba richiede!), rimestando la polenta, ecc., dovrò pur ingegnarmi a fare altro!!!
Dunque leggo, attrespolata su uno sgabello, avvolta dai vapori e dai profumi... che si mescolano a quello dei libri dando alle pietanze un aroma colto e letterario, e ai racconti un sentore di pappa-buona (e magari anche qualche fogliolina di spezie appiccicata tra una pagina e l'altra!) che permane a ricordo delle occasioni in cui sono stati letti e vissuti.
"Se una notte d'inverno una Cuoca...."
Dunque leggo, attrespolata su uno sgabello, avvolta dai vapori e dai profumi... che si mescolano a quello dei libri dando alle pietanze un aroma colto e letterario, e ai racconti un sentore di pappa-buona (e magari anche qualche fogliolina di spezie appiccicata tra una pagina e l'altra!) che permane a ricordo delle occasioni in cui sono stati letti e vissuti.
"Se una notte d'inverno una Cuoca...."
"La
cucina è la parte della casa che può dire più cose di te: se fai da
mangiare o no (si direbbe di sì, se non tutti i giorni, abbastanza
regolarmente), se per te sola o anche per altri (spesso per te sola ma
accuratamente come se facessi anche per altri; e qualche volta anche per
altri ma con disinvoltura come se lo facessi per te sola), se tendi al
minimo indispensabile o alla gastronomia (i tuoi acquisti e armamentari
fanno pensare a ricette elaborate ed estrose, almeno nelle intenzioni;
non è detto che tu sia golosa, ma l'idea di cenare con due uova al
tegame potrebbe metterti tristezza), se stare ai fornelli rappresenta per te una penosa necessità o anche un piacere (la minuscola cucina è attrezzata e disposta in modo da potertici muovere con praticità e senza troppi sforzi, cercando di non fermartici troppo ma anche di poterci stare non di malavoglia). Gli elettrodomestici stanno al loro posto d'utili animali i cui meriti non possono esser dimenticati, anche senza tributar loro un culto speciale. Tra gli utensili si nota qualche estetismo (una panoplia di mezzelune di grandezza decrescente, quando ne basterebbe una) ma in genere gli elementi decorativi sono anche oggetti utili, con poche concessioni al grazioso. Sono le provviste che possono dirci qualcosa di te: un assortimento d'erbe aromatiche, alcune certo d'uso corrente, altre che paiono star lì per completare una collezione; lo stesso si dica per le mostarde; ma sono soprattutto le collane di teste d'aglio appese a portata di mano a indicare un rapporto coi cibi non distratto o generico. Un'occhiata al frigorifero può permettere di raccogliere altri dati preziosi: nei palchetti portauova c'è rimasto un solo uovo; di limoni ce n'è solo mezzo e mezzo secco; insomma, nei rifornimenti esseziali si nota qualche trascuratezza. In compenso c'è crema di marroni, olive nere, un vasetto di selsifis i scorzobianca: è chiaro che nel fare la spesa ti lasci attrarre dalle merci che vedi esposte, più che avere in mente ciò che manca in casa.
Osservando la tua cucina dunque si può ricavare una immagine di te come donna estroversa e lucida, sensuale e metodica, che mette il senso pratico al servizio della fantasia. Qualcuno si potrebbe innamorare di te solo a vedere la tua cucina?..."
(Italo Calvino, "Se una notte d'inverno un viaggiatore")
[...] Lo splendore delle tartine di salmone raggianti di maionese sparisce inghiottito dalle oscure borse dei clienti.[...]
"Il museo dei formaggi"
Alla riscoperta della me, piccola lettrice
"La donna del monte ha detto no"
"Un chilo e mezzo di grasso d'oca"
Il signor Palomar fa la coda in una charcuterie di
Parigi. Sono i giorni delle feste, ma qui la ressa dei clienti è
abituale anche in epoche meno canoniche, perchè è uno dei buoni negozi
dastronomici della metropoli, miracolosamente sopravvissuto in un
quartiere dove l'appiattimento del commercio di massa, le tasse, il
basso reddito dei consumatori, e ora la crisi, hanno smantellato a una a
una le vecchie botteghe sostituendole con anonimi supermagazzini.
Aspettando in fila, il signor Palomar contempla i flaconi. Cerca di trovare un posto nei suoi ricordi per il cassoulet,
pingue stufato di carni e di fagioli, di cui il grasso d'oca è
ingrediente essenziale; [...] alza lo sguardo al soffitto pavesato di
salami che pendono da ghirlande natalizie come frutti dai rami del paese
della cuccagna. Tutt'intorno sulle alzate di marmo l'abbondanza trionfa
nelle forme elaborate dalla civiltà e dall'arte. Nelle fette di paté di
selvaggina le corse e i voli della brughiera si fissano per sempre e di
sublimano in un arazzo di sapori. Le galantine di fagiano si distendono
in cilindri grigiorosa sormontati, per autenticare la propria origine,
da due zampe uccellesche come artigli che si protendono da un blasone
araldico o da un mobile rinascimentale.
Attraverso gli
involucri di gelatina spiccano i grossi nèi di tartufo nero messi in
fila come bottoni sulla giubba d'un Pierrot, come note d'una partitura, a
costellare le rosee variegate aiole dei patés de foie gras, delle soppressate, delle terrines,
le galantine, i ventagli di salmone, i fondi di carciofo guarniti come
trofei. Il motivo conduttore dei dischetti di tartufo unifica la varietà
delle sostanze come un nereggiare d'abiti da sera in un veglione
mascherato, e contrassegna l'abbigliamento da festa dei cibi.[...] Lo splendore delle tartine di salmone raggianti di maionese sparisce inghiottito dalle oscure borse dei clienti.[...]
Il
signor Palomar vorrebbe cogliere nei loro sguardi un riflesso della
fascinazione di quei tesori, m ai visi e i gesti sono solo impazienti e
sfuggenti [...]. Nessuno gli sembra degno della gloria pantagruelica che
si dispiega lungo le vetrine e sui banchi. Un'avidità senza gioia nè
gioventù li spinge: eppure un legame profondo, atavico esiste tra loro e
quei cibi, consustanziali a loro, carne della loro carne.
S'accorge
di provare un sentimento molto simile alla gelosia: vorrebbe che dai
loro vassoi i paté d'anatra e di lepre dimostrassero di preferire lui
agli altri, di riconoscere in lui il solo che merita i loro doni, quei
doni che natura e cultura hanno tramandato per millenni e che non devono
cadere in mani profane!
[...]
Si
guarda attorno aspettando di sentir vibrare un'orchestra di sapori. No,
non vibra niente. Tutti quei manicaretti risvegliano in lui ricordi
approssimativi e mal distinti, la sua immaginazione non associa
istintivamente i sapori alle immagini e ai nomi. Si domanda se la sua
ghiottoneria non sia soprattutto mentale, estetica, simbolica. Forse per
quanto sinceramente egli ami le galantine, le galantine non lo amano.
Sentono che il suo sguardo trasforma ogni vivanda in un documento della
storia della civiltà, in un oggetto da museo.
Il
signor Palomar vorrebbe che la coda avanzasse più in fretta. Sa che se
passa ancora qualche minuto in quel negozio, finirà per convincersi
d'essere lui il profano, l'estraneo, lui l'escluso.
("Palomar", Italo Calvino, Mondadori)
"Il museo dei formaggi"
«(…) formaggio, il balzo del
latte verso l’immortalità»
(Clifton
Fadiman, Any Number Can Play, 1957)
«Il formaggio è latte e
batteri; tutto il resto è fantasia»
(Isabel
Allende, Afrodita, 1997)
Il signor Palomar fa la coda in un negozio di formaggi, a Parigi. Vuole
comprare certi formaggini di capra che si conservano sott'olio in
piccoli recipienti trasparenti, conditi con varie spezie ed erbe. La
fila dei clienti procede lungo un banco dove sono esposti esemplari
delle specialità più insolite e disparate. E' un negozio il cui
assortimento sembra voler documentare ogni forma di latticino pensabile; già l'insegna "Spécialités froumagères" con quel raro aggettivo arcaico o
vernacolo avverte che qui si custodisce l'eredità d'un sapere
accumulato da una civiltà attraverso tutta la sua storia e geografia.
Tre
o quattro ragazze in grembiule rosa accudiscono i clienti. Appena una è
libera, prende a carico il primo della fila e l'invita a dichiarare i
suoi desideri [...] l'oggetto dei suoi appetiti precisi e competenti.
[...] tutta la fila si sposta avanti d'un passo; e chi finora aveva
sostato accanto al "Bleu d'Auvergne" venato di verde viene a trovarsi
all'altezza del "Brin d'amour" il cui biancore trattiene fili di paglia
secca appiccicati; chi contemplava una palla avvolta in foglie può
concentrarsi su un cubo cosparso di cenere. C'è chi dagli incontri con
queste fortuite tappe trae ispirazione per nuovi stimoli e nuovi
desideri: cambia idea su quel che stava per chiedere o aggiunge una
nuova voce alla sua lista; e c'è chi non si lascia distrarre nemmeno per
un istante dall'obiettivo che sta perseguendo [...] ciò che lui
testardamente vuole.
L'animo
di Palomar oscilla tra spinte contrastanti: quella che tende a una
conoscenza completa, esaustiva, e potrebbe essere soddisfatta solo
assaporando tutte le qualità; o quella che tende a una scelta assoluta,
all'identificazione del formaggio che è solo suo, un formaggio che
certamente esiste anche se lui ancora non sa riconoscerlo (non sa
riconoscersi in esso).
Oppure,
oppure: non è questione di scegliere il proprio formaggio ma d'essere
scelti. C'è un rapporto reciproco tra formaggio e cliente: ogni
formaggio aspetta il suo cliente, si atteggia in modo d'attrarlo, con
una sostenutezza o granulosità un po' altezzosa, o al contrario
sciogliendosi in un arrendevole abbandono.
Un'ombra
di complicità viziosa aleggia intorno: la raffinatezza gustativa e
soprattutto olfattiva conosce i suoi momenti di rilassatezza,
d'incanaglimento, in cui i formaggi sui loro vassoi sembrano offrirsi
come sui divani d'un bordello. Un sogghigno perverso affiora nel
compiacimento d'avvilire l'oggetto della propria ghiottoneria con
nomignoli imfamanti: crottin, boule de moine, bouton de culotte.
Non
è questo il tipo di conoscenza che il signor Palomar è più portato ad
approfondire: a lui basterebbe stabilire la semplicità d'un rapporto
fisico diretto tra uomo e formaggio. Ma se lui al posto dei formaggi
vede nomi di formaggi, concetti di formaggi, significati di formaggi,
storie di formaggi, contesti di formaggi, psicologie di formaggi, se -
più che sapere- presente che dietro a ogni formaggio ci sia tutto
questo, ecco che il suo rapporto diventa molto complicato.
La
formaggeria si presenta a Palomar come un'enciclopedia a un
autodidatta; potrebbe memorizzare tutti i nomi, tentare una
classificazione a seconda delle forme - a saponetta, a cilindro, a
cupola, a palla-, a seconda della cosistenza -secco, burroso, cremoso,
venoso, compatto-, a seconda dei materiali estranei coinvolti nella
crosta o nella pasta -uva passa, pepe, noci, sesamo, erbe, muffe- , ma
questo non l'avvicinerebbe d'un passo alla vera conoscenza, che sta
nell'esperienza dei sapori, fatta di memoria e d'immaginazione insieme, e
in base ad essa soltanto potrebbe stabilire una scala di gusti, di
preferenze e curiosità ed escluzioni.
Dietro
a ogni formaggio c'è un pascolo d'un diverso verde sotto un diverso
cielo [...] ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e
transumanze; ci sono segreti di lavorazione tramandati nei secoli.
Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al
Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha
dato forma e che da esso prende forma.
Questo
negozio è un dizionario; la lingua è il sistema dei formaggi nel suo
insieme: una lingua la cui morfologia registra declinazioni e
coniugazioni in innumerevoli varianti, e il cui lessico presenta una
ricchezza inesauribile di sinonimi, usi idiomatici, connotazioni e
sfumature di significato, come tutte le lingue nutrite dall'apporto di
cento dialetti. E' una lingua fatta di cose; la nomenclatura ne è solo
un aspetto esteriore, strumentale; ma per il signor Palomar impararsi un
po' di nomenclatura resta sempre la prima misura da prendere se vuole
fermare un momento le cose che scorrono davanti ai suoi occhi.
Estrae
di tasca un taccuino, una penna, comincia a scrivere nomi, a segnare
accanto a ogni nome qualche qualifica che permetta di richiamare
l'immagine alla memoria; prova anche a disegnare uno schizzo sintetico
della forma [...].
- Monsieur! Houhou! Monsieur!- Una
giovane formaggiaia vestita di rosa è davanti a lui, assorto nel suo
taccuino. E' il suo turno, tocca a lui, nella fila dietro di lui tutti
stanno osservando il suo incongruo comportamento e scuotono il capo con
l'aria tra ironica e spazientita con cui gli abitanti delle grandi
città considerano il numero sempre crescente dei deboli di mente in giro
per le strade.
L'ordinazione
elaborata e ghiotta che avava intenzione di fare gli sfugge dalla
memoria; balbetta; ripiega sul più ovvio, sul più banale, sul più
pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non
aspettassero che quel suo momento d'incertezza per riafferrarlo in loro
balìa.
("Palomar", Italo Calvino, Mondadori)
"Il marmo e il sangue"
Le
riflessioni che il negozio del macellaio ispira a chi
vi entra con la borsa della spesa coinvolgono cognizioni tramandate per
secoli in varie branche del sapere: la competenza delle carni e dei
tagli, il miglior modo di cuocere ogni pezzo, i riti che permettono di
placare il rimorso per l'uccisione d'altre vite al fine di nutrire la
propria. La sapienza macellatrice e quella culinaria appartengono alle
scienze esatte, verificabili in base a esperimenti, tenendo conto dei
costumi e delle tecniche che variano da paese a paese; la sapienza
sacrificale invece è dominata dall'incertezza, e per di più caduta in
oblio da secoli, ma pesa sulle coscienze oscuramente, come esigenza
inespressa. Una devozione reverente per tutto ciò che riguarda la carne
guida il signor Palomar che s'accinge a comprare tre bistecche. Tra i
marmi della macelleria egli sosta come in un tempio, conscio che la sua
esistenza individuale e la cultura cui egli appartiene sono condizionate
da questo luogo. [...] Si succedono il rosso vivo del bue, il rosa
chiaro del vitello, il rosso smorto dell'agnello, il rosso cupo del
maiale. Avvampano vaste costate, tondi tournedos dallo spessore foderato
d'un nastro di lardo, controfiletti agili e slanciati, bistecche armate
del loro osso impugnabile, girelli massicci e tutti magri, pezzi da
bollito stratificati di magro e di grasso, arrosti che attendono lo
spago che li costringa a concentrarsi su se stessi; poi i colori
s'attenuano: scaloppe di vitello, lombatine, pezzi di spalla e di petto,
tenerumi; ed eco entriamo nel regno dei cosciotti e delle spalle
d'agnello; più in là biancheggia una trippa, nereggia un fegato...
[...]
Dai ganci pendono corpi squartati a ricordarti che ogni tuo boccone è
parte d'un essere alla cui completezza vivente è stato arbitrariamente
strappato.
Il un
cartellone al muro, il profilo d'un bue appare come una carta geografica
percorsa da linee di confine che delimitano aree d'interesse
mangereccio, comprendenti l'intera anatomia dell'animale, esclusi corna e
zoccoli. La mappa dell'habitat umano è questa, non meno del planisfero
del pianeta, entrambi protocolli che dovrebbero sancire i diritti che
l'uomo s'è attribuito, di possesso, spartizione e divoramento senza
residui dei continenti terrestri e dei lombi del corpo animale.
Occorre
dire che la simbiosi uomo- bue ha raggiunto nei secoli un suo
equilibrio (permettendo alle due specie di continuare a moltiplicarsi)
sia pur asimmetrico (è vero che l'uomo provvede a nutrire il bue, ma non
è tenuto a darglisi in pasto) e ha garantito il fiorire della civiltà
detta umana, che almeno per la una sua porzione andrebbe detta umano-
bovina (coincidente in parte con quella umano- ovina e ancor più
parzialmente con l'umano- suina, secondo le alternative d'una complicata
geografia d'interdizioni religiose). Il signor Palomar partecipa a
questa simbiosi con lucida coscienza e pieno consenso: pur riconoscendo
nella carcassa di bue penzolante la persona del proprio fratello
squartato, [...] egli sa d'essere carnivoro, condizionato dalla sua
tradizione alimentare a cogliere da un negozio di macellaio la promessa
della felicità gustativa, a immagianre osservando queste trance
rosseggianti le zebrature che la fiamma lascerà sulle bistecche alla
griglia e il piacere del dente nel recidere la fibra brunita.
Un
sentimento non esclude l'altro: lo stato d'animo di Palomar che fa la
fila nella macelleria è insieme di gioia trattenuta e di timore, di
desiderio e di rispetto, di preoccupazione egoistica e di compassione
universale, lo stato d'animo che forse altri esprimono nella preghiera.
("Palomar", Italo Calvino, Mondadori)
Alla riscoperta della me, piccola lettrice
A
tre anni piangevo perchè volevo la Luna. La vedevo lì, bella paffuta e
lattescente in cielo, dal balcone della mia cameretta, e mi arrabbiavo
perchè nessuno aveva costruito una scala abbastanza alta da permettermi
di afferlarla... In fondo che ci voleva?!??! Mi sentivo piccola e
impotente, e soprattutto inascoltata! Allungavo le mani verso quella
palla luminosa che mi appariva tanto vicina; appena più in là delle mie
dita... sarebbe bastato che qualcuno di prendesse in braccio e sarei
siuscita a raggiungerla! Crescendo ho smesso di desiderare satelliti, ma
ho continuato a "volere la luna",
coltivando un sano spirito di insoddisfazione stimolante che forse un
giorno mi ci condurrà davvero su quel pallone luminoso e un po'
ammaccato... a
cercare il senno perduto come Astolfo per Orlando furioso... Nell'attesa
di compiere questo viaggio ultreterreno ho scoperto che ci sono mondi
altrettanto "esotici", fantastici, straordinari in cui villeggiare per
un po', Lune legittimamente desiderabili e scale con un numero di pioli
sufficienti da poterle raggiungere.
Ho
imparato a leggere! Ho scoperto quegli oggetti sfaccettati, colorati
fuori e spesso pallidi all'interno (come alcuni frutti di paesi lontani)
che sono i libri; misteriose mappe di strade d'inchiostro in apparenza
parallele, ma in realtà destinate a intrecciarsi, intersecarsi,
avvilupparsi in meravigliosi arabeschi mentre le si percorre. E non c'è
navigatore satellitare che tenga: bisogna perdersi, almeno un po'...
distrarsi un attimo e "perdere laTrebisonda"... tanto in un mare di
cellulosa non si annega... e nemmeno in un oceano di duemila pagine!
Ho
iniziato a perdermi nei miei libri ("miei" perchè li ho resi tali, ma
ciascuno ha il diritto di perdersi nei propri e di percorrere le proprie
strade inchiostrate senza pestare i piedi agli altri lettori), e solo
così ho iniziato a "trovarmi"... Non dico RI-trovarmi perchè nella beata
ingenuità che precede l'età della lettura (quella definibile in greco
"dell'alogon zoon", dell'"animale stolto" o "essere privo della
parola") credo di non aver avuto nulla da "riscoprire" di me stessa, ma
tutto da sondare, conoscere, indovinare e indagare con curiosità. Già,
perchè in fondo mi sono sempre considerata una creatura un po' strana,
come quegli animali che si vedono nei documentari (lì e solo lì perchè
mai nella vita capiterà a nessuno che non sia un naturalista di
trovarselo sotto il naso!) e che non si capisce bene se ci ispirino
curiosità o perplessa simpatia; o come quegli strumenti che già dal nome
si capisce che non sapremmo bene da che parte girarli o come
maneggiarli... che so: "astrolabio" o "caleidoscopio"... Bho, alla fine
uno rinuncia e li ficca in un cassetto mentale con il falso proposito di
rispolverarli più in là.
E
per fortuna che, pur avendo tutta questa confusione in testa, mi hanno
chiamata "Chiara"; mi avessero dato nome "Teodolinda" sarei impazzita a
sei anni!
Dunque
i libri mi hanno piacevolmente confusa (perchè mi hanno introdotta alla
conoscenza di me stessa... un gran caos!), abbagliata e affascinata: ho
scoperto che non c'è solo la luna ma anche tantissime stelle e
altrettanti pianeti sconosciuti, e mondi e personaggi, in continua
crescita ed espansione, come l'universo... E che per quanto a lungo
potremmo vivere e per quanto a lungo potremmo leggere prima che ci
caschino gli occhi non riusciremmo mai ad esaurire tutto ciò che è stato
scritto, sarà scritto, potrebbe o dovrebbe essere scritto (è una
visione molto ottimista della capacità creativa dell'umanità, lo
riconosco!).
Così
ho cominciato a esplorare tanti piccoli- grandi mondi, ad abitare
castelli (per aria, su roccia, di carta), a visitare città (visibili,
invisibili, immaginarie, reali), a conoscere un sacco di gente
interessante e a costruirmi una vita affollatissima!
Ma tutto è partito da una stanza (la stessa dalla quale vedevo la luna).
E
forse tutto è iniziato con un libro, questo libro: "Matilde", un elogio
all'intelligenza e alla curiosità infantile, una celebrazione della
lettura come una delle esperienze più alte di crescita interiore, di
appagamento, di auto-rassicurazione... e anche un po' di compensazione.
Ci
sono tanti modi per rendersi "felici": compiere un viaggio, accarezzare
un animale (ovvio, magari non una capra...penso piuttosto a un gatto
morbito o a un coniglio cicciottello), intrecciare le dita attorno a una
tazza di tè caldo (o caffè o cioccolata o latte, ecc ecc), mangiare un
pasticcino, accoccolarsi sotto una coperta calda.... e perchè no:
rifugiarsi in una biblioteca accogliente, meglio ancora se la
bibliotecaria si chiama "signorina Felpa"! Basta dire il nome per
sentirsi in pigiama e pantofole, pronti alle coccole!
Dunque GRAZIE "Matilde" per aver insegnato, a me e a tanti altri piccoli/futuri adulti, alcuni di questi momenti di gioia!
Dedicato
a un libro geniale, rassicurante, intelligente e anche un po'
commovente, che ha fatto germogliare in me il seme da cui è fiorita la
lettrice di oggi... inestirpabile e inarrestabile come un'erbaccia!
Un'erbaccia felice, con tanti piccoli mondi conservati l'uno accanto
all'altro (e forse l'uno "nell'" altro) nel cuore, nella mente e nella
libreria.
"La donna del monte ha detto no"
E'
inverno, ha nevicato, anche il Natale è passato...non ci sono più
ragioni per starsene tappati in casa, di fronte a un piatto fumante di
spezzatino di cervo con polenta... Ma proprio quando si raggiunge quello
stato di letargia che ci indurrebbe a non più muovere un alluce da
sotto il plaid (che ormai è diventato una protesi del divano) e a
ringraziare quotidianamento il Signore per il fatto di non possedere un
cane da dover accompagnare sottocasa alle 6.30 del mattino per fargli/ci
congelare il posteriore...Track!!!!!!!!!!Arriva la tragica presa di
coscienza:
"Bisogna" andare a sciare!
"Allo skilift c'era la coda [...] e, a ogni passo avanti che la coda faceva -una lunga coda che invece d'andar dritta, come pure avrebbe potuto, seguiva una casuale linea a zig-zag, un po' in salita un po' in discesa- pesticciando in su oppure scivolando giù di fianco a seconda del punto in cui si trovavano, e subito puntellandosi ai bastoncini, spesso andando a gravare del proprio peso i vicini di sotto, o cercando di liberare racchette di bastoncini da sotto a sci dei vicini di sopra, inciampando negli sci andati a mettersi per storto, chinandosi ad aggiustare gli attacchi e arrestando così tutta la fila, togliendosi le giacche a vento o i maglioni o rimettendoseli a seconda se il sole appariva o spariva, ricacciando le filze di capelli sotto il copriorecchi di lana o gli sbuffi della camicie a scacchi dentro le cinture, cercando i fazzoletti nelle tasche e soffiandosi i nasi rossi e gelati, e per tutte queste operazioni togliendosi e rimettendosi i guantoni che talvolta cadevano nella neve e bisognava con la punta dei bastoncini ripescarli: quest'agitazione di piccoli gesti scomposti percorreva la fila e diventava frenetica al suo culmine, là dove bisognava aprire le cerniere-lampo di tutte le tasche per cercare dove s'erano cacciati i soldi per il biglietto oppure il tesserino e porgerlo all'uomo dello skilift che ci faceva i buchi, e poi rimettersi la roba nelle tasche, e i guantoni, e unire i due bastoncini unocon la punta infilata nella racchetta dell'altro per tenerli con una mano sola, tutto questo superando la piccola salita della piazzola dove bisognava essere pronti a mettersi a posto l'àncora dello skilift sotto il sedere e a lasciarsi trascinare su di strappo."
("L'avventura di uno sciatore", in "Gli amori difficili")
Così Calvino descrive l'esperienza sciistica. Un incubo.
Freddo
e conseguenti disagi di ogni tipo: abbigliamento da omino Michelin che
implica l'impossibilità pressochè totale di fare pipì per l'intero arco
della giornata, caschetto antiestetico al 200%, rischio costante di
finire spiattellata contro un pino o di rompersi l'osso del collo
venendo investiti da quelche sconsiderato gnomo sfrecciante sui ghiacci,
dotato di microsci da parte di genitori speranzosi di liberarsene prima
del raggiungimento dell'età della ragione e del senso del pericolo...
Aggiungerei: alla modica cifra di 38 € al giorno!!!
Alternativa:
ciaspole e pelli di foca per lunghissime faticosissime passeggiate alla
volta di stupendi panorami, che una volta raggiunti (a patto di
arrivarci), in stato di totale sconvolgimento, non si avrebbe la forza
di ammirare...
A parte il
fatto che l'idea di mettermi addosso qualcosa che evochi anche
lontanamente la foca (animale simpaticissimo da piccolo, ma che da
adulto ricorda piuttosto un sacco unto e pesante, munito di pinne e
troppo largo per il suo contenuto...) mi fa ribrezzo, non capisco perchè
mio marito scalpiti tanto all'idea di trasportarmi qua e là in alpeggio
come una capra o una mucca da transumanza! Non sono Heidi e lo
"stracchino" (che si produce notoriamente con il latte delle mucche
"stracche") lo posso comodamente acquistare nel supermarket sotto casa,
senza doverlo produrre io stessa! Mah! ci sono cose che non capirò
mai...!
E pace sulle piste agli uomini (e alle donne) di buona volontà!
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