giovedì 22 gennaio 2015

lessemi e lenticchie


Da  «adulescere» a «zoccolaggine»: 1.500 nuove parole nello Zingarelli 2014.

New-entries: «inzitellito», «rosicone», «shortino» e «hasthtag»

Mentre il termine «rottamatore» si arricchisce del significato di «renziano»…



Il vocabolario della lingua italiana vanta un patrimonio stimato tra i 215 e i 270.000 vocaboli (sebbene le parole “dicibili e scrivibili”, cioè le “forme di lessemi” siano più di 2 milioni); un numero in costante aumento viste le continue acquisizioni che il lessico fagocita: neologismi, prestiti interlinguistici, neoformazioni, prestiti dal linguaggio tecnico o giovanile, lessico settoriale, voci gergali, regionalismi e dialettismi divenuti d’uso, alterazioni (mediante prefissi, infissi e suffissi).
Di questa promiscuità lessicale, 47.000 vocaboli costituiscono il cosiddetto “linguaggio comune”… insomma l’italiano pret a porter, alla portata di tutti gli individui che abbiano superato la fase di alogon zoon (“animale afono”); le statistiche ne concedono 6.500-7.000, il cosiddetto “vocabolario di base” che copre il 95% dei discorsi comuni a coloro che non siano proprio capre spinte fuori dal sistema scolastico a calci nel didietro, di cui 2.000 voci costituiscono il lessico detto “fondamentale” (insomma quello che di poco ci discosta da “Fido”). Chi invece avesse qualche aspirazione "erudita" dovrebbe locupletare il proprio vocabolario con altre 2.500 voci considerate di livello medio-alto (quello che copre appena il 6 % dei nostri discorsi) … il fatto che comprenda «idiota» e «impaurire» ci restituisce la catastrofica immagine della competenza linguistica italiana...

La colpa? Ricominciare la tiritera di scuola, famiglia, TV, giornalisti analfabeti, ecc. è "anacronistico", "obsoleto" (e chi non sa cosa vuol dire se lo vada pure a cercare sul dizionario!). 


Non voglio qui addentrarmi nel ginepraio della polemica, anche perchè non ho alcuna velleità di "cruscante" e l'unica "crusca" che al momento rientra nell'orizzonte dei miei interessi è quella (con la minuscola) contenuta nel muesli della colazione; sullo sfacelo dell'italiano "standard" (definizione accattivante per indicare la diffusa ignoranza camuffata da "consuetudine" comunicativa) mi soffermerò un'altra volta.

Però mi concedo una breve considerazione: noi poveri esseri umani evolviamo dallo stato animale e ci conquistiamo la dignità di essere finalmente considerati creature razionali dal momento in cui cominciamo a padroneggiare il linguaggio, per esprimere pensieri, volontà, consapevolezza mediata di noi stessi e del mondo che ci circonda… Nel momento in cui smettiamo di balbettare “Ua-Ua” e cominciamo a chiedere “Acqua” e quando anche per noi il "bau" diventa un "cane", ci conquistiamo a pieno titolo l’ammissione nella comunità degli esemplari senzienti.

Eppure non si sa per quale strana evoluzione, per un verso o per un altro, finiamo con l’esprimerci come dei ruminanti trogloditi o come dei veri e propri alieni col cervello sciroppato dalle radiazioni dei cellulari. E mentre le "Tre corone", i padri del dialetto fiorentino trecentesco, si rivoltano nei loro sepolcri noi ci affidiamo agli Smart phone: i cellulari “intelligenti”, tanto che riescono a sapere prima e meglio di noi cosa intendiamo scrivere al nostro interlocutore virtuale e accorrono in soccorso della nostra incompetenza linguistica con provvidenziali “suggerimenti”. Pazienza se poi invece di un “consiglio” inviamo un “coniglio” e invece che imporre a qualcuno “smettila” gli chiediamo un “alettone”… conserviamo i neuroni in gelatina, non si sa mai che un domani potremo venderli o cederli in comodato d’uso…

“Tvb, kk, tt, nn, xkè, wfq”, ecc…Avanguardismo linguistico? No, soltanto che col nuovo millennio siamo diventati non solo intolleranti al glutine e al lattosio ma anche allergici alle vocali e alla subordinazione; le care buone vecchie proposizioni relative, completive, infinitive oggettive…!!! Chi le ricorda più?  Oggi tirano forte italiano standard e lo stile “brillante”, giornalistico e un po’ antipatico... Ed è la diaspora dei significati!


Tornando al nostro vocabolario interiore: della sterminata varietà linguistica potenzialmente disponibile, dobbiamo togliere la percentuale delle parole che non conosciamo (cioè quelle udendo le quali assumiamo la significativa espressione da triglia bollita) e quella delle voci che ci asteniamo dal pronunciare (o perché pur essendo giunte alle nostre orecchie non sapremmo inserirle correttamente in un discorso o per evitare che il 98% dei nostri interlocutori le interpreti come primo sintomo di un nostro ictus imminente... o dia un'occhiata alle nostre spalle per scoprire se ci sta spuntando la coda a seguito di un rapimento alieno!). Ci sono poi le parole che tutti sanno, dicono e pensano, ma da cui sono ufficialmente “astemi”: per esempio le parolacce, più o meno “raffinate” o i “neologismi domestici”, fenomeni associativi per cui l’accappatoio diventa acchiappa-topi e il dentifricio si trasforma in un discriminante dentifrocio, oppure con un’immotivata “metatesi” le pantofole si mutano in panfotole.

Sono i nostri salvagenti mentali, gli strumenti che ci inventiamo per sublimare le nostre carenze espressive e tappare i vuoti lessicali: tutti noi abbiamo (più o meno consapevolmente) un vero e proprio "sgabuzzino" interiore, in cui releghiamo scope e parole. Ci ficchiamo dentro, destinandole a immeritato oblio anche quella sfilza di termini che ci costringono a imparare in prima elementare e il cui unico scopo apparente è quello di far divertire sadiche maestre, mentre correggono disastrosi dettati a colpi di penna rossa.

Esempio: "soqquadro". É una di quelle parole che suonano simpaticamente inutili (se non a scopo illustrativo) che ti insegnano insieme a far germogliare le lenticchie nelle confezioni delle uova riempite di ovatta (come se la massima aspirazione di tutti gli alunni di sei anni per il loro futuro fosse quella di avviarne una coltivazione domestica, affermando la propria autarchia alimentare!) e che sai già che userai un paio di volte al massimo in tutta la vita, e che entrambe le volte suderai freddo di fronte alla chimera della doppia Q!!!

Ma anche al trauma del "soqquadro" si sopravvive... così come si supera il dilemma tra valige o valigie, coscenza o coscienza, familiare o famigliare... Finiamo le elementari, ci barcameniamo tra medie e superiori... I più ambiziosi (o i figli di genitori ambiziosi) finiscono all'università per conquistarsi qualche altro acrostico da premettere al proprio cognome. Il mondo pullula di "Avv.", "Dott.", "Arch.", "Ing." che non hanno ancora superato l'epoca in cui coltivavano lenticchie nell'ovatta e non sanno che l'"abbrivio" non è uno dei sintomi dell'influenza, che l'"Alchermes" non è un paese del Medio Oriente,  la "Salmonella" non viene servita come antipasto nei ristoranti di lusso e che essere "automuniti" non significa avere un deficit fisico inguaribile...

Forse allora, ripensandoci, le maestre che tentavano di iniziarci alla coltivazione dei legumi avevano lungimiranza sui tanti somari che avrebbero fatto meglio a sostenere l'agricoltura nazionale piuttosto che ad appollaiarsi dietro alle scrivanie dandosi aria di gran signori. Eppure ormai si sa: anche alle piante bisogna parlare... e con un vocabolario sterile come l'Atacama, al massimo possiamo sperare che cresca qualche cactus o una colonia di licheni...


















sabato 17 gennaio 2015

Il (pro)fumo di un'altra...









Sì, questo mondo è piatto, e quanto all'altro, frottole.
Senza speranza vado mansueto alla mia sorte;
per ammazzare il tempo, aspettando la morte,
fumo in faccia agli dei sottili sigarette.

Su, viventi, affannatevi, o scheletri futuri.
Me, l'azzurro meandro che verso il cielo si torce
mi sprofonda in un'estasi infinita e m'addorme
come ai morenti aromi di mille bruciatori.

Ed entro nel fiorito eden dai sogni chiari,
dove elefanti in fregola si intrecciano alla fioca
danza delle zanzare, in fantasiosi valzer.

E quando poi pensando ai miei versi mi scuoto,
contemplo, il cuore pieno di dolce gioia, il caro
mio pollice arrostito come un cosciotto d'oca.

(Jules Laforgue, La sigaretta)


Cica, cicca e chica... Dal latino cicus o ciccus, "pellicola sottilissima che avvolge i semi dei frutti" o, nell'uso metaforico, "un nonnulla", "un minimo"... Considerando l'origine comune, mi chiedo per quale delirante scherzo etimologico si sia passati da "buccia" a "ragazza" ma anche a "mozzicone"... ma non posso esibire una competenza plurilinguistica sufficiente per ritenermi offesa dall'accostamento.  In fondo a separare i tre concetti c’è non solo una consonante ma nientemeno che la caduta dell'impero romano d'Occidente (!)... con conseguente minestrone di lingue romanze.
In ogni caso, per i devoti del dio Tabacco, l'associazione dell'immagine femminile alla sigaretta potrebbe non essere così stravagante. 
Primo piacere del mattino, virgola affascinante tra le labbra di Hanfry Bogart, ultimo desiderio dei condannati a morte nei film americani, la sigaretta rappresenta per qualsiasi dissoluto fumatore un vero e proprio oggetto del desiderio, una un'amica, una compagna con cui condividere momenti di stress o relax... insomma, quasi un'amante da taschino! Esile, bianca e taciturna come una Geisha... Tanto che alcune mogli ne sono gelose.
Certo, alzarsi nel cuore della notte e trovare il proprio consorte chiuso in bagno, seduto sulla tazza in pigiama, mentre si inebria di nascosto dei fumi di una Marlboro, è un po' triste... Forse un tempo eravamo noi il motivo per cui si destava anelante... Però diciamoci la verità: essere svegliate alle tre del mattino per fare "Picci-picci" può essere piacevole per il primo anno di fidanzamento (facciamo due?), ma non oltre! Dopo qualche tempo di menage coniugale il sonno diventa un territorio sacro, il regno di una pace inviolabile... E il nostro spasimante rischierebbe di vedersi ricambiato l'entusiasmo notturno con una gomitata in un occhio!
Non possiamo negare che a confronto con una consorte un po' lunatica, che si aggira per casa coi bigodini sulla testa e la faccia coperta di argilla color ramarro, la sigaretta può offrire almeno il conforto della stabilità e assicurare 8 cm di godimento, senza gli svantaggi dei preliminari o delle sfuriate domestiche.
Una donna non si può portare nel taschino in una pratica scatoletta, né (in linea di principio) farla pendere a lungo dalle proprie labbra; ogni tanto potrà fumare di rabbia...ma non è concesso capovolgerla in un piattino e porre fine ai suoi capricci... Non si può spegnere a comando una moglie né cambiare marca di fidanzata. E poi con una donna "accesa" non c'è "filtro" che tenga: dice tutto quello che pensa... e dopo l’incendio  si raccolgono le ceneri...
Ma non mi è ancora capitato di vedere una sigaretta che faccia la spesa al supermercato, cucini, carichi la lavatrice, organizzi feste di compleanno, pianga per film lacrimevoli, canti sotto la doccia, litighi col navigatore satellitare in auto, addobbi l'albero di Natale, faccia le ore piccole per cucire ai pargoli i costumi per la recita scolastica... In fondo se 9 volte su 10 i mariti che "escono a comprare le sigarette" poi tornano a casa, ci sarà un motivo!
Allora, o lussuriosi della nicotina, perdonateci il difetto di essere un po' più bisbetiche della vostra amante fumosa e attraverso la cortina sottile di fumo dietro cui vi schermite, riconosceteci per quelle che siamo, eravamo e saremo sempre, magari con qualche ruga in più o qualche capello in meno... tra i "meandri che si torcono verso il cielo" in volute danzanti, continuate a respirare anche il nostro aroma di casa, caffè, shampoo, pioggia e bambino... e magari, tornando indietro dal tabaccaio, ogni tanto portateci un fiore.