sabato 16 marzo 2013

La semplicità ingannata

(15- 24 marzo, Teatro Verdi, Milano)

Friuli, XVI secolo.
Aprendo il sipario su un contesto storico e culturale in cui la nascita di una figlia femmina rappresenta di per sè una perdita economica, e il mercato matrimoniale è segnato dalla costante "inflazione delle doti", lo spettacolo di (e con) Marta Cuscunà prende avvio con una simpaticissima "asta delle spose"; fanciulle conservate nella loro integrità fisica e morale (come vasetti di cetriolini sott'aceto) dalle cure attente dei padri, vengono offerte in moglie al miglior partito (quello disposto ad accettare una dote minore) scelto tra parenti più o meno prossimi (in modo da "far rientrare la dote facendo sposare il fratello della fanciulla con una sorella dello sposo") o nel ricco mercato dei vedovi ("che però, avendo già fatto esperienza del matrimonio, erano molto attenti all'indole della fanciulla che si mettevano in casa").

Prima alternativa al matrimonio è rappresentata dalla "carriera" di cortigiana onesta: unico esempio di donna indipendente, che poteva investire su se stessa e contrattare (se stessa) con gli uomini sul loro stesso piano; libera di una libertà (o licenza) "concessa dall'uomo per la propria comodità" ma in qualunque momento revocabile.
Seconda alternativa è quella del monacato, della sottomissione volontaria all'imposizione di un modello femminile indesiderato ma che le candide spose di Cristo finivano per credere proprio per un'ossimorica "vocazione imposta" dai padri e accettata dai vescovi.
Proprio un'esistenza di "assoluta normalità" dietro a "grate di ferro irremovibile" è ciò che attende la protagonista Angela, novella Gertrude manzoniana, intrappolata nei fili di una tragedia intrecciati verso una lugubre fine, destinata a compiersi con inesorabile puntualità.
Il "libro primo" della Semplicità ingannata ricalca dunque le forme di un dramma (attori e assistenti di scena: interesse, frode, ipocrisia, inganno, tradimento) che si conclude con la cerimonia funebre della novizia costretta, con un voto solenne, un giuramento inviolabile di OBBEDIENZA, nodo INDISSOLUBILE da forza umana, in una bara di velo nero, sepolcro di libertà.

Il "libro secondo" si affaccia all'interno del recinto del monastero di Santa Chiara di Udine, dove le novizie, docili e umili pecorelle nell'ombra del chiostro, con la testa abbassata e la bocca "preferibilmente chiusa", fanno "stridere i denti nelle maledizioni contro i padri che disposero, i vescovi che permisero e coloro che assistettero al sacrificio".
Proprio qui suor Mansueta, suor Innocenza, Immacolata, Beata, Teodora e Benedetta, (impersonate dai pupazzi in abiti monacali e dall'aspetto di simpatici corvi su un trespolo, cui l'attrice dà magistralmente voce e vita), organizzano una RIVOLTA DELLE MONACHE (!!!), anche se "non sta bene" e anche se "noi donne non siamo fatte per riflettere".

"Ma che fare per ribellarsi?" 
"E proprio all'ora di cena??"
"Non saranno i digiuni che danno alla testa?" 
"Non sarà l'orologio biologico che fa urlare al corpo - Sono fatto per dare la vita: liberami!-?"
 
Il monastero delle Clarisse si trasforma in un luogo di salvezza, in cui diviene possibile la creazione di una società tutta al femminile, basata sulla cultura e capace, (attraverso "mitragliate di idee femminili") di riscrivere la cultura stessa e le regole sociali, sottraendole all'egemonia maschile.
Le suore rivoluzionarie divengono "trafficanti di carta stampata non autorizzata" (Vangeli e Bibbie in volgare, trattati di alchimia e astronomia, testi di medicina e matematica, commedie di Plauto, edizioni del Decamerone non "purgate", opere di Paracelso sulla natura del mondo e di un universo infinito e increato), trasformano gabinetti e materassi del convento in veri e propri archivi proibiti e iniziano a riflettere sull'assurdità dell'idea che la vita sia generata da un Dio maschio che partorisce un figlio maschio... molto più logico supporre che "Dio è una donna!".

Il fervore culturale del Friuli del Cinquecento travolge anche queste donne (al pari di quelle chiuse tra le mura domestiche) come uno sciame di api di fronte a un paniere di fiori, conquistando loro la stima e il rispetto di tutta la cittadinanza di Udine, che riconosce in esse una guida per la comunità e le difende dalle accuse di eresia mosse dal vicario patriarcale Jacopo Maracco, che vuole processarle.
In pieno clima di Controriforma, le Amazzoni della cultura libera e critica, non si lasciano però intimorire dal tentativo di "riformarle" e, sulle note di una colonna musicale degna di "Mezzogiorno di fuoco", affrontano il vicario (che ricalca ironicamente e grottescamente la gestualità del manzoniano don Abbondio sorpreso dai bravi), perchè "questo processo non s'ha da fare, nè domani, nè mai"...
Il processo invece si farà, a Venezia, di fronte all'inquisitore Francesco Barbaro: le monache, accusate di aver pregato "con le terga rivolte all'altare", di aver tenuto nel monastero due immagini sacre "incrociate" ("Ma ce le hanno date già così, con quel povero figliolo già inchiodato!") e di non essere a conoscenza dell'abolizione del limbo da parte dei vertici del cattolicesimo ("Ma perchè, dava fastidio a qualcuno??"), si difenderanno strenuamente esibendo tutto il trito armamentario degli stereotipi femminili, fingendosi "autentiche svampite oche" per "addomesticare gli uomini" e "dare a Cesare quel che è di Cesare"...
Assolte, le clarisse preserveranno il loro spazio di libera contestazione e di libero pensiero (siamo nel 1560 circa), fino ad essere dimenticate e poi (60 anni dopo) disperse. Il loro ordine verrà smembrato dall'autorità costituita e ogni prova o documento del loro minaccioso esperimento di società femminile verrà distrutto. Le "pericolose donne" verranno ricondotte nuovamente sotto il giogo della santa obbedienza... Forse.
Con intelligenza, ironia, freschezza e profondità, questo spettacolo, dà nuova voce alla problematica (spesso trascurata) della condizione femminile attraverso i secoli; celabra il pensiero critico come forma di affermazione di dignità personale, esalta la cultura come strumento di libertà capace di oltrepassare qualsiasi barriera: sia essa una grata di ferro, un velo nero o una cortina di pregiudizi e discriminazione sessuale.  Ammirevole inoltre l'indubbia capacità artistica di questa giovane attrice, che riesce a coinvolgere il pubblico incessantemente per 90 minuti di monologo, suscitando emozioni eterogenee, sorrisi e riflessioni. Attraverso la voce di Marta Cuscunà prendono vita personaggi "reali", credibili, divertenti per quanto "impegnativi", appartenenti ad entrambi gli universi maschile e femminile, rappresentanti di sistemi di valori contrapposti, di pregiudizi fossilizzati e, dalla parte opposta, di un desiderio di libertà destinato a prevalere grazie all'intelligenza, alla forza, alla femminilità in tutte le sue possibili declinazioni.








venerdì 15 marzo 2013

Habemus papam

Papa nuovo... Chiesa nuova? Speriamo...
Nessun commento religioso... perchè ho una concezione di "fede" troppo personale e "umana" per mettermi in cattedra, quindi solo qualche notizia "storica" (con ironia magari, ma con rispetto) a partire dalla scelta del nome Francesco da parte del nuovo papa.
Famoso nell'immaginario comune soprattutto per la capacità di chiacchierare coi fringuelli (uno degli aneddoti indelebilmente scolpiti nella memoria di ogni bambino che abbia frequentato il Catechismo!), l'immagine di questo santo andrebbe ricordata per ragioni ben più significative. Era figlio di una ricca famiglia borghese di Assisi, che aveva fatto fortuna grazie ai commerci di stoffe in Provenza, ma all'interno della quale l'armonia coniugale non doveva essere molto dissimile a quella moderna ("Mamma posso?", "No"; "Papà posso?", "Si"...il tutto nell'arco di 10 secondi), considerando che il padre cambiò in Francesco (in onore della Francia dalla quale era derivata la sua ricchezza) il nome originario Giovanni, con cui la madre lo aveva battezzato!
Come tutti i "figli di papà" (e io ne conosco un bel po'), Francesco trascorse la giovinezza in maniera piuttosto "allegra", folleggiando e gozzovigliando in compagnia di altri individui che certamente non spiccavano per morigeratezza e castità. 
Sulla sua conversione non ci sono notizie storiche certe... bisogna affidarsi all'agiografia. Quel che si sa è che prima di arrivarci dovette arrivare in punto di morte per un paio di volte, avere un paio di rivelazioni notturne, partecipare a una guerra (e mezzo, visto che una di queste apparizioni lo distolse dal progetto di partecipare alle crociata del 1203-1204)... Insomma, ci ha messo un po'...
D'altronde, anche senza illuminazioni particolari, ci vuole fegato per rinunciare alla bambagia e adottare la juta, che punge, prude e ha una rigidità che farebbe disperare anche "Coccolino"... altro che "lavato con Perlana!", lì sì che ci vuole un miracolo!
Passando da un estremo all'altro, Francesco comiciò a distribuire ai quattro venti le ricchezza della famiglia, ad abbracciare e baciare i lebbrosi che gli si paravano davanti e a chiedere l'elemosina... Nel 1205, mentre pregava in San Damiano, disse di aver sentito parlare il Crocifisso.
Ora: che i concittadini nutrissero qualche dubbio sulla sua salute mentale possiamo comprenderlo... Ciò che stupisce è quanto siano sempre i genitori a comprendere e sostenere meno le scelte dei propri figlioli!
Il padre cercò, all'inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo alla gente. Poi decise di denunciarlo ai consoli e di provocare la sua condanna da parte della città, allo scopo (e qui si entra nell'ambito della pedagogia più eccelsa!) di mettergli strizza e fargli cambiare atteggiamento.
Il buon genitore rimse con un palmo di naso quando Francesco depose tutti i vestiti, si denudò totalmente davanti a tutti e rinunciò, insieme ad essi, alla paternità del suo padre terreno (oggi diremmo "emancipazione"... libertà). 
Ma uno sarà o meno libero di andare in giro in mutande e fare del bene al prossimo o biosgna giustificarsi e scusarsi anche di questo!
Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un ignorante, un "pazzo" ovvero un "giullare", pregando, meditando, predicando (in maniera semplice e, per una buona volta, comprensibile!), assistendo i lebbrosi e vivendo di elemosina, secondo l'esempio di Cristo.
"Povertà", "obbedienza", "umiltà", "castità" e "fraternità" (insieme alla predicazione itinerante e allo spirito missionario) sono gli aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli, uno stile di vita che attrasse anche le donne (FINALMENTE!!!!) e fu capace di incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno della Chiesa (senza porsi come antagonista ad essa scivolando nell'eresia). 
Insomma, quelli a cui Francesco stava più sulle balle erano gli ecclesiastici gozzoviglianti e corrotti del XIII secolo, pappa e ciccia con gli interessi materiali e politici dell'epoca (cosiddetta Lotta per le investiture) e tutti i ricconi della neonata borghesia comunale, il cosiddetto popolo grasso, intrallazzone e con un pelo sullo stomaco spesso come una moquette, che doveva sentirsi non poco punti sul vivo dalla sua predicazione.
Niente di diverso rispetto l'Italia dagli anni 80 ad oggi!
Dunque tanti auguri (si possono fare gli auguri al pontefice?) al nuovo papa, che ha scelto (per la prima volta -il che la dice lunga!-) un nome così impegnativo e significativo. Mi sa che la benedizione questa volta ci vuole proprio!


lunedì 11 marzo 2013

Retrospettiva sulla mimosa

11 marzo.
La mimosa si è ormai afflosciata e, dopo averci impallinato tutta casa con i suoi micro-pon-pon color pulcino, ci guarda spennacchiata dal bicchiere che le fa da improvvisato, inutile, abbeveratoio.
A questo punto possiamo abbandonarci a qualche riflessione schietta sulle donne e sui loro rapporti reciproci... dirci un po' di verità.







Le donne SI ODIANO. Smettiamola di raccontarci la bella favola dell'amicizia femminile, della solidarietà di genere; siamo competitive, invidiose, rivali, nemiche.
Le "donne" nascono tali, e, fin da bambine, farebbero di tuto per vedere sgozzata la bambola della compagna di giochi, o per strapparle qualche ricciolo ("Facciamo che io ero la parrucchiera..." e strack! giù a colpi di spazzola!).
Piccole Attila vestite di rosa- fucsia, con scarpette di vernice e innocenti codini, ci siamo affilate le unghie fin dai primi giorni di scuola materna!
Ricordo ancora, alle feste di Carnevale, la guerra delle fatine all'ultimo coriandolo, mentre coccinelle che cercavano di strapparsi vicendevolmente le ali (di collant e fil di ferro), e principesse svolazzanti di tulle che si adoperavano per accaparrarsi il principe azzurro col triciclo migliore a colpi di scettro di plastica! La vita in rosa è una jungla...da sempre!





Quando si raggiunge l'età della "sragione", cioè quando gli ormoni di impadroniscono di noi (e siamo intorno ai 12 anni, perchè noi siamo precoci!) facendoci capire che "i maschi" sono qualcosa di diverso da rospetti insignificanti foderati di grembiule azzurro con lo zainetto dell'Uomo Ragno e le scarpe dei Pockemon (come ci apparivano fino a qualche mese prima)... allora inizia la "guerra delle tette". Chiamatele come volete:frutti di Venere, cuscini di Marte, air-bag, balcone...ma resta il fatto che tutte le desideriamo enormi come se dovessimo piantarci i geranei! E allora cominciamo a spiarci con la coda dell'occhio, per vedere con chi delle nostre compagne Madre Natura sia stata più generosa, e a camminare impettite come trofi tacchini. E, visto che siamo in guerra e in amore, tutto è lecito, compresi l'imganno e l'uso dell'artiglieria pesante: reggiseno imbottito... cosa "reggerci" dentro resta un'altra questione.



Si cresce e si mette giudizio. Si capisce che non val la pena di sprecare tanto tempo ed energie nello scontro diretto, nella battaglia in campo aperto (perchè "ormai siamo donne adulte", con una certa sicurezza e tanti impegni!); si opta per la tattica del logoramento... si temporeggia (come Quinto Fabio Massimo...). Ovvero si aspetta e ci si limita a godere dell'altrui decadimento!


Chi di noi fanciulle non ha gioito internamente (e non solo) scoprendo che la compagna di scuola odiosa, quella carina, boccoluta, col faccino angelico e il cuore satanico, la cocca della maestra, prima della classe, perfettina, non vista dai tempi dei collant rosa e delle treccine coi fiocchi,  ha sviluppato con gli anni un lato B grande come una portaerei? O incontrando a una cena di gala un' "amica" con un brufolo extralarge sulla punta del naso???

L'indagine volta all'individuazione dei punti deboli delle avversarie continua, ma l'assedio diviene elegante e le armi si raffinano. Si combatte a suon di consigli sui cosmetici abtirughe e di finti complimenti che sibilano nell'aria come frecce avvelenate: "Non sei cambiata per niente!" (in realtà significa: "Sei una cariatide, ma si vede che ti impegni tanto per cercare di nasconderlo"); "Si vede proprio che sei una donna impegnata!" (traduzione: "Stai proprio una schifezza! sei sbattuta come un polpo pronto per la bollitura"); "Ma come ti vedo in salute!" ("Sei ingrassata come una barca!").

Insomma, diciamoci la verità: a cosa serve tutta l'esibizione di abiti, trucco, capelli, tacchi, pezzi nudi variamente localizzati di pelle eburnea esibiti nelle occasioni "speciali" se non a far traboccare d'invidia le altre esemplari femminili che tentano di marcarci intorno il territorio e rubarci la scena? e a farle sfigurare ovviamente! al pari di quando a 4 anni urlavamo alla mamma "E' stata lei!!!" (dal punto di vista maturità in questo caso non è cambiata una virgola!).
Ammettiamolo: soffriamo tutte della sindrome del fenicottero: amiamo stare sul piedistallo...per quanto l'equilibrio sia precario!


Il Capodanno è l'apoteosi del wrestling femminile implicito, quando si schiatta di freddo con apparente noncuranza, mentre gli uomini se ne stanno tranquilli e serafici nei loro maglioni a girocollo, sprofondati nei loro pullover, cappitti e pastrani???? senza minimamente sospettare la guerra fredda -letteralmente- che si svolge tra le ospiti introno a loro? E se riusciamo a strappare qualche occhiata di odio invidioso ce ne torniamo a casa con la scritta "Findus" tatuata in fronte (o in qualche altro posto) ma trionfanti come se avessimo ricevuto il Nobel per la competitività femminile!


Siamo le nostre peggiori nemiche e le nostre più degne avversarie. A differenza degli uomini (che diaciamocelo, nelle loro dispute sono piuttosto grossolani... al massimo vola qualche marovescio...) siamo raffinatamente cattive, subdole, calcolatrici e vendicative, soprattutto nei confronti delle nostre simili; mica per niente la mitologia antica è popolata di Erinni, Sirene, e altri esseri spaventosi del gentil sesso e le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, hanno per protagonista uno stuolo di donne poco raccomandabili... 
Allora pensiamoci bene... siamo davvero il sesso debole???

giovedì 7 marzo 2013

risotto con pere e speck


Ingredienti per 4 persone:
  • 350 g di riso
  • 1 cipolla
  • 1 l di brodo vegetale
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 2 cucchiai d'olio extravergine d'oliva
  • 12 fette di speck
  • 1 pera williams non troppo matura
  • 80 g di parmigiano grattugiato
  • pepe nero macinato al momento

Praparate il brodo e tenetelo in caldo; affettate sottilmente la cipolla e fatela imbiondire in una padella con 2 cucchiai d'olio extravergine, quindi tenetela da parte e, nella stessa pentola, fate tostare il riso. Sfumate col vino bianco e lasciate evaporare. Aggiungete un mestolo di brodo e rimettete in padella la cipolla. Proseguite la cottura aggiungendo un mestolo di brodo caldo alla volta e mescolando spesso.
Nel frattempo sminuzzate le fette di speck (in alternativa potete utiliazzare anche 100 g di speck a cubetti o tagliare a mano una sola fetta spessa), tenendone 4 da parte per la decorazione. Lavate la pera e dividetela in due metà di cui una andrà sbucciata e tagliata a cubetti, l'altra andrà tagliata a fettine sottili per decorare i piatti. 
A metà cottura del riso incorporate la pera tagliata a dadini e lo speck sminuzzato. Quando il riso sarà pronto spegnete il fuoco, mantecatelo con il parmigiano e distribuitelo nei piatti individuali. Spolverate ogni porzione con un po' di pepe macinato al momento, decorate con una fetta di affettato disposta a forma di rosellina e con qualche fettina di pera. 
Talmente bello che dispiace mangiarlo!

venerdì 1 marzo 2013

"Specchio specchio delle mie brame..."

Breve riflessione sul binomio specchi-ascensori e sugli effetti deleteri che esso può provocare sull'autostima femminile.

Ogni donna "normale" (il cui livello di vanità si collochi legittimamente ad un'equa distanza tanto dall'affogare in uno stagno di narcisismo quanto dalla trascuratezza da camionista) trascorre in media 45 minuti al giorno "riflettendosi"... ovvero osservando la propria immagine riflessa in superfici di vario genere.
Tale calcolo è riferibile ai giorni feriali, ma può raggiungere le 4-5 ore durante i dì di festa, in cui alle tradizionali pratiche di "prima necessità" per rendersi guardabili si aggiungono dolorosissime "coccole" come scrub facciale, vapore bollente per far traspirare la pelle, maschera facciale, maschera per capelli, depilazione sopracciglia, pulizia del viso, ecc. ecc. Barbare usanze cui tuttavia ci viene imposto di prestarci, con atti di profondo coraggio e spietato masochismo (e poi ce la menano con l'eroismo di Ettore e Achille!!! Avrei proprio voluto vederli, quei due, a una seduta di ceretta dall'estetista!!!)


Dunque abbandoniamo il mito della donna "acqua e sapone", che non sopravvive ai 15 anni di età...
Per togliersi dalla faccia l'aspetto da triglia bollita delle 7 del mattino qualche minimo accorgimento ci vuole... Da qui a farsi prendere la mano (e intrappolare l'occhio dallo specchio) il passo è breve...

Quarantacinque minuti dunque. E' il minimo.
Includiamo nel calcolo:
  • lavarsi subito dopo la sveglia, tirarsi, detergersi, districare i nidi di rondine formaticisi in testa durante la notte e truccarsi (tempo stimato 15 minuti)
  • valutare il risultato ottenuto spiandosi nel cucchiaino del caffelatte (3 minuti)
  • considerare gli effetti prodotti sul nostro aspetto dal fatto di essere uscite di casa per andare a scuola-lavoro-altro specchiandoci nelle porte della metrò o nei finestrini di tram, autobus, ecc. (10 minuti) o nello specchietto retrovisore dell'auto (considerando 2 minuti per semaforo e una media di 5 semafori... siamo sempre sui 600 secondi). Le più organizzate portano sempre con sè uno specchietto da borsa... talvolta tentando di falsare i tempi truccandosi durante il tragitto casa-lavoro... Ma considerando il livello di affollamento dei mezzi pubblici nelle ore di punta io lo sconsiglio vivamente: non solo si ottiene un effetto maschera di carnevale sciolta, ma si rischia anche di cavarsi un occhio con l'eyeliner... e non è proprio il caso!
  • attardarsi per tempi più o meno lunghi (e in maniera più o meno esplicita) a considerare a che punto è il livello di discesa del proprio sedere nelle vetrine, nei finestrini delle auto parcheggiate, ecc (e con quante stanno pensando "Ma noooooon è veeeero!!!!" mi complimento per il livello si preudo-autostima-autoinganno sviluppato negli anni... sicuramente vivono meglio di me); diciamo 15 minuti nell'arco dell'intera giornata (sì perchè questo continuiamo a farlo fino a sera, se ci capita di percorrere pedestremente qualche tratto di strada tornando a casa, mentre a specchiarci in viso rinunciamo saggiamente dopo le ore 17...e anche andando a dormire, le procedure di strucco e smontaggio si compiono generalmente con gli occhi offuscati da cataratte di latte detergente...) 

 Dunque: 15 + 3 + 10 + 15 = 42... mancano 2 minuti... e sono quei due minuti tragici che ogni giorno infliggono un nuovo colpo alla nostra autostima, rischiando di affossarcela nella punta dei tacchi e facendoci desiderare di rientrare a razzo in casa per correre a nasconderci sotto il letto come un gatto spaventato... Due minuti in ascensore!

Luce al neon color ospedale, proveniente dall'alto, magari distribuita in maniera asimmetrica; specchio deformante, che allunga, allarga, o contorce il naso...
Il tono della pelle diventa verdognolo, il viso smunto, il colorito degno di una brutta riproduzione dell'"Urlo" di Munch o del fantasma nella vasca da bagno del film "Shining", la minima imperfezione epidermica assume le proporzioni di un cratere dell'Etna.... Ammetto di essermi sorpresa io stessa a drizzare il pelo e soffiare come un felino contro la mia immagine...




A questo trauma quotidiano esistono due possibili soluzioni: dichiarare illegale il collocamento di specchi negli ascensori (è un'istigazione al suicidio!) o cambiare le norme in materia di illuminotenica!

Nel frattempo facciamo gli scalini... ottimo modo per rassodare il lato B (di cui sopra), per mettere alla prova i polmoni, per rompersi i denti se si indossano i tacchi...
 
Specchio specchio delle mie brame... mi rassegno a usare le scale!