mercoledì 14 agosto 2013

Sindrome da abbandono

Milano, settimana di Ferragosto.
Praticamente il deserto dei Tartari.

Si tratta più di una condizione mentale che reale; non esistono più quegli esodi d'agosto milanese di un tempo; ormai c'è "traffico" umano anche in questo periodo. 
Sarà merito (colpa?) della "crisi", questa ombra grigia che aleggia sulle nostre teste ormai come una creatura mitica e minacciosa; sarà per il fatto che ormai metà della popolazione milanese è costituita da stranieri che professano il culto del lavoro indefesso tutto l'anno e a chiudere i loro negozietti non ci pensano proprio!
I pochi autoctoni rimasti in patria si distinguono in due gruppi: quelli che le ferie le hanno già "consumate" e concluse (e dunque se ne vanno in giro con le pive nel sacco -o meglio nella valigetta da lavoro-, perchè non hanno più la prospettiva della partenza per luoghi ameni e spiagge assolate), e quelli che ancora non sono partiti (e dunque hanno il muso lungo perchè stravolti dall'aspettativa!).

Nell'agosto milanese tra musei, cinema, locali, monumenti, negozi, concerti, non ci sarebbe (in teoria) da annoiarsi! Ma tutto appare muoversi più lentamente, quasi trattenesse il respiro nella prospettiva del nuovo settembre.
Sembra di vivere in una palla di vetro, nell'aspettativa che un gigante ci scuota per far sollevare e ricadere la "neve"...

Agosto è il mese pigro, il Limbo dell'anno, la vera metà del calendario, la soglia tra il periodo di attesa dell'estate e la consapevolezza dell'imminente autunno, il confine tra la stanchezza pre-vacanze e quella post-rientro,
lo specchio tra il caos guardarobiero del cambio di stagione e le venti lavatrici che seguono il "disfacimento" bagagli (Uffa!).
Agosto è un lungo meriggio montaliano, arso dal sole e dal tedio; l'ortus conclusus che però è limitato dal muro scalcinato e dai "cocci aguzzi di bottiglia". 
Dunque calma, "profondissima quiete".

Per me, spirito inquieto, tutto questo relax coatto è una vera agonia.
Tutti gli amici sono partiti in trasferta feriale, ed io soffro come gli animaletti domestici abbandonati tra le mura di casa, affidati alle cure di qualche vicina gentile, che provvede a pappa e coccole due volte al giorno....
E se i mici compiono le loro vendette feline a colpi di artigli su tappeti e divani e i cagnetti fedeli sfogano la loro malinconia facendo pipì sulle piante da appartamento, io esorcizzo la solitudine sbrigando tutte quelle piccole incombenze che nel corso dell'anno "attivo" mi sento in diritto di rimandare costantemente.
Così il mio agosto milanese è punteggiato di bottoni da ricucire (dopo lunga ricerca della loro asola perduta! e del capo d'abbigliamento che ne è legittimo proprietario!), ingombrato dai cassetti aperti da riordinare, sventagliante di fogli di appunti da rilegare, impolverato della polvere secolare da spolverare dalla cima di qualche scaffale di ragguardevole altitudine.

Il miracolo della trasformazione del caos in ordine si compie... tutto acquista la giusta dimensione.
E davanti a me si dispiega un intero anno per stravolgere nuovamente le leggi della fisica, della libreria e del guardaroba! 
365 giorni di calzini da bucare, bottoni da perdere, polvere ad alta quota da ignorare... 




Buon Ferragosto! 
(pigro o lavorativo che sia!)

lunedì 5 agosto 2013

Quarto di secolo

Qualche tempo fa una persona molto superficiale, mi ha detto che sono troppo giovane per potermi considerare "saggia". Ovviamente sul momento, per il disappunto, il mio naso si è acceso come quello dell'Allegro Chirurgo... Sì, perchè ognuno somatizza gli eccessi di energia (positiva o negativa) come può: alle lucciole si illumina il posteriore, a me avvampa il "canappiotto" (per citare mio marito)... e la bobina sono le emozioni che mi turbano l'animo.

5 agosto 2013: il mio "anniversario d'argento"!
25 anni. Una miseria. Un'eternità.

Ho sempre immaginato il tempo come un punto, privo di spessore ma infinitamente profondo (vedasi il famoso paradosso di Achille e la tartaruga! Bel guadagno per la tartaruga! E che smacco per l'eroe!): ogni istante unico e irripetibile, effimero eppure eternamente racchiuso in quel fluire costante e inarrestabile che lo rende identico a tutti gli altri che lo precedono e lo seguono. Attimo: una nullità, un frammento, una virgola in un discorso, un barlume fugace che tuttavia può cambiare profondamente e irrimediabilmente il corso della nosta vita, del nostro "essere".
 
Venticinque anni sono una successione di questi punti, raccolti in ore, finestre spalancate sull'esistenza quotidiana, custodi del nostro bisogno di scandire il ritmo vitale che ci muove per dare un ordine e un senso al nostro agire.
E le ore raggruppate in giorni, come acini splendenti di grappoli dorati. Ogni giorno un ponte tra ieri e domani, tra la certezza del passato e la speranza di un futuro, a cui diamo un nome per esorcizzare la paura che ci sfugga tra le dita prima che possiamo giungervi.

Il tempo ha il valore che gli si dà, vivendolo, percorrendolo, condividendolo. Il tempo vissuto ha un valore commisurato alle esperienze che vi abbiamo dipinto, degli aspetti della nostra personalità che vi hanno preso forma...

Venticinque anni sono una sequenza di ieri- oggi- domani sufficiente per aver messo da parte una buona dose di "calci sui denti" ma anche costruito uno "scrigno" (scelgo volutamente questo termine, più appropriato rispetto ad archivio o serbatoio... che mi danno un'idea di staticità e "inutilizzabilità") di ricordi meravigliosi.
Pochi anni vissuti intensamente possono contenere la ricchezza di un'intera esistenza (consiederando che la durata media della vita attuale è calcolata sugli 80 anni); le età sono numeri, chi le indossa sono persone. Ogni "abito" si fa stendardo e schermo di comportamenti e attitudini morali: incertezza, arroganza, esibizionismo, dignitoso rigore, sregolatezza, equilibrio, passioni, abbandoni o reticenze che palpitano nel corpo che gli soggiace.
 
"Tutto in un punto" non è solo il titolo di un racconto delle Cosmicomiche di Calvino; in ogni "punto" della nostra esistenza si specchiano tutte le emozioni, le esperienze, le aspirazioni, le paure che siamo capaci di vivere, cui abbiamo il coraggio di abbandonarci.
Così, punto su punto, attimo dopo attimo, mi sono costruita i miei primi 25 anni, mi sono costruita IO. Abbastanza adulta per aver elaborato un personale "senso del mondo", ma ancora giovane a sufficienza per trovare giustificazione all'innato egoismo, all'arroganza inesperta (la famosa ubris per cui gli dei dell'antica Grecia mi avrebbero incenerita!); con alle spalle una dose sufficiente di tempo per aver accumulato errori e soddisfazioni, conoscenze, esperienze, amicizie, abbandoni...
Ho imparato che siamo unici, soli eppure inevitabilmente intrisi nei rapporti che ci legano agli altri, siamo liberi e schiavi, orgogliosi e miseri. Siamo ossimori, contraddizioni deambulanti su strade forse predisposte da altri ma che siamo noi a scegliere e a percorrere con la scorta della nostre guide elettive. Ogni giorno arricchiamo il nostro puzzle di bellezze, errori, finzioni, lampi di luce e di calore che si fondono nel crogiuolo del nostro spirito.

Abbiamo il diritto di fingere, di sbagliare, anche di essere cattivi, ma mai quello di avvilire un altro essere.
Invece dei sette peccati capitali io semplificherei il dogma della morale umana in una semplice prescrizione: "Non umiliare".
Amore e umiliazione presuppongono la più intrinseca, spaventosa, vicinanza tra due creature; credo che l'unico vero peccato di cui l'uomo sappia imbrattarsi, a differenza degli altri animali sia usare questa prossimità per togliere orgoglio e significato all'altro, incrinandogli l'anima...
E allora non basta più chiedere scusa.

Ciascuno di noi si porta dietro i propri macigni... tutto sta nello scegliere se trascinarseli legati al collo o metterli in un'elegante pochette!




Un bravo poeta italiano ha scritto:  
"La vita è una stoffa che i giovani vedono dal dritto, i vecchi dal rovescio"
(Sbarbaro, Fuochi fatui)
E' una bella similitudine, ma a me piace l'idea di poter continuare a guardare la vita sempre dalla stessa parte del "Velo di Maya"; la consapevolezza, la "verità", la sincerità, il coraggio, la paura, la responsabilità non possono essere rimandate a un'età futura più o meno definita... Vecchiaia o giovinezza, la dose di vita che ci portiamo dentro non è numericamente quantificabile.

La vita è qui, ora, ogni istante, e buttarne via anche solo un pezzetto è come morire un po'. 







domenica 4 agosto 2013

"International Mums"

Mamme non si nasce... "forse" lo si diventa. 
Parlando di maternità senza avere figli entro in un campo di rovi... perchè a chi non ha procreato sembra essere preclusa ogni libertà di espressione sull'argomento, e tutte le "mamme" sono pronte a sfoderare le unghie per difendere il territorio di loro giurisdizione naturale. Però io "voglio una vita spericolata" (come cantava Vasco Rossi ormai qualche decennio fa), e dunque mi arrischio a entrare su questo terreno minato saltellando come una capra... (magari aggiungo in calce il mio numero di telefono per ricevere in dirette gli insulti di qualche genitrice desiderosa di scambio dialettico tagliente)!

E' vero, non ho avuto esperienza di gestazione, parto, pannolini, sveglie notturne, pappe, rigurgiti e quant'altro, però sono stata (sono?) figlia e osservatrice spassionata della realtà internazionale e dei comportamenti della "gente del mondo" e dunque anche delle "mamme" del globo.

Ora, partendo dal presupposto che l'"istinto materno" è una chimera e il "cuore di mamma" una meteora, nulla va tolto al fatto che la "Mamma" sia un'istituzione, una realtà che merita la maiuscola... 
MAMMA è la prima persona, il centro di un nuovo universo che si schiude alla vita; la destinazione del primo fatidico sguardo, la fonte del primo respiro.

MAMMA è la prima parola che si compone sulla lavagna alla scuola elementare, tracciata dalla dolcezza curvilinea del gessetto bianco della maestra, che cita con reverenza quella che rappresenta una vera e propria divinità per tutte decine di paia di occhi che la osservano compiere questo rituale sconosciuto.
MAMMA è "casa", calore, odore, morbidezza.  E' così ovunque, per chiunque, e anche nel mondo animale: MAMMA vuol dire nido, protezione, cibo, battito cardiaco.
E' origine, radice, nucleo che ci esclude e attorno al quale gravitiamo per tutta la nostra vita. Un po' un marchio di fabbrica, una denominagione IGP (se fossimo ortaggi...).
La mamma è "inevitabile" ed "eterna". A ciascuno la propria.

Senza cedere a classificazioni genetiche degne degli esperimenti coi piselli (verdi e gialli) di Mendel, nè alle teorie di Darwin o a semplicistiche distinzioni diatopiche (l'ambiente geografico influisce sul modo di crescere i pargoli?), mi sembra però evidente la distanza che separa il "senso materno" di una chioccia che si circonda di pulcini pigolanti e la partner
del cuculo, che depone le uova nel nido di altri uccelli, abbandonandole alla loro sorte...

Per quanto riguarda gli umani, credo che si possa riassumere la "fenomenologia internazionale della maternità" in due poli opposti. 
Da un lato le mamme mediterranee che, dall'annuncio del cosiddetto "stato interessante" assumono sembianze e portamento da matrone romane, di solito triplicando la propria "volumetria" (come il pesce palla per difendersi dagli attacchi nemici) e istituiscono intorno a sè un apparato di servitù vassallatica (di mariti e parenti) che avrebbe fatto invidia alla corte di Cleopatra...

Dopo mesi di training pre-parto, corsi di respirazione, ginnastica dolce, acquisti per bebè (costi esorbitanti ai quali, nel frattempo, va aggiunta la parcella dell'analista per i mariti sull'orlo dell'esaurimento nervoso), e dopo il tanto atteso "lieto evento" (Annunciazione a base di imprecazioni da camionista), le mamme italiane vengono prese dalla fobia dei batteri-germi-virus: divengono specialiste in tutte le malattie infantili di cui riescono a rintracciare il nome, si trasformano nelle "sterilizzatrici più veloci del West": non appena un ciuccio cade dalla boccuccia sdentata del figlio, loro, con mossa felina lo agguantano e lo gettano in un pentolino di acqua bollente, per sfoderarne immediatamente uno asettico, sigillato sottovuoto nel cellophane. Le neomamme bollono tutto: bavagline, coperte, biberon... perchè ci sono "i germi" (a quanto pare piovono a catinelle, grossi come le locuste dell'Apocalisse!)... Forse arriveranno a portarsi un fornello da campo nella borsetta? Strano che nessuna abbia ancora brevettato un passeggino con falò incorporato! Pazienza se intanto che loro cuociono il pupo si è trascinato fino alla ciotola del cane o si sta infilando il Pongo nel naso e nelle orecchie... !
Altro nemico invisibile e subdolo contro cui le mamme mediteranee combattono strenuamente è lo spiffero-zefiro-colpo d'aria... Per questo imbacuccano i figli come l'omino Michelin anche in agosto, con strati e strati di lana (sindrome da cipolla? filosofia Tuareg? o commistione tra tubero e pecora?), e coprono carrozzine e passeggini con tendaggi di plastica, trasformandole in serre con le ruote...

Altre follie: le mamme nostrane cronometrano l'intervallo tra una poppata e l'altra, studiano pannolini al microscopio, si struggono nell'attesa del ruttino, storpiano l'intero dizionario per inventare i nomi più assurdi che rendano appetibile ogni minuta realtà del mondo al cucciolo d'uomo... si scervellano nel tentativo di interpretarne il più piccolo accenno di capriccio e si prodigano a soddisfare qualsiasi desiderio prima ancora che assuma forma cosciente nel genio del più o meno piccolo mostro. E' l'inizio della tirannide! A doppio senso ovviamente.
Le mamme italiane iniziano la loro "sudditanza" rincorrendo i pargoli urlanti sul bagnasciuga di mezza riviera adriatica per impastellarli di Coppertone come le zucchine per la tempura, e continuano a corrergli dietro fino all'età della pensione (dei suddetti figli, ovviamente) e oltre a raccomandargli la "maglietta della salute", a stirargli le camicie, a mantenere intatto lo scrigno di cristallo e ovatta che gli hanno costruito attorno in decenni di attenta cura. Da parte loro i figlioli sembrano destinati a trasformarsi da piccoli principi sul vasino a re di cartapesta; a meno che non rivolgano alla madre l'atto che che Freud (bravo maschilista zuccone!) chiama "uccisione del padre"... da Edipo a Oreste!

Al polo opposto del mondo "mammifero" collocherei le mamme tedesche e americane.
Ho assistito personalmente a situazioni sconcertanti di neonati ciuccianti wurstel invece che tettarelle di lattice (in barba alle intolleranze alimentari!), e bambinetti biondi ruspanti, abbandonati allo "stato brado" come vitelli, liberi di vagare per parchi, spiagge, campeggi, senza che i genitori si curassero minimimente che restassero rintracciabili (sarà che all'estero i bambini nascono con un sistema GPS incorporato? Si sa che l'Italia la tecnologia deve sempre importarla...); mezzi nudi anche d'inverno, scorazzanti come conigli selvatici sotto il sole o con la pioggia,... cascano, si sbucciano, danno zuccate tremende e si rialzano saltellanti, non frignano, apparentemente non soffrono per tutta la sequela di lagne che affligge i nostri bambini (fame freddo caldo sonno noia dolore e capricci annessi).
Ho visto mamme fare jogging col passeggino assicurato alla vita, trainando il bebè come fosse un sidecar oppure pedalare forsennatamente su specie di cariole cariche di prole piuttosto consistente... addirittura ho visto mamme americane caricarsi il pupo sulle spalle e risalre la china del Grand Canyon o attraversare in barca il Rio delle Amazzoni...

Forse le nostre mamme soffrono di un eccesso di protettivismo nei confronti dei figli, ma la spericolatezza (e in alcuni casi totale assenza di spirito di conservazione della "specie") di quelle di altre nazioni non mi sembra meno preoccupante... la "Mamma" dovrebbe essere la prima fonte di protezione...Se ti appende ai pinnacoli del primo monte sul quale le viene in mente di arrampicarsi come una capra, che sicurezza ti da???

Fatto sta che in metà del mondo occidentale vengono allevati dei piccoli Indiana Johnes nell'altra metà crescono dei mollacchioni mamma-dipendenti che fino a 12 anni non sanno attraversare la strada senza farsi stirare... Nel mondo globalizzato certe distinzioni rimangono!!!
A questo punto però dovrei tirare in ballo i papà, ma così divagherei rispetto al titolo del post, dunque mi fermo qui, riportando le parole di un poeta saggio...
Di mia madre, sfocata nella memoria, in tutto un'apparizione [...]
Un'apparizione che sarebbe un rimorso per sempre se gli attaccamenti umani nascessero da altro che i sensi. Che ci lega a una creatura, è la consuetudine; che strazia al suo icordo, un gesto abituale, una scoperta debolezza, magari un'imperfezione fisica. Mancando l'alimento dei sensi, non è neppure l'amore per la madre.
Il suo ritratto è quello d'una sconosciuta; l'affetto per lei, il nulla d'un affetto dovuto [...] E, anche il suo nome... Eternità a nostro confronto degli oggetti! E' ancora in casa, vi dura come un rimprovero, la tazza in cui prendeva il caffelatte del mattino. Più che nel mio cuore, il suo nome resta su quel coccio [...]
Sbarbaro (Fuochi fatui, 1940-1945)