lunedì 9 dicembre 2013

Immacoulation

8 dicembre

Il ponte dell'Immacolata senza ponte è stato l'occasione buona per una riflessione pigrissima sul lessico prenatalizio... e sul fatto miracoloso che una sillaba può cambiarti le feste...

Scambi una consonante qui, sposti un accento là e lo spirito natalizio si suicida impiccandosi all'albero della grammatica!









E con un po' di fantasia iconoclasta, anche la fantasia leopardata può entrare nel presepe... (tanto per svecchiare le immagini tradizionali!)

Insomma, come dico ogni anno, visto che a Natale sono tutti più buoni (lo dice anche la pubblicità Bauly...coi bambini vestiti da scimmiette ammaestrate), io mi sento in diritto di astenermi dalla melensaggine collettiva e scagliare palle avvelenate contro chiunque, invece che appenderle all'abete.

Come dicevo è di nuovo quasi Natale. Inevitabilmente.
Ricominciano campagne solidali e raccolte di beneficenza: "Adotta un pino", "Salva gli orsi polari" (sottinteso: "prima che la pubblicità della Coca Cola faccia venire a tutti il diabete per i suoi spot natalizi), "Ferma lo sfruttamento degli elfi", "Nutri una renna", e affini...
Decine di volontari abbigliati nelle fogge più buffe e umilianti (corna di plastica da alce, babbucce arricciate da gnomo, campanelli appesi qua e là)si riversano nelle piazze di tutta Italia, pronti ad aggredirel'ignaro viandante a caccia di doni e balocchi, proponendogli le più assurde opere caritatevoli a favore delle più svariate creature (animate e non) dell'ecosistema... Tanto che il 50% dei fondi raccolti dipende proprio dai cedimenti del pubblico al peso dell'imbarazzante ignoranza, che spinge a mettere mano al portafoglio (piuttosto che al vocabolario) per liberarsi dall'impasse di non sapere cosa sia uno steppenlemming, un iperodonte boreale o un'ambystoma... 

Ma lo slogan sicuramente più incisivo ed efficace è sicuramente quello adottato da alcune associazioni umanitarie: "Adotta una pigotta"... epigrafe lapidaria, a metà strada tra richiesta compassionevole e imperativo categorico... Merita qualche riflessione.
Non voglio discutere la buona fede dell'iniziativa...nè beccarmi una denuncia da Unicef (che per l'occasione si avvale della sponsorizzazione della ricca e potente Foxy, che ha costruito il suo impero su miliardi di rotoli di carta igienica ...) ma, considerando che il 90% della popolazione italiana sotto i 70 anni non ha a minima idea di cosa sia una "pigotta", quale credete che sia la ragione di tanto successo? Perchè questo termine ci si imprime nella memoria per i secoli dei secoli (amen), e anche se non sappiamo se si riferisca a un cibo, una pianta da appartamento o una specie di anfibio, non possiamo più dimenticarlo?
L'efficacia della pubblicità risiede esclusivamente nel gioco di parole cui il lessema di presta, spalancando i cancelli del linguaggio a doppi sensi che contrastano con qualunque pensiero angelico, ascetico e senza malizia....
Mi dispiace ma l'omofonia quasi perfetta è innegabile, e una svista, uno scambio consonantico da nulla, può determinare conseguenze catastrofiche per quanto risibili: trasformare l'innocente "pigotta" in una "bigotta" (o peggio! se il refuso si estende a una porzione lessicale più estesa) è questione di un attimo! Ora, nella speranza di non essere fulminata dal Padreterno a mezzo di cortocircuito di lucine natalizie, nè di essere infilzata da una punta dorata da abete, svolgerei un minimo di argomentazione sull'una e sulle altre...
Delle "pigotte" ho già detto: sono creature morte, un tempo fatte di stracci, con due bottoni al posto degli occhi, mani senza dita e un'espressione da mummia piuttosto ebete... E non vi è molto altro da dire: te le tieni sul letto, a guardarti giorno e notte con ostinata indiscrezione, a impolverarsi tra i cuscini finchè non concludono la loro vita in lavatrice, suicidandosi con la centrifuga....
Passiamo alle "bigotte": ne conosciamo tutte; i nati sotto una buona stella ne hanno solo una (sola, unica e insostituibile!) in famiglia... i meno fortunati arrivano a doverne gestire due o tre, alla cena della Vigilia o durante il pranzo del venticinque, tra sorrisi avvelenati e ulcera galoppante nel silenzio delle maledizioni non dette tra un voulevant ai funghi e una capasanta gratinata...(-"che le vada di traverso!"-)....
Molto più interessante, a questo punto, immaginare le feste trascorse in compagnia di qualche procace signorina... Sarebbe sicuramente un cenone stravagante e un'occasione per imparare qualcosa: invece che scambiarsi consigli per la preparazione dei tortellini o la cottura del cappone si potrebbero ampliare i propri "orizzonti" con qualche dritta sul kamasutra... che fino ai 70 (80?) anni può far sempre comodo! ma soprattutto si potrebbe donare un po' di calore a creature spesso considerate "bambole", ma che non hanno un'anima di stracci, e sicuramente meritano (più di una renna o un panda) un po' di affetto "domestico".


Invece che "comprarsi" un "miracolo" (le indulgenze non vanno più di moda da qualche secolo!,,, anche se non mi stupirei di troverne in offerta su e-bay!!!) o di compiere atti caritatevoli "per corrispondenza", per onorare il Natale non basterebbe essere un po' meno conformisti, un po' meno falsamente compiti, meno "formali"... più umani?



domenica 24 novembre 2013

"La Scena"

Teatro Manzoni, dal 7 al 24 novembre 2013

Compagnia Elfi Teatro
Produzione Michele Gentile
presenta
Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti, Stefano Annoni  
LA SCENA
(scritto e diretto da Cristina Comencini, scene e costumi di Paola Comencini)



"Sono una donna forte...posso resistere a tutto..." e non importa se "dentro i piani si accartocciano l'uno sull'altro... come un palazzo sventrato da un terremoto...." e mi sento "come un tavolo senza sedie" o "come una bambola sfigurata rigettata dalla cantina"; "nessuno si accorge di quello che ho dentro". Poi, poco alla volta, i pezzi si ricostruiscono... si torna alla "normalità" e si scopre che forse non è poi un male per una donna lasciare "tutte le porte e le finestre spalancate".
Fuor di metafora, e al di là del voluto riferimento alla tematica erotica, affrontata con spregiudicato e intelligente umorismo, la commedia porta sul palcoscenico un universo femminile complicato e pluriforme, rappresentato nelle sue sfumature più intime, con le sue più urgenti problematicità: prima fra tutte il rapporto con l'altro sesso.
A confrontarsi sulla scena sono due modi contrapposti di esprimere la propria femminilità e vivere la sessualità, di interagire con il "pianeta uomo" con il linguaggio del corpo piuttosto che con quello delle parole, affidandosi alla ragione  e alla prudenza o all'istinto e ad una sensualità "aculturale". Lucia, attrice teatrale proveniente da una famiglia "borghese", cresciuta secondo un'educazione rigidamente moralistica, con "uno o due matrimoni" alle spalle e un gran desiderio di "prendersi una vacanza da se stessa", cerca di "sublimare" il suo desiderio recitando, trasformandosi in un'"altra" a seconda del ruolo che interpreta; Maria invece, separata con due bambini e un'ottima posizione lavorativa, si abbandona alla pura fisicità, alla "bellezza" dei sensi, e recupera quella passionalità giovanile alla quale aveva rinunciato sposandosi. Due personalità molto differenti, frutto di altrettanto diverse esperienze di vita e di coppia, che tuttavia rispecchiano una medesima femminile ricerca di completezza, un analogo desiderio d'amore e una stessa insicurezza data dal dover rimettere tutto in discussione, ripensare "la scena" costruita nel corso dell'intera esistenza, scegliere che ruolo interpretare e che parti assegnare ai vari personaggi del proprio mondo.
Termine medio tra queste due femminilità "mature" è il giovane (e disabbigliato) Luca, sedotto da Maria un sabato sera e costretto, la mattina seguente, ad assistere aò confronto tra le due amiche, trasformandosi suo malgrado in personaggio della loro "recita", vittima inconsapevole di un iniziale involontario scambio d'identità, che è in realtà il simbolo di un gioco di ruoli molto più complesso, che coinvolge, interseca e sovrappone aspetti contrastanti e talvolta contraddittori dell'essere "donna".
Rifiutando il ruolo di mera "comparsa" nello scenario domenicale delle due donne, Luca assume una funzione molto più determinante di quella del bel "soprammobile" in mutande: non è parte della scenografia ma vero e proprio "pretesto" per lo svolgersi delle riflessioni sul possibile contatto tra i due "pianeti" maschile e femminile, per lo svelamento delle reciproche intimidazioni che separano i due sessi e l'ammissione dei timori comuni. 
Incarnazione di una mascolinità "inesperta e innocente", indefinita e "amorfa", egli viene sottoposto ad un "corso intensivo" di esplorazione della psiche femminile, divisa tra ostentazione di sicurezza e fragilità, indipendenza e bisogno di condivisione, modernità e tenerezza. 
A lui è affidata l'affermazione: "Le donne trascorrono la prima metà della loro vita a fare progetti, la seconda metà a disfarli", ma tutto è "recita", trasfigurazione favolistica, "scena" fittizia pensata e predisposta con meticolosa illusione e consapevole autoinganno. Sarebbe molto più semplice abbandonarsi, lasciare "tutte le porte e le finestre spalancate", fluttuare sulla vita, senza maschere nè esibizioni di forza, senza paura, ma anche senza desiderio nè tensione.  
Pur offrendo alle due donne lo spunto per ripensare se stesse nel loro ruolo di compagne e madri, talvolta prevaricatricatrici nei confronti di figure maschili che risultano deboli e rinunciatarie (e perciò in qualche modo "colpevoli"), Luca esce sconfitto dal confronto con una femminilità forte nella sua fragilità, sensibile ma abbastanza esperta della vita per sapere che non vale più la pena di rinunciare alla propria natura per inseguire uomini ideali, fare a meno dei sogni in favore di miti irraggiungibili; se gli uomini "veri", fori, "seri" e pronti ad assumersi le proprie responsabilità si nascondono "nella grotta in cui li ha condotti un favoloso pifferaio magico", le donne non rinunciano invece alla "scena" e scelgono di restare se stesse, con "tutte le porte e le finestre spalancate" (ora in senso puramente metaforico ed etico), e di tenere alzato il "sipario". 
Se sognare significa in qualche modo "fingere", allora essere donne e saper recitare magistralmente può essere considerato un privilegio.  E se ciò comporta il dovere di "parlare con l'idraulico da uomo a uomo"...pazienza; anche questa può essere una "parte" accettabile nella "Scena" della vita-di-donna.

domenica 6 ottobre 2013

Professione "lettrice"


"I libri sono cappelle solitarie che l'uomo raggiunge nelle contrade pittoresche e romanzate della vita, nei punti più alti e più belli e che visita non soltanto per il panorama, ma specialmente per raccogliervisi fuori dalle distrazioni della vita e dirigere i suoi pensieri verso un'esistenza diversa da quella semplicemente materiale" (Gina Lagorio)


"Che cosa vuoi fare da grande?"
La tipica domanda che gli adulti (assisi sulla loro vetta di delusioni e disillusioni) rivolgono ai piccoli portatori di speranze, cercando di rinverdire per un poco i propri sogni irrealizzati (diventare pompiere, supereroe, cowboy...)



"Voglio fare la lettrice."
(notare il punto dentro le virgolette, a testimoniare la perentorietà della risposta!)

Ohibò...sbigottimento! Strabuzzio d'occhi e qualche brivido di gelo lungo la schiena... nemmeno avessi confessato di voler diventare kamikaze.

Se avessi risposto la maestra, la veterinaria o la ballerina (o, per stare al passo coi tempi, la velina-moglie-di-calciatore-milionario) sarebbero stati tutti preparati. Ma la "lettrice"???

Confesso: ho sempre avuto una spiccata capacità di creare scompiglio nel mondo "adulto" (vizio che non ho perso); già a sei anni avevo la lingua triforcuta, e posso gloriarmi di non aver perso con  gli anni la dote di far capitolare i miei interlocutori dai loro trampoli di conformismo!
Troppo facile ricevere sempre le risposte riposanti che ci si attende!

Dunque Lettrice.

Sulla lettura ho delle idee personalissime... (ad essere sincera ne ho anche su molti altri argomenti! non so come ma un giorno ho cominciato a pensare... e da allora non ho più smesso!).
Ho elaborato una teoria confusissima ma precisa, quasi scientifica (e io mi sono fatta al tempo stesso scienziata, osservatrice e cavia!), non tanto sul "cosa", ma piuttosto sul"come" leggere. 

Sono asistematica (bella parola per dire "scapigliata", "disordinata", "eclettica" ma non indecisa nè qualunquista...), convinta che ogni tanto bisogna leggere anche delle schifezze, altrimenti come si fa a giudicare i libri buoni? E, se non si tratta proprio di carta straccia, diciamo almeno che ogni tanto riengo utile "assaporare" libri diversi... (anche chi è abituato alla cucina francese una o due volte nella vita può apprezzare un hamburger di Mc Donald).
Sostenitrice dell'arte di leggere senza pregiudizi, costrizioni o metodo e senza ricordarsi autori, titoli e altri dettagli di "contorno", riconosco i libri dalle copertine (per questo quando una casa editrice cambia layout dei suoi volumi mi perdo!), associo loro una fisionomia, un'espressività, una vera e propria faccia!
Per questo se mi capita di rileggere lo stesso romanzo in un'edizione diversa da quella in cui l'ho gustato per la prima volta ho l'impressione di commettere adulterio... e mi senso autenticamente in colpa! Tanto che ormai mi sono convinta di avere dei seri problemi emotivi (ma d'altronde chiacchiero anche con la lavatrice quando sputa acqua fino al salotto... quindi ho problemi più seri del fatto di innamorarmi dei libri e promettergli fedeltà finchè morte non ci separi!)...

D'alronde quello che un libro può offrire, nessun amante è capace di darlo; il libro è sempre lì, pronto per accoglierci nella sua anima, condurci per mano in mondi sconosciuti che possono emozionarci, divertirci, commuoverci, farci paura. Anche il libro (come qualsiasi fidanzato) può farci arrabbiare (più o meno volutamente), ma nei confini del testo ha già previsto la pacificazione, ha già pensato a come chiederci scusa, rendendoci la lettura comunque soddisfacente.
Il libro (e qui non c'è pazienza maschile che tenga) si presta anche a qualche maltrattamento fisico... Dove lo trovate un uomo che si lascia spiegazzare o "fare le orecchie"? 
(A questo proposito ho notato che le donne maneggiano il libro con agio, lo toccano, lo coccolano, fanno le "orecchie"; gli uomini usano i segnalibro, voltano le pagine tenenole per un angolo con le unghie... come se si sentissero sempre un po' ospiti della lettura e non osassero spostare un centrino in una casa perfettamente arredata... Dunque credo di non esagerare ritenendo che la lettura è un'attività primariamente femminile.).
Infine il libro ha la sacrosanta disponibilità a essere interrotto e zittito in qualsiasi momento; non continua il suo cicaleccio anche quando abbiamo mal di testa, bisogno di raccoglimento, voglia di abbandonarci alla distrazione o, banalmente, di metterci il mascara in santa pace!
Dunque il matrimonio con il libro è un'unione felice, stabile... anche se poligamo (più libri per una stessa donna e più lettrici per uno stesso libro). Diciamo che si tratta di una "coppia aperta"!

Attività autocratica, estemporanea o metodica, improvvisata o sistematica; la lettura può svolgersi ovunque, in qualunque momento, in qualsiasi stato psicofisico (la malattia per esempio, mentre ci mette ko rendendoci inabili per il 90% delle attività usuali, si presta benissimo alla compagnia del libro- amante... che quantomeno non ci fa vergognare se siamo a letto col naso gocciolante, le occhieie e il colorito da pelle di pollo bollita!).

Tuttavia l'esperienza mi ha insegnato che ci sono alcune condizioni che, se anche non possono definirsi "ottimali" nel senso tradizionale del termine, riescono a rendere la lettura particolarmente saporita!
Leggere appollaiati sullo sgabello del bar quando non c'è posto per sedersi davvero, o mentre si sta appesi alla maniglia del tram, su una gamba sola e con il gomito del vicino piantato nelle costole... 
Leggere spulciando una pagina a caso nel libro ancora infilato nel sacchetto della libreria, quando l'autore non sa che lo stiamo leggendo e i personaggi non sanno di essere visti... E' un po' come mangiare un pasticcino: se lo si fa "di nascosto" il piacere triplica rispetto a quello che si prova gustrandosi platealmente una fetta di torta nella vetrina di una pasticceria!

I libri si possono portare a letto, appoggiandoseli morbiamente sul cuscino, con la pagina pari sotto la guancia sinistra mentre si legge quella dispari e viceversa... (sarà per il fatto che sono miope, ma io riesco a leggere anche in questa posizione!). Si può anche portarseli nella vasca da bagno, per lunghe, sensuali immersioni nel fluido narrativo....finchè non ci ritroviamo disidratati e rugosi come prugne secche... (allora è il momento di uscire).

Si può leggere facendo praticamente tutto... tranne guidare (forse).
E si può continuare per sempre (con debite pause, è ovvio). L'attività della lettura non prevede pensionamento nè (almeno da quando è stata abolita l'Inquisizione) restrizioni di sorta.
Allora perchè mai dovrei rinunciare a una vita di scopera, conoscenza, viaggi straordinari in atmosfere familiari o esotiche, con la stupenda prospettiva di ritrovarmi vecchia, colta e felice, avvolta da una morbida vestaglia, con calde pantofole ai piedi (di quelle dai colori sgargianti, col peluche o le piumette di struzzo!), in poltrona con tè, biscotti, libri e magari un gatto in grembo che "fa gli gnocchi" sulla mia pancia mentre lo accarezzo e gli racconto gli ultimi intrighi di Emma Bovary o Lady Chatterley? 

"Allorquando le ore della tristezza
copriranno l'orizzonte dei tuoi pensieri
e lacrime amare ti bagneranno il viso,
siediti,
e nel religioso silenzio della tua anima
accarezza un libro. 
Troverai fra le sue pagine quello che cerchi
e ti sentirai contento" 

(poeta anonimo)
 









sabato 5 ottobre 2013

Porcellini, conigli... e il gatto fantasma!

Ne ho tanto parlato a proposito di culinaria, li ho resi ingredienti delle mie ricette, arrostiti, rosolati, infornati e scodellati! ma qui non sono protagonisti dei miei esperimenti di gusto bensì dei miei triathlon quotidiani: corsa a ostacoli, spinning, salto in alto (o della pozzanghera nella stagione piovosa milanese)!

Nei Promessi Sposi (che gli studenti di oggi chiamano confidenzialmente "Prospo",  rivelando quantomeno di disporre di una capacità di sintesi e di invenzione neologica proporzionali all'irriveranza nei confronti delle auctoritas!) Manzoni utilizza l'immagine dei porcellini d'India che sfuggono al pastorello per rappresentare i personaggi del romanzo che, con le loro vicende, sfuggono al controllo dell'autore, costretto a intessere una trama di molteplici racconti per seguire le vicende di ognuno:


"Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno [...]; l'ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimodochè, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch'eran più vicini all'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva. Un gioco simile ci convien fare co' nostri personaggi..."
(A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. XI)
Per non voler essere da meno (che numeri avrà mai Manzoni più di me? aspirante novella Woolf?) mi sono creata anch'io le mie metafore per rappresentarmi simpaticamente i mille "piccoli affari" (come direbbe il Nostro) che affollano la vita di ogni giorno; umili cose, granelli di sabbia, pulviscoro infinitesimale dell'Universo, che tuttavia minacciano di seppellirci  sotto una duna di cose non fatte, impegni non rispettati, propositi non realizzati, se non ci disponiamo a onorare i nostri doveri con la precisione di un orafo, la pazienza di un monaco tibetano e la determinazione di un agente delle SS...
(il tutto con l'imprescindibile supporto di moderni strumenti hi-tech: sveglia, postit, e la benedettissima provvidenziale agenda!).
Dunque, per tradurre le cause del mio caos cosmico interiore in immagini concrete ho optato per i "coniglietti"... tanti batuffoli bianchi (forse correlativo oggettivo di un latente spirito da "Alice nel paese delle meraviglie"?) che mi saltellano attorno, che devo rincorrere e nei quali mi tocca talvolta inciampare...




Sì, soffro della sindrome di "conglite" (la "porcellite" la lascio dunque al Manzoni!), cronica, pressocchè incurabile (ho provato la terapia dell'ozio coatto ma non è servita)... per fortuna soggetta a periodi di attenuazione rispetto ai picchi di freneticità da elettrone impazzito! Ne soffrono più o meno tutte le donne... Freud e Jauss la chiamavano "isteria"... oggi possiamo definirla come "avere ottomilaquttrcentosessantacinque cose da fare e no, grazie, non ho bisogno di aiuto"... perchè si sa che se si cerca di aiutare un giocoliere nei suoi numeri di equilibrismo, questi immancabilmente fa cadere tutti i birilli e magari finisce pure al pronto soccorso.



Attacchi di coniglite acuta possono verificarsi quando meno ce lo si aspetta, a tradimento! Tra i primi sintomi vi è l'atteggiamento autarchico nei confronti della tecnologia: che si manifesta innanzitutto sottoforma di assoluta sfiducia nei confronti della sveglia: l'orologio biologico prende il sopravvento; se abbiamo un impegno alle 8 del mattino, alle 5 siamo già sveglie, lavate, truccate, pettinate, vestite; alle 6 abbiamo già fatto colazione, innaffiato le piante, caricato la lavatrice, portato a passeggio il cane (eventuale), riattaccato i bottoni alle camicie e rammendato eventuali calzini bisognosi. 
Immancabilmente qualche coniglio (non per niente viene definito come "fratello stupido della lepre"!) si incastra sotto la macchina da cucire o tra gli stipiti di una porta, e allora bisogna dare una spintarella più o meno energica al loro sederotto batuffoloso per levarseli (e levarsi) d'impiccio....!!!

Verso le 7.30 assistiamo al "risveglio del giovin signore", e al suo stupore di fronte al "miracolo dell'ebolizione dell'acqua del tè" (un evento che, chissà perchè?, per noi ha perso il suo fascino misterico!)... o allo smarrimento di fronte alla sparizione del burro "fagocitato" dal metro cubo di volume del frigorifero ...perchè si sa che il sesso forte al mattino ci mette un po' a recuperare il suo potere virile...

Nel frattempo noi abbiamo riordinato la libreria in ordine alfabetico (non dimentichiamo che siamo in preda al raptus folle; non sappiamo quel che facciamo ma lo facciamo comunque!), convinto la domestica filippina a non licenziarsi dopo aver visto il bagno nel quale ieri sera abbiamo fatto lavato il cane, preparato pranzo e cena per i successivi 5 giorni e ci apprestiamo a uscire di casa con addosso la nostra bella tutina da Wonder Woman... 

Visto che sono "solo" le 7.45 abbiamo la facoltà di passare anche in posta, dal calzolaio e in un paio di supermercati... Andarsene poi in giro con una seppia nella borsa per mezza mattinata non sarà il massimo, ma si sopravvive anche a questo... (deja vu)...
Siamo solo all'incipit della giornata e la lista dei "conigli" si distende lunga verso l'orizzonte di fronte a noi, mentre ci chiediamo se nostro marito sarà riuscito a uscire dal frigo o si sarà perso tra le uova o rimasto chiuso nella scatola del brie...

E la giornata rischia di diventare mooooooolto lunga se ci siamo lasciate sfuggire qualche informazione necessaria alla sopravvivenza nella grande città; ad esempio sciopero dei mezzi pubblici o blocco del traffico; e allora via! in bicicletta o monopattino o palafreno (con chiome al vento e nastri svolazzanti come Angelica in fuga da Rinaldo, il paladino più sfigato dell'epica cavalleresca!)... conigli al seguito, ovviamente... perchè quelli non si possono cavalcare! 

Arriviamo alle 7 di sera che uccideremmo per un'aspirina, ci trasciniamo striscianti fino alla farmacia più vicina, talmente pallide che la fotocellula delle porte scorrevoli neppure ci vede e rischiamo di restarci spatasciate come mosche... Se riusciamo a entrare troviamo sempre un'esaltata fun dei prodotti naturali-omeopatici che cerca di rifilarci qualche "integratore" (di cosa bene non si sa)... noi ci mordiamo la lingua per non proferire qualche improperio, mentre guardiamo l'orologio e pensiamo che forse più che una pillola miracolosa ci sarebbero utile una segretaria efficiente, un autista con elicottero, tre o quattro cameriere...
La serata è "giovane" (anche se noi ci sentiamo dei fossili), dobbiamo ancora arrivare a casa, sistemare la spesa (sbrinare il marito?)... possibilmente ricordandosi di recuperare la suddetta seppia dalla pochette e cercando di non abbandonare nel freezer le chiavi dell'auto (altrimenti per trovarle domani non potrà aiutarci neppure l'Oracolo di Delfi!), preparare la cena (magari abbiamo anche un paio di ospiti?), rendere presentabile casa e noi stesse... 

Arriva (perchè, nonostante i peggiori auspici, prima o poi arriva!) la fine "ufficiale" della giornata: il momento in cui le luci della città si spengono, il traffico rallenta, la vita si assopisce. E noi coniglitiche croniche? Ovviamente sveglie, circonate da tutti i nostri batuffoli bianchi, le nostre metafore saltellanti, i nostri aguzzini dal musetto tremulo...
I giorni si susseguono così, senza soluzione di continuità... in un fluire unico di follia elettrostatica alla ricerca dell'equilibrio da "gas nobile"... Ma siamo instabili, alla ricerca perpetua della perfezione donnesca... 

Ma quando ci ritroviamo a dire alla vicina: "Chiudo la porta o mi scappa il gatto" (per poi realizzare che non abbiamo il suddetto animale domestico!)...  realizziamo che è proprio il momento di preoccuparsi...
A meno di trovare un varco spazio- temporale che ci consenta di dilatare le giornate e di non impazzire (il che implica il non ridursi alle 2 di notte a cuocere i fagiolini per il giorno dopo...), dobbiamo riorganizzare l'agenda e tirare il freno a mano del nostro cervello (o il cric dietro a qualche coniglio!).

Forse "vivere" non vuol dire correre attraverso l'esistenza inseguendo tante inutili piccole mete; ogni tanto bisogna distogliere lo sguardo dal traffico della vita per accorgersi che ai lati della strada crescono ancora i fiori selvatici...

E allora portiamo il vestito da super-eroina in tintoria, chiudiamo nel cassetto i conigli (o facciamoli al forno), godiamoci il nostro esistere.
Ogni tanto rallentiamo. E salviamoci dal lapsus del "gatto fantasma"!!!











lunedì 16 settembre 2013

Anno nuovo (?)

Primo lunedì dell'"anno nuovo"; sì perchè, in barba all'ufficialità del calendario astronomico e alle sue
periodizzazioni, è ora che tutto riacquista il suo "ritmo" consueto, che gli oggetti recuperano il loro spazio naturale e il tempo riassume "volume", dopo il suo sfilacciarsi ozioso nell'omogeneità cronologica della pausa estiva.

Pronti a ripartire???
Ci si potrebbe illudere che per chi non si è "fermato" il problema del rimettersi in carreggiata non si ponga... soprattutto se l'allenamento alle rogne è stato garantito da qualche tiro mancino della Tùke (Fato), cadutoci sulla testa come una banderuola segnavento di ferro battuto bello pesante (tanto per non citare la solita tegola...), scossa dal caldo Favonio. Eppure la "primavera" settembrina è sempre foriera di novità e ansia.

E se c'è chi ancora non si rassegna all'inevitabilità del nuovo millesimo (atteso e temuto come come un pacchetto regalo da scartare con curiosità e incertezza... entusiasmo per l'aspettativa e preoccupazione per l'agguato della possibile delusione), è proprio questa l'epoca di progetti, pronostici, prospettive. Inultile indugiare in un trend di vita quieta ormai illegittima.

Si è da poco celebrato il capodanno scolastico, il che significa che l'espressione "vacanze estive" è ufficialmente bandita dall'uso linguistico nazionale per i prossimi 9 mesi...

Fatta questa tragica constatazione, stiamo tutti arrotando le armi... ciascuno a suo modo.
Per noi donne i "postumi" del rientro si riflettono immancabilmente sull'aspetto esteriore: quelle che non vogliono squamarsi come orate o ritrovarsi lucide come pitoni (inevitabile dopo mesi di oli abbronzanti al cocco, creme idratanti all'avocado, doposole al mango... e tutti gli altri prodotti che possano farci assomigliare olfattivamente a una bancarella di Bangkok) si dedicano a ruvidi trattamenti esfolianti, scrub, peeling total body... insomma una bella grattugiata e l'estate è dimenticata! (proverbio o filastrocca?)
Per coloro che invece non sanno rassegnarsi all'imminente pallore e perseverano con ostinazione nella ricerca dell'eccesso di melanina, qualche mente crudele ha ideato gli autoabbronzanti, che conferiscono un effetto dalmata stinto... parodia anacronistica della tintarella.
Tutte siamo alle prese con capigliature da hippy, dalla nuance e dalla consistenza del ciuffo della pannocchia...  e non c'è balsamo che tenga; ci vuole una bella sforbiciata (cihe fa rima con la grattugiata di prima).

Risolti questi problemi "superficiali" sarà forse il caso di ampliare lo sguardo alle faccende non liquidabili nell'ambito di un centro estetico (anche perchè di tali questioni dovremo preoccuparci solo per poco, visto che il calzettone si allunga in maniera direttamente proporzionale al discendere della temperatura, e se il clima continua così tra una settimana saremo tutti imbacuccati!).

Quante mamme e quanti papà si trovano alle prese (più dei diretti interessati) con i "primi giorni di scuola"? Dopo il tripudio di colori di matite  e quadernoni nuovi (astute lusinghe pensate per rendere meno traumatico il  passaggio dal mondo delle coccole e del gioco a quello dei doveri, dei compiti, della disciplina), è ora il momento delle pagine intere coperte della lettera A A a a (e via di seguito per tutto l'alfabeto, cosicchè il primo quaderno d'italiano è esaurito nell'arco di una settimana), dello sgorgare della prima parola "ufficiale" (perchè destinata a permanere come imperitura testimonianza filologica del primo atto linguistico consapevole) dall'inchiostro della biro cancellabile, dei primi arcani o miracoli dell'aritmerica (perchè mai 5x8 dovrebbe fare 40 se già ci pensa l'8x5? Al diavolo la proprietà commutativa!)... 
Franco Matticchio, L'indice dei libri del mese
settembre 2013, pag. 4
La prima elementare è una scalata, per quegli "alunni" che nel grembiule bianco non c'entrano più, ma tutte le sere (da qui ai prossimi 5 anni) si ritroveranno accovacciati sul tappeto del salotto, alle prese con la "lacrima" dell'articolo determinativo l' che ha perso la "coda", con i versi della poesia "Riobò" da recitare a memoria, con le ricerche sulla Manta birostris o sulla fotosintesi clorofilliana...
Le spiegazioni pittoresche e favoleggianti fornite fino a questo momento alle domande del curioso pargolo non bastano più; agli occhi creduli che ci guardavano incantati come fossimo l'oracolo di Delfi, depositari di tutta l'umana scienza si sostituisce l'espressione scettica e sprezzante di chi esige risposte scientifiche; e la perdita dell'autorevolezza profetica del genitore è sancita dal passaggio dalla professione di fede del "La mia mamma mi ha detto" al culto del "Lo ha detto la maestra" (dove peraltro la soppressione del dativo esprime la validità universale e incontestabile del dogma). Crucci e piaceri della vita scolastica genitoriale!


Che si "seminino" tabelline pitagoriche o cavoli  verza, ravanelli e spinaci (ma è periodo anche per lattughino da taglio, radicchio, scarola, bietole e se a qualcuno interessa posso continuare l'elenco nella sezione "ricette"), c'è nell'aria l'attesa di qualcosa di diverso; si ricreano i consueti equilibri e se ne istituiscono di nuovi... Bisogna riaggomitolare il senso dei giorni... Quel senso che non è necessario inventare quando si viaggia, quando la storia si scrive da sè e il tempo si srotola secondo ritmi diversi, in mille emozioni "straniere", all'interno di una "parentesi" scritta in corsivo nella trama dell'esistenza quotidiana; allora il nostro "io" sociale (quello che va al lavoro, dà la pappa al gatto, fa la spesa, parla ai gerani, litiga col microonde, va al cinema o a teatro, vede amici, si condivide col mondo), cede il passo a un io temporaneo, "altro" e che vive "altrove", ma poi torna a casa con noi e non ci abbandona più, trovandosi una sua nicchia nella nostra personalità "solita". Sarà per questo che al rientro ci si sente sempre un po' estranei nel proprio ambiente; gli oggetti domestici rimasti come sospesi nell'inutilità durante la nostra assenza, sembano guardarci con sospetto... riconoscono il nostro mutamento e ci vuole qualche giorno per riconquistare l'ordinaria confidenza.
Nuovi equilibri dunque. Nuovi significati per le cose comuni, per la prassi di sempre. Riprendiamo in mano la nostra penna metaforica (o il nostro Tablet se vogliamo stare al passo con le nuove tecnologie) e proseguiamo il racconto di noi, aggiungendo ogni giorno un appunto, un'idea, un momento di bellezza e unicità, sicchè alla sera possiamo pensare che

"un altro giorno muore, ma noi non l'abbiamo sciupato: il sole è sorto anche per noi e possiamo avviarci al riposo della notte senza la bocca amara di chi ha dissipato un bene irripetibile" 
(Gina Lagorio, Un ciclone chiamato Titti)














giovedì 5 settembre 2013

Natural tatoo

Settembre. Inoltrato.
Ormai l'estate ruzzola verso l'autunno... e pare che nulla possa fermare questa frana del tempo.
L'aria diviene ogni giorno meno pigra, più fresca e frizzante.
Eppure c'è ancora qualche fortunato che si rilassa, spiattellato sotto un sole meno famelico...e scopre gli ultimi lembi (più o meno cotti) di pelle.

Sorge spontanea un'ultima riflessione sulla "superficie corporea"... sull'epidermide a lungo esposta agli UVA, come le strisce di daino dopo averci asciugato la carrozzeria dell'auto... 
Infiniti stuoli di schiene, pance, gambe, spalle, seni e sederi più o meno pudicamente esibiti in spiaggia, ma anche in città, sono state sotto gli occhi di tutti...

Ma oltre a fare tanta scorta di raggi ultravioletti, a cosa ci "serve" la pelle? Che uso ne facciamo? Come la valorizziamo rendendola non un semplice involucro cadutoci addosso ma un elegante abito cucito "su misura"? Possiamo scriverci e dipingerci, trasformandola in tela o in un moderno (e vivo) foglio di pergamena...(mi duole ammetterlo, ma siamo sempre "animali"...chi più chi meno...!!!)

E allora vale la pena di meditare un attimo sui segni, artificiali o "naturali", permanenti o temporanei, che ci portiamo "scritti" addosso: dal make up ai tatuaggi, dalle cicatrici agli abiti stessi.





Non siamo una generazione particolarmente originale, perchè la pratica di pitturarsi, marchiarsi, mascherarsi, addirittura "deformarsi" è appartenuta a tutte le culture, comprese quelle preistoriche. E a pensarci un momento si ammetterà che lo fanno anche gli animali, dal fiero pavone al goffo pesce palla. Esibizione di vanità o finzione di forza, bisogno di nascondersi o desiderio di mostrarsi, celebrare i doni di Madre Natura o porre rimedio alle sue mancanze...


"Dire", con un linguaggio "altro", sussurrato, balbettato o urlato attraverso la membrana che ci protegge e ci mette in contatto col "fuori"; atto istintivo o creativo che ha sempre una sua nobiltà... o quasi.



Dunque Tatuaggi.

Partendo dal presupposto che farmi marchiare come una mucca non è mai stato tra le mie priorità esistenziali, e che i tatuaggi permanenti mi sono sempre sembrati un insulto alla memoria dei detenuti di Auschwitz, ammetto che il fenomeno mi affascina: testimonia una volontà di durevolezza indelebile, suggerisce un bisogno di "permanenza", in un'epoca in cui tutto diventa più effimero e transitorio, "di moda"... una volontà di memoria che evidentemente non può più affidarsi al tradizionale Caro diario...
O forse un'esigenza di diversità, unicità epidermica, data da segni che solo per noi acquistano un significato.
Il nome del primo criceto, la ricorrenza del (primo?) matrimonio o la nascita del primo figlio, il ricordo di una grande gioia o di un momento di passaggio, di cambiamento interiore proiettato all'esterno.
E' tenero e nobile voler serbare perpetuo memento delle esperienze più importanti della propria vita; è triste doverlo fare "cucendosi" addosso date, simboli, motti... Tatuiamo noi stessi, il nostro IO "di fuori", quello che mostriamo al mondo, con i colori del nostro vissuto intimo, personale, che vogliamo proteggere dall'oblio ma non dall'estraneità di quanto ci circonda.
Per ovviare al problema della troppa "visibilità" c'è chi ricorre alle collocazioni più impensabili e inaccessibili. Ma personalmente sapere il mio nome stampigliato a caratteri tribali sulla natica di qualcuno non mi farebbe gran che sentire lusingata...  Nè mi entusiasmerebbe l'idea di contorcermi nelle posizioni più assurde del kamasutra per ripescare quello che mi sono fatta scrivere in posizione scomodissima.
Ecco, al limite ammetto la praticità di farmi eventualmente stampare sul dorso della mano quei tre o quattro numeri utili che non c'è verso riesca a ricordare: pin del bancomat, codice di avviamento postale, numero della carta di identità...  Ma finora sono riuscita ad arrangiarmi anche senza ricorrere a provvedimenti tanto radicali.

Ognuno col proprio tessuto epiteliale ha il diritto di farci quel che vuole, e visto che non pretendo di entrare nella pelle degli altri, non mi permetto di giudicare, anche se per me che svengo solo all'idea di un prelievo di sangue, la prospettiva di soffrire per ore facendosi volontariamente piantare degli aghi sotto la pelle ha poco di ragionevole.
Mi limito a un consiglio spiccio ma profetico: prevedere l'effetto "prugna secca" dell'epidermide "attempata" e di conseguenza essere accurati nella scelta dei soggetti; considerare che col passare degli anni le farfalle sono destinate a trasformarsi in falene con le ali mosce, gli alberi dai rami svettanti e vigili intristirsi in salici, i soli e gli altri simboli tondeggianti a sciogliersi in grottesche rivisitazioni degli orologi di Dalì... Forse reggono giusto le fisarmoniche...cambiando estensione....
E allora oltre che nella scelta dei "contenuti", bisogna dimostrare buon senso (e amor proprio) anche nella scelta della collocazione anatomica del tatuaggio.
Certo, può apparire molto romantico stamparsi fiduciosamente il nome della fidanzata in caratteri svolazzanti sul deltoide, magari dentro un bel cuore purpureo... ma se la prospettiva è quella di ritrovarsi sull'avambraccio una pera cotta con dentro lettere illeggibili perchè simili alle orecchie di un cocker, forse vale la pena di pensarci un attimo.
 
In ogni caso, per quanto facciamo di tutto (soprattutto noi donne) per ricondurla a obbedienza, la nostra pelle vive una vita propria: disegna giorno dopo giorno l'atlante delle nostre esperienze, registra le nostre cicatrici interiori, traccia i confini delle nostre felicità e dei nostri drammi. E non bastano questi segni a renderci unici?
L'attrice Anna Magnani diceva al suo truccatore "Le rughe non coprirle che ci ho messo una vita a farmele venire"... Rara saggezza.
Invece no. Contro questi segni inevitabili e naturali ci siamo inventati mille mascheramenti, correttori, tonici, creme al collagene e acido iarulonico... Quanta fatica per apparire tabulae rasae, tele intonse.



Vintage, vini d'annata, arte retrò, arredamento d'antiquariato, dimore d'epoca. Tutto ciò che ha un vissuto ci affascina, e anche in una borsa di cuoio raggrinzita riusciamo a leggere la paziente opera del tempo, ma facciamo i tutto per non esserne toccati, per restare spettatori a "distanza di sicurezza".
Forse la giovinezza mi concede la presuntuosa convinzione che non vi sia niente di male nel "conquistarsi" qualche difetto, purchè portato con eleganza come un accessorio discreto. Ma probabilmente dovrei rimandare ulteriori riflessioni alla comparsa delle prime "zampe di gallina", e vedere l'effetto che fa.
Però so di non voler assomigliare a uno di quei quadri di pittura astratta contemporanea, con un puntino nero su sfondo bianco o un taglio verticale su un orizzonte di nulla...che non si sa mai bene cosa significhino, nè si capisce se ci piacciono o meno. Non voglio assomigliare a una lavagna segni che non significhino niente, indelebili tracce di esperienze non vissute. Perchè vivere e invecchiare non è forse questo? accumulare esperienza e saggezza e, inevitabilmente, far scorrere attraverso di noi il tempo, con tutti i tagli, i solchi e gli splendidi arabeschi che ne derivano.

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mercoledì 14 agosto 2013

Sindrome da abbandono

Milano, settimana di Ferragosto.
Praticamente il deserto dei Tartari.

Si tratta più di una condizione mentale che reale; non esistono più quegli esodi d'agosto milanese di un tempo; ormai c'è "traffico" umano anche in questo periodo. 
Sarà merito (colpa?) della "crisi", questa ombra grigia che aleggia sulle nostre teste ormai come una creatura mitica e minacciosa; sarà per il fatto che ormai metà della popolazione milanese è costituita da stranieri che professano il culto del lavoro indefesso tutto l'anno e a chiudere i loro negozietti non ci pensano proprio!
I pochi autoctoni rimasti in patria si distinguono in due gruppi: quelli che le ferie le hanno già "consumate" e concluse (e dunque se ne vanno in giro con le pive nel sacco -o meglio nella valigetta da lavoro-, perchè non hanno più la prospettiva della partenza per luoghi ameni e spiagge assolate), e quelli che ancora non sono partiti (e dunque hanno il muso lungo perchè stravolti dall'aspettativa!).

Nell'agosto milanese tra musei, cinema, locali, monumenti, negozi, concerti, non ci sarebbe (in teoria) da annoiarsi! Ma tutto appare muoversi più lentamente, quasi trattenesse il respiro nella prospettiva del nuovo settembre.
Sembra di vivere in una palla di vetro, nell'aspettativa che un gigante ci scuota per far sollevare e ricadere la "neve"...

Agosto è il mese pigro, il Limbo dell'anno, la vera metà del calendario, la soglia tra il periodo di attesa dell'estate e la consapevolezza dell'imminente autunno, il confine tra la stanchezza pre-vacanze e quella post-rientro,
lo specchio tra il caos guardarobiero del cambio di stagione e le venti lavatrici che seguono il "disfacimento" bagagli (Uffa!).
Agosto è un lungo meriggio montaliano, arso dal sole e dal tedio; l'ortus conclusus che però è limitato dal muro scalcinato e dai "cocci aguzzi di bottiglia". 
Dunque calma, "profondissima quiete".

Per me, spirito inquieto, tutto questo relax coatto è una vera agonia.
Tutti gli amici sono partiti in trasferta feriale, ed io soffro come gli animaletti domestici abbandonati tra le mura di casa, affidati alle cure di qualche vicina gentile, che provvede a pappa e coccole due volte al giorno....
E se i mici compiono le loro vendette feline a colpi di artigli su tappeti e divani e i cagnetti fedeli sfogano la loro malinconia facendo pipì sulle piante da appartamento, io esorcizzo la solitudine sbrigando tutte quelle piccole incombenze che nel corso dell'anno "attivo" mi sento in diritto di rimandare costantemente.
Così il mio agosto milanese è punteggiato di bottoni da ricucire (dopo lunga ricerca della loro asola perduta! e del capo d'abbigliamento che ne è legittimo proprietario!), ingombrato dai cassetti aperti da riordinare, sventagliante di fogli di appunti da rilegare, impolverato della polvere secolare da spolverare dalla cima di qualche scaffale di ragguardevole altitudine.

Il miracolo della trasformazione del caos in ordine si compie... tutto acquista la giusta dimensione.
E davanti a me si dispiega un intero anno per stravolgere nuovamente le leggi della fisica, della libreria e del guardaroba! 
365 giorni di calzini da bucare, bottoni da perdere, polvere ad alta quota da ignorare... 




Buon Ferragosto! 
(pigro o lavorativo che sia!)

lunedì 5 agosto 2013

Quarto di secolo

Qualche tempo fa una persona molto superficiale, mi ha detto che sono troppo giovane per potermi considerare "saggia". Ovviamente sul momento, per il disappunto, il mio naso si è acceso come quello dell'Allegro Chirurgo... Sì, perchè ognuno somatizza gli eccessi di energia (positiva o negativa) come può: alle lucciole si illumina il posteriore, a me avvampa il "canappiotto" (per citare mio marito)... e la bobina sono le emozioni che mi turbano l'animo.

5 agosto 2013: il mio "anniversario d'argento"!
25 anni. Una miseria. Un'eternità.

Ho sempre immaginato il tempo come un punto, privo di spessore ma infinitamente profondo (vedasi il famoso paradosso di Achille e la tartaruga! Bel guadagno per la tartaruga! E che smacco per l'eroe!): ogni istante unico e irripetibile, effimero eppure eternamente racchiuso in quel fluire costante e inarrestabile che lo rende identico a tutti gli altri che lo precedono e lo seguono. Attimo: una nullità, un frammento, una virgola in un discorso, un barlume fugace che tuttavia può cambiare profondamente e irrimediabilmente il corso della nosta vita, del nostro "essere".
 
Venticinque anni sono una successione di questi punti, raccolti in ore, finestre spalancate sull'esistenza quotidiana, custodi del nostro bisogno di scandire il ritmo vitale che ci muove per dare un ordine e un senso al nostro agire.
E le ore raggruppate in giorni, come acini splendenti di grappoli dorati. Ogni giorno un ponte tra ieri e domani, tra la certezza del passato e la speranza di un futuro, a cui diamo un nome per esorcizzare la paura che ci sfugga tra le dita prima che possiamo giungervi.

Il tempo ha il valore che gli si dà, vivendolo, percorrendolo, condividendolo. Il tempo vissuto ha un valore commisurato alle esperienze che vi abbiamo dipinto, degli aspetti della nostra personalità che vi hanno preso forma...

Venticinque anni sono una sequenza di ieri- oggi- domani sufficiente per aver messo da parte una buona dose di "calci sui denti" ma anche costruito uno "scrigno" (scelgo volutamente questo termine, più appropriato rispetto ad archivio o serbatoio... che mi danno un'idea di staticità e "inutilizzabilità") di ricordi meravigliosi.
Pochi anni vissuti intensamente possono contenere la ricchezza di un'intera esistenza (consiederando che la durata media della vita attuale è calcolata sugli 80 anni); le età sono numeri, chi le indossa sono persone. Ogni "abito" si fa stendardo e schermo di comportamenti e attitudini morali: incertezza, arroganza, esibizionismo, dignitoso rigore, sregolatezza, equilibrio, passioni, abbandoni o reticenze che palpitano nel corpo che gli soggiace.
 
"Tutto in un punto" non è solo il titolo di un racconto delle Cosmicomiche di Calvino; in ogni "punto" della nostra esistenza si specchiano tutte le emozioni, le esperienze, le aspirazioni, le paure che siamo capaci di vivere, cui abbiamo il coraggio di abbandonarci.
Così, punto su punto, attimo dopo attimo, mi sono costruita i miei primi 25 anni, mi sono costruita IO. Abbastanza adulta per aver elaborato un personale "senso del mondo", ma ancora giovane a sufficienza per trovare giustificazione all'innato egoismo, all'arroganza inesperta (la famosa ubris per cui gli dei dell'antica Grecia mi avrebbero incenerita!); con alle spalle una dose sufficiente di tempo per aver accumulato errori e soddisfazioni, conoscenze, esperienze, amicizie, abbandoni...
Ho imparato che siamo unici, soli eppure inevitabilmente intrisi nei rapporti che ci legano agli altri, siamo liberi e schiavi, orgogliosi e miseri. Siamo ossimori, contraddizioni deambulanti su strade forse predisposte da altri ma che siamo noi a scegliere e a percorrere con la scorta della nostre guide elettive. Ogni giorno arricchiamo il nostro puzzle di bellezze, errori, finzioni, lampi di luce e di calore che si fondono nel crogiuolo del nostro spirito.

Abbiamo il diritto di fingere, di sbagliare, anche di essere cattivi, ma mai quello di avvilire un altro essere.
Invece dei sette peccati capitali io semplificherei il dogma della morale umana in una semplice prescrizione: "Non umiliare".
Amore e umiliazione presuppongono la più intrinseca, spaventosa, vicinanza tra due creature; credo che l'unico vero peccato di cui l'uomo sappia imbrattarsi, a differenza degli altri animali sia usare questa prossimità per togliere orgoglio e significato all'altro, incrinandogli l'anima...
E allora non basta più chiedere scusa.

Ciascuno di noi si porta dietro i propri macigni... tutto sta nello scegliere se trascinarseli legati al collo o metterli in un'elegante pochette!




Un bravo poeta italiano ha scritto:  
"La vita è una stoffa che i giovani vedono dal dritto, i vecchi dal rovescio"
(Sbarbaro, Fuochi fatui)
E' una bella similitudine, ma a me piace l'idea di poter continuare a guardare la vita sempre dalla stessa parte del "Velo di Maya"; la consapevolezza, la "verità", la sincerità, il coraggio, la paura, la responsabilità non possono essere rimandate a un'età futura più o meno definita... Vecchiaia o giovinezza, la dose di vita che ci portiamo dentro non è numericamente quantificabile.

La vita è qui, ora, ogni istante, e buttarne via anche solo un pezzetto è come morire un po'. 







domenica 4 agosto 2013

"International Mums"

Mamme non si nasce... "forse" lo si diventa. 
Parlando di maternità senza avere figli entro in un campo di rovi... perchè a chi non ha procreato sembra essere preclusa ogni libertà di espressione sull'argomento, e tutte le "mamme" sono pronte a sfoderare le unghie per difendere il territorio di loro giurisdizione naturale. Però io "voglio una vita spericolata" (come cantava Vasco Rossi ormai qualche decennio fa), e dunque mi arrischio a entrare su questo terreno minato saltellando come una capra... (magari aggiungo in calce il mio numero di telefono per ricevere in dirette gli insulti di qualche genitrice desiderosa di scambio dialettico tagliente)!

E' vero, non ho avuto esperienza di gestazione, parto, pannolini, sveglie notturne, pappe, rigurgiti e quant'altro, però sono stata (sono?) figlia e osservatrice spassionata della realtà internazionale e dei comportamenti della "gente del mondo" e dunque anche delle "mamme" del globo.

Ora, partendo dal presupposto che l'"istinto materno" è una chimera e il "cuore di mamma" una meteora, nulla va tolto al fatto che la "Mamma" sia un'istituzione, una realtà che merita la maiuscola... 
MAMMA è la prima persona, il centro di un nuovo universo che si schiude alla vita; la destinazione del primo fatidico sguardo, la fonte del primo respiro.

MAMMA è la prima parola che si compone sulla lavagna alla scuola elementare, tracciata dalla dolcezza curvilinea del gessetto bianco della maestra, che cita con reverenza quella che rappresenta una vera e propria divinità per tutte decine di paia di occhi che la osservano compiere questo rituale sconosciuto.
MAMMA è "casa", calore, odore, morbidezza.  E' così ovunque, per chiunque, e anche nel mondo animale: MAMMA vuol dire nido, protezione, cibo, battito cardiaco.
E' origine, radice, nucleo che ci esclude e attorno al quale gravitiamo per tutta la nostra vita. Un po' un marchio di fabbrica, una denominagione IGP (se fossimo ortaggi...).
La mamma è "inevitabile" ed "eterna". A ciascuno la propria.

Senza cedere a classificazioni genetiche degne degli esperimenti coi piselli (verdi e gialli) di Mendel, nè alle teorie di Darwin o a semplicistiche distinzioni diatopiche (l'ambiente geografico influisce sul modo di crescere i pargoli?), mi sembra però evidente la distanza che separa il "senso materno" di una chioccia che si circonda di pulcini pigolanti e la partner
del cuculo, che depone le uova nel nido di altri uccelli, abbandonandole alla loro sorte...

Per quanto riguarda gli umani, credo che si possa riassumere la "fenomenologia internazionale della maternità" in due poli opposti. 
Da un lato le mamme mediterranee che, dall'annuncio del cosiddetto "stato interessante" assumono sembianze e portamento da matrone romane, di solito triplicando la propria "volumetria" (come il pesce palla per difendersi dagli attacchi nemici) e istituiscono intorno a sè un apparato di servitù vassallatica (di mariti e parenti) che avrebbe fatto invidia alla corte di Cleopatra...

Dopo mesi di training pre-parto, corsi di respirazione, ginnastica dolce, acquisti per bebè (costi esorbitanti ai quali, nel frattempo, va aggiunta la parcella dell'analista per i mariti sull'orlo dell'esaurimento nervoso), e dopo il tanto atteso "lieto evento" (Annunciazione a base di imprecazioni da camionista), le mamme italiane vengono prese dalla fobia dei batteri-germi-virus: divengono specialiste in tutte le malattie infantili di cui riescono a rintracciare il nome, si trasformano nelle "sterilizzatrici più veloci del West": non appena un ciuccio cade dalla boccuccia sdentata del figlio, loro, con mossa felina lo agguantano e lo gettano in un pentolino di acqua bollente, per sfoderarne immediatamente uno asettico, sigillato sottovuoto nel cellophane. Le neomamme bollono tutto: bavagline, coperte, biberon... perchè ci sono "i germi" (a quanto pare piovono a catinelle, grossi come le locuste dell'Apocalisse!)... Forse arriveranno a portarsi un fornello da campo nella borsetta? Strano che nessuna abbia ancora brevettato un passeggino con falò incorporato! Pazienza se intanto che loro cuociono il pupo si è trascinato fino alla ciotola del cane o si sta infilando il Pongo nel naso e nelle orecchie... !
Altro nemico invisibile e subdolo contro cui le mamme mediteranee combattono strenuamente è lo spiffero-zefiro-colpo d'aria... Per questo imbacuccano i figli come l'omino Michelin anche in agosto, con strati e strati di lana (sindrome da cipolla? filosofia Tuareg? o commistione tra tubero e pecora?), e coprono carrozzine e passeggini con tendaggi di plastica, trasformandole in serre con le ruote...

Altre follie: le mamme nostrane cronometrano l'intervallo tra una poppata e l'altra, studiano pannolini al microscopio, si struggono nell'attesa del ruttino, storpiano l'intero dizionario per inventare i nomi più assurdi che rendano appetibile ogni minuta realtà del mondo al cucciolo d'uomo... si scervellano nel tentativo di interpretarne il più piccolo accenno di capriccio e si prodigano a soddisfare qualsiasi desiderio prima ancora che assuma forma cosciente nel genio del più o meno piccolo mostro. E' l'inizio della tirannide! A doppio senso ovviamente.
Le mamme italiane iniziano la loro "sudditanza" rincorrendo i pargoli urlanti sul bagnasciuga di mezza riviera adriatica per impastellarli di Coppertone come le zucchine per la tempura, e continuano a corrergli dietro fino all'età della pensione (dei suddetti figli, ovviamente) e oltre a raccomandargli la "maglietta della salute", a stirargli le camicie, a mantenere intatto lo scrigno di cristallo e ovatta che gli hanno costruito attorno in decenni di attenta cura. Da parte loro i figlioli sembrano destinati a trasformarsi da piccoli principi sul vasino a re di cartapesta; a meno che non rivolgano alla madre l'atto che che Freud (bravo maschilista zuccone!) chiama "uccisione del padre"... da Edipo a Oreste!

Al polo opposto del mondo "mammifero" collocherei le mamme tedesche e americane.
Ho assistito personalmente a situazioni sconcertanti di neonati ciuccianti wurstel invece che tettarelle di lattice (in barba alle intolleranze alimentari!), e bambinetti biondi ruspanti, abbandonati allo "stato brado" come vitelli, liberi di vagare per parchi, spiagge, campeggi, senza che i genitori si curassero minimimente che restassero rintracciabili (sarà che all'estero i bambini nascono con un sistema GPS incorporato? Si sa che l'Italia la tecnologia deve sempre importarla...); mezzi nudi anche d'inverno, scorazzanti come conigli selvatici sotto il sole o con la pioggia,... cascano, si sbucciano, danno zuccate tremende e si rialzano saltellanti, non frignano, apparentemente non soffrono per tutta la sequela di lagne che affligge i nostri bambini (fame freddo caldo sonno noia dolore e capricci annessi).
Ho visto mamme fare jogging col passeggino assicurato alla vita, trainando il bebè come fosse un sidecar oppure pedalare forsennatamente su specie di cariole cariche di prole piuttosto consistente... addirittura ho visto mamme americane caricarsi il pupo sulle spalle e risalre la china del Grand Canyon o attraversare in barca il Rio delle Amazzoni...

Forse le nostre mamme soffrono di un eccesso di protettivismo nei confronti dei figli, ma la spericolatezza (e in alcuni casi totale assenza di spirito di conservazione della "specie") di quelle di altre nazioni non mi sembra meno preoccupante... la "Mamma" dovrebbe essere la prima fonte di protezione...Se ti appende ai pinnacoli del primo monte sul quale le viene in mente di arrampicarsi come una capra, che sicurezza ti da???

Fatto sta che in metà del mondo occidentale vengono allevati dei piccoli Indiana Johnes nell'altra metà crescono dei mollacchioni mamma-dipendenti che fino a 12 anni non sanno attraversare la strada senza farsi stirare... Nel mondo globalizzato certe distinzioni rimangono!!!
A questo punto però dovrei tirare in ballo i papà, ma così divagherei rispetto al titolo del post, dunque mi fermo qui, riportando le parole di un poeta saggio...
Di mia madre, sfocata nella memoria, in tutto un'apparizione [...]
Un'apparizione che sarebbe un rimorso per sempre se gli attaccamenti umani nascessero da altro che i sensi. Che ci lega a una creatura, è la consuetudine; che strazia al suo icordo, un gesto abituale, una scoperta debolezza, magari un'imperfezione fisica. Mancando l'alimento dei sensi, non è neppure l'amore per la madre.
Il suo ritratto è quello d'una sconosciuta; l'affetto per lei, il nulla d'un affetto dovuto [...] E, anche il suo nome... Eternità a nostro confronto degli oggetti! E' ancora in casa, vi dura come un rimprovero, la tazza in cui prendeva il caffelatte del mattino. Più che nel mio cuore, il suo nome resta su quel coccio [...]
Sbarbaro (Fuochi fatui, 1940-1945)


martedì 23 luglio 2013

Previsioni di spiaggia...

Non sono un "tipo da spiaggia", non lo sono mai stata e mai lo diventerò; ragioni psicofisiche imprescindibili me lo impediscono: innanzi tutto ho la pressione arteriosa di un mitile, quindi il caldo mi affloscia; se provo a pucciarmi in 2 cm d'acqua rischio l'annegamento al primo flutto la cui forza d'urto superi quello delle increspature concentriche generate la caduta di un sasso in uno stagno... (che umiliazione!)
In secondo luogo sono fornita di amor proprio sufficiente a rifiutare di omologarmi alla sfilata di corpi fucsia, distesi in processo di lenta rosolatura, che ricorda tristemente i festoni di anatre glassate esposti nelle vetrine della Chinatown londinese...

E poi odio il caos litoraneo: il cicaleccio si dispiega attraverso la rete degli ombrelloni, supportato nei contenuti dall'auctoritas di "Novella 2000", "Oggi", "La settimana enigmistica" e affini... mentre madri psicopatiche e urlanti inseguono figli fuggitivi armati di palette (e altre armi da spiaggia solo apparentemente innocue) nel tentativo di ficcargli in testa il cappellino, somministrargli (per via endovenosa se necessario) il succo di frutta, evitargli di accoppare qualche bagnante con una mitragliata di sassi o conchiglie o di infilare qualche granchio nel costume del nonno addormentato sulla sdraio...
Come si fa a dedicarsi al sacro rituale dell'otium con il cervello costantemente trapassato (da orecchio a orecchio, senza che nessuna sillaba sia schermata dalle falde del cappello di finta- paglia- omaggio Nivea, che nel frattempo ci si sta sciogliendo sulla testa) dai consigli scambiati tra le brave comari per la preparazione dei tortellini per il prossimo natale, o dai commenti maschili sulle ultime vicende della Coppa Uefa, o in generale dai pettegolezzi che, mica per niente si sono conquistati un epiteto proprio: "da spiaggia" per l'appunto ("Lo sai che lo scorso inverno Tizio ha cornificato Caia?!", "Ma no?!"; "E Sempronia aspetta il quarto pargolo e vista da dietro assomiglia sempre più a un cetaceo!"...diciamocelo, il tenore intellettualistico dei discorsi che si dispiegano tra un lettino solare e l'altro non si discosta molto da questo!).
Folla di neuroni inebetita dal sole...
A complicare ulteriormenrte la situazione c'è sempre qualche creatura zoomorfa gonfiabile in PVC, che sfugge al controllo e trasportata dalle brezze marine ti piomba addosso con tutta la sua animalesca imponenza gommosa, leggera ma graffiante di cuciture di nylon! Niente di meglio di queste fusa artificiali per la pelle già cotta dal sole e irritata dal sale!






Come se tutto questo bailamme non fosse abbastanza, alcune menti perverse arrivano a portarsi in spiaggia i loro amici pelosi a 4 zampe, vivi, di pezzatura più o meno estesa, li tengono al sole finchè non sublimano, per poi tentare di recuperarli a forma solida pucciandoli in acqua. E allora inizia il lento rituale di recupero di legnetti ripetutamente gettati in mare da padroni annoiati, finchè la povera bestia non esprime il suo disappunto con una solenne scrollata di "au di cane bagnato e mollusco" addosso al vicino di battigia...

Che si opti per la lido organizzato o per la spiaggia libera (ovvero per quel che ne resta durante l'alta stagione), gli scenari che si distendono lungo le coste mediterranee nell'afa agostana ricordano tanto le colonie di foche nel periodo dell'accoppiamento: un pigia-pigia di carne più o meno soda, la lotta per il predominio sul francobollo di sabbia faticosamente conquistato, che si combatte non a colpi di coda ma con barricate di borse, zaini, frigo portatili, trincee di libri, cumuli di indumenti, infradito, boccagli, braccioli...e guai ad alzarsi per andare a fare il bagno! Si organizzano turni di guardia, ronde di sentinelle... armate di olio solare (bollente).
Una guerra di logoramento, combattuta al centimetro. E il minimo sconfinamento territoriale può generare reazioni paragonabili  a quelle dell'invasione di Slesia e Pomerania da parte dei tedeschi! Con l'unica differenza data dalla presenza, sulla spiaggia organizzata, di un bagnino-arbitro che può intervenire a impedire omicidi a colpi di ombrellone e a ricondurre ogni "utente" nella propria celletta d'alveare! 
Rassegnatevi dunque, o bagnanti, a starvene incasellati come i numeri del sudoku in un'area non molto maggiore di quella delle parole crociate!

Tutto, nell'agosto marittimo italiano si calcola in forma centimetrica: la fenomenologia degli affitti immobiliari prevede una crescita esponenziale in proporzione ai centimetri quadri di sfumatura azzurra che si ha l'impressione di intravedere all'orizzonte dalla finestra del tinello, fra i tetti delle case di fronte ("Ma signora, si sporga un po' di più... se alza una gamba, trattiene il respiro, si tiene bene alla ringhiera, vede quasi mezzo golfo!!!!"... e con un po' più di azzardo, dall'alto dei cieli, si vede fino alla Costa Pacifica...).

Allo stesso modo l'estensione dei costumi da bagno è direttamente proporzionale all'età della carne esposta, si muove tra i poli del minimalismo da bikini (che consente un'abbronzatura tanto profonda che si rischia di lasciare sul lettino una stampa radiografica, ma a patto di non respirare troppo forte, altrimenti qualche brandello anatomico scappa fuori di sicuro!) alle "metrature" delle guaine-mute modello anni 60, che non concedono neppure il più piccolo tremolio budinesco... pena la tintarella di luna...ma per chi non ha pretese di  cottura anche tra le pieghe dell'ombelico e si accontenta di una rosolatura superficiale va bene così.

Dura la vita del vacanziere agostano! E allora?
Restano due alternative: rifugiarsi in montagna o riderci su... magari cercando salvezza in un po' di buona letteratura. Eccone un assaggio:



L'avventura di una bagnante  


Facendo il bagno alla spiaggia di ***, alla signora Isotta Barbarino capitò un increscioso contrattempo. Nuotava al largo, e quando, parendole tempo di tornare, si girò verso riva, s'accorse che un fatto senza rimedio era accaduto. Aveva perso il costume da bagno. [...]
Il costume a due pezzi l'aveva messo quella mattina per la prima volta, e sulla spiaggia,in mezzo a tanti sconosciuti, le sembrò la facesse stare un po' a disagio. Invece, appena in acqua, si sentì contenta, più libera nei movimenti e con più voglia di nuotare [...] anzi, la prima cosa che pensò nuotando fu proprio: "Mi sembra d'essere nuda". L'unica molestia era il pensiero di quella spiaggia affollata, non per altro ma perchè le sue future conoscenze balneari da quel costume si sarebbero forse fatta un'idea di lei che in qualche modo avrebbero dovuto poi cambiare: non era tanto il giudizio sulla sua serietà, ché ormai al mare andavano tutte così, ma il crederla, per esempio, sportiva, o molto alla moda, mentre lei in realtà era una signora davvero alla buona e casalinga. 
[...] Al largo di quella spiaggia, lei era nuda. 
Nessuno l'avrebbe sospettato, vedendo solo la sua testa sporgere dall'acqua, e un po' di braccia e il petto [...] e lei ad affannarsi, a cambiare modo e senso del nuoto, e si girava nell'acqua, s'osservava in ogni inclinazione e in ogni luce, si contorceva su se stessa; e sempre quell'offensivo nudo corpo le veniva dietro. Era una fuga dal suo corpo, che lei stava tentando, come da un'altra persona che lei, signora Isotta, non riusciva a salvare da un difficile frangente, e più non le restava che abbandonare alla sua sorte. Eppure questo corpo così ricco e innascondibile era ben stato una sua gloria, un suo motivo di compiacimento; solo una contraddittoria catena di circostanze in apparenza sensate poteva farne ora una ragione di vergogna. Oppure no, forse sempre la sua vita consisteva solo in quella della signora vestita che lei era anche stata in ciascuno dei suoi giorni, e la sua nudità le apparteneva così poco, era un inconsulto stato della natura che si rivelava di tempo in tempo destando meraviglia negli essere umani e in lei per prima. Ora la signora Isotta ricordava che anche sola o in confidenza col marito aveva sempre accompagnato il suo esser nuda con un'aria di complicità, d'ironia tra impacciata e gattesca, come se temporaneamente indossasse dei camuffamenti gioiosi ma sproporzionati, per una specie di segreto carnevale tra sposi.  
[...] non capiva perchè questa nudità che tutti portano con sé da sempre, bandisse ora lei sola, come fosse la sola a essere nuda, l'unica creatura che potesse restare nuda sotto il cielo [...] le toccava d'espiare solo questa nostra un po' goffa tenerezza di forme [...] quella nudità che le era a un tratto come cresciuta addosso, lei l'aveva sempre accettata non come una sua colpa ma come la sua innocenza ansiosa, come la fraternità segreta con gli altri, come carne e radice del suo essere al mondo; e loro invece, gli scaltri dei sandolini e le impavide degli ombrelloni, che non l'accettavano, che l'insinuavano come un reato, come un capo d'accusa, solo loro erano i colpevoli.
[...]


(in Gli amori difficili, Italo Calvino)