lunedì 16 settembre 2013

Anno nuovo (?)

Primo lunedì dell'"anno nuovo"; sì perchè, in barba all'ufficialità del calendario astronomico e alle sue
periodizzazioni, è ora che tutto riacquista il suo "ritmo" consueto, che gli oggetti recuperano il loro spazio naturale e il tempo riassume "volume", dopo il suo sfilacciarsi ozioso nell'omogeneità cronologica della pausa estiva.

Pronti a ripartire???
Ci si potrebbe illudere che per chi non si è "fermato" il problema del rimettersi in carreggiata non si ponga... soprattutto se l'allenamento alle rogne è stato garantito da qualche tiro mancino della Tùke (Fato), cadutoci sulla testa come una banderuola segnavento di ferro battuto bello pesante (tanto per non citare la solita tegola...), scossa dal caldo Favonio. Eppure la "primavera" settembrina è sempre foriera di novità e ansia.

E se c'è chi ancora non si rassegna all'inevitabilità del nuovo millesimo (atteso e temuto come come un pacchetto regalo da scartare con curiosità e incertezza... entusiasmo per l'aspettativa e preoccupazione per l'agguato della possibile delusione), è proprio questa l'epoca di progetti, pronostici, prospettive. Inultile indugiare in un trend di vita quieta ormai illegittima.

Si è da poco celebrato il capodanno scolastico, il che significa che l'espressione "vacanze estive" è ufficialmente bandita dall'uso linguistico nazionale per i prossimi 9 mesi...

Fatta questa tragica constatazione, stiamo tutti arrotando le armi... ciascuno a suo modo.
Per noi donne i "postumi" del rientro si riflettono immancabilmente sull'aspetto esteriore: quelle che non vogliono squamarsi come orate o ritrovarsi lucide come pitoni (inevitabile dopo mesi di oli abbronzanti al cocco, creme idratanti all'avocado, doposole al mango... e tutti gli altri prodotti che possano farci assomigliare olfattivamente a una bancarella di Bangkok) si dedicano a ruvidi trattamenti esfolianti, scrub, peeling total body... insomma una bella grattugiata e l'estate è dimenticata! (proverbio o filastrocca?)
Per coloro che invece non sanno rassegnarsi all'imminente pallore e perseverano con ostinazione nella ricerca dell'eccesso di melanina, qualche mente crudele ha ideato gli autoabbronzanti, che conferiscono un effetto dalmata stinto... parodia anacronistica della tintarella.
Tutte siamo alle prese con capigliature da hippy, dalla nuance e dalla consistenza del ciuffo della pannocchia...  e non c'è balsamo che tenga; ci vuole una bella sforbiciata (cihe fa rima con la grattugiata di prima).

Risolti questi problemi "superficiali" sarà forse il caso di ampliare lo sguardo alle faccende non liquidabili nell'ambito di un centro estetico (anche perchè di tali questioni dovremo preoccuparci solo per poco, visto che il calzettone si allunga in maniera direttamente proporzionale al discendere della temperatura, e se il clima continua così tra una settimana saremo tutti imbacuccati!).

Quante mamme e quanti papà si trovano alle prese (più dei diretti interessati) con i "primi giorni di scuola"? Dopo il tripudio di colori di matite  e quadernoni nuovi (astute lusinghe pensate per rendere meno traumatico il  passaggio dal mondo delle coccole e del gioco a quello dei doveri, dei compiti, della disciplina), è ora il momento delle pagine intere coperte della lettera A A a a (e via di seguito per tutto l'alfabeto, cosicchè il primo quaderno d'italiano è esaurito nell'arco di una settimana), dello sgorgare della prima parola "ufficiale" (perchè destinata a permanere come imperitura testimonianza filologica del primo atto linguistico consapevole) dall'inchiostro della biro cancellabile, dei primi arcani o miracoli dell'aritmerica (perchè mai 5x8 dovrebbe fare 40 se già ci pensa l'8x5? Al diavolo la proprietà commutativa!)... 
Franco Matticchio, L'indice dei libri del mese
settembre 2013, pag. 4
La prima elementare è una scalata, per quegli "alunni" che nel grembiule bianco non c'entrano più, ma tutte le sere (da qui ai prossimi 5 anni) si ritroveranno accovacciati sul tappeto del salotto, alle prese con la "lacrima" dell'articolo determinativo l' che ha perso la "coda", con i versi della poesia "Riobò" da recitare a memoria, con le ricerche sulla Manta birostris o sulla fotosintesi clorofilliana...
Le spiegazioni pittoresche e favoleggianti fornite fino a questo momento alle domande del curioso pargolo non bastano più; agli occhi creduli che ci guardavano incantati come fossimo l'oracolo di Delfi, depositari di tutta l'umana scienza si sostituisce l'espressione scettica e sprezzante di chi esige risposte scientifiche; e la perdita dell'autorevolezza profetica del genitore è sancita dal passaggio dalla professione di fede del "La mia mamma mi ha detto" al culto del "Lo ha detto la maestra" (dove peraltro la soppressione del dativo esprime la validità universale e incontestabile del dogma). Crucci e piaceri della vita scolastica genitoriale!


Che si "seminino" tabelline pitagoriche o cavoli  verza, ravanelli e spinaci (ma è periodo anche per lattughino da taglio, radicchio, scarola, bietole e se a qualcuno interessa posso continuare l'elenco nella sezione "ricette"), c'è nell'aria l'attesa di qualcosa di diverso; si ricreano i consueti equilibri e se ne istituiscono di nuovi... Bisogna riaggomitolare il senso dei giorni... Quel senso che non è necessario inventare quando si viaggia, quando la storia si scrive da sè e il tempo si srotola secondo ritmi diversi, in mille emozioni "straniere", all'interno di una "parentesi" scritta in corsivo nella trama dell'esistenza quotidiana; allora il nostro "io" sociale (quello che va al lavoro, dà la pappa al gatto, fa la spesa, parla ai gerani, litiga col microonde, va al cinema o a teatro, vede amici, si condivide col mondo), cede il passo a un io temporaneo, "altro" e che vive "altrove", ma poi torna a casa con noi e non ci abbandona più, trovandosi una sua nicchia nella nostra personalità "solita". Sarà per questo che al rientro ci si sente sempre un po' estranei nel proprio ambiente; gli oggetti domestici rimasti come sospesi nell'inutilità durante la nostra assenza, sembano guardarci con sospetto... riconoscono il nostro mutamento e ci vuole qualche giorno per riconquistare l'ordinaria confidenza.
Nuovi equilibri dunque. Nuovi significati per le cose comuni, per la prassi di sempre. Riprendiamo in mano la nostra penna metaforica (o il nostro Tablet se vogliamo stare al passo con le nuove tecnologie) e proseguiamo il racconto di noi, aggiungendo ogni giorno un appunto, un'idea, un momento di bellezza e unicità, sicchè alla sera possiamo pensare che

"un altro giorno muore, ma noi non l'abbiamo sciupato: il sole è sorto anche per noi e possiamo avviarci al riposo della notte senza la bocca amara di chi ha dissipato un bene irripetibile" 
(Gina Lagorio, Un ciclone chiamato Titti)














giovedì 5 settembre 2013

Natural tatoo

Settembre. Inoltrato.
Ormai l'estate ruzzola verso l'autunno... e pare che nulla possa fermare questa frana del tempo.
L'aria diviene ogni giorno meno pigra, più fresca e frizzante.
Eppure c'è ancora qualche fortunato che si rilassa, spiattellato sotto un sole meno famelico...e scopre gli ultimi lembi (più o meno cotti) di pelle.

Sorge spontanea un'ultima riflessione sulla "superficie corporea"... sull'epidermide a lungo esposta agli UVA, come le strisce di daino dopo averci asciugato la carrozzeria dell'auto... 
Infiniti stuoli di schiene, pance, gambe, spalle, seni e sederi più o meno pudicamente esibiti in spiaggia, ma anche in città, sono state sotto gli occhi di tutti...

Ma oltre a fare tanta scorta di raggi ultravioletti, a cosa ci "serve" la pelle? Che uso ne facciamo? Come la valorizziamo rendendola non un semplice involucro cadutoci addosso ma un elegante abito cucito "su misura"? Possiamo scriverci e dipingerci, trasformandola in tela o in un moderno (e vivo) foglio di pergamena...(mi duole ammetterlo, ma siamo sempre "animali"...chi più chi meno...!!!)

E allora vale la pena di meditare un attimo sui segni, artificiali o "naturali", permanenti o temporanei, che ci portiamo "scritti" addosso: dal make up ai tatuaggi, dalle cicatrici agli abiti stessi.





Non siamo una generazione particolarmente originale, perchè la pratica di pitturarsi, marchiarsi, mascherarsi, addirittura "deformarsi" è appartenuta a tutte le culture, comprese quelle preistoriche. E a pensarci un momento si ammetterà che lo fanno anche gli animali, dal fiero pavone al goffo pesce palla. Esibizione di vanità o finzione di forza, bisogno di nascondersi o desiderio di mostrarsi, celebrare i doni di Madre Natura o porre rimedio alle sue mancanze...


"Dire", con un linguaggio "altro", sussurrato, balbettato o urlato attraverso la membrana che ci protegge e ci mette in contatto col "fuori"; atto istintivo o creativo che ha sempre una sua nobiltà... o quasi.



Dunque Tatuaggi.

Partendo dal presupposto che farmi marchiare come una mucca non è mai stato tra le mie priorità esistenziali, e che i tatuaggi permanenti mi sono sempre sembrati un insulto alla memoria dei detenuti di Auschwitz, ammetto che il fenomeno mi affascina: testimonia una volontà di durevolezza indelebile, suggerisce un bisogno di "permanenza", in un'epoca in cui tutto diventa più effimero e transitorio, "di moda"... una volontà di memoria che evidentemente non può più affidarsi al tradizionale Caro diario...
O forse un'esigenza di diversità, unicità epidermica, data da segni che solo per noi acquistano un significato.
Il nome del primo criceto, la ricorrenza del (primo?) matrimonio o la nascita del primo figlio, il ricordo di una grande gioia o di un momento di passaggio, di cambiamento interiore proiettato all'esterno.
E' tenero e nobile voler serbare perpetuo memento delle esperienze più importanti della propria vita; è triste doverlo fare "cucendosi" addosso date, simboli, motti... Tatuiamo noi stessi, il nostro IO "di fuori", quello che mostriamo al mondo, con i colori del nostro vissuto intimo, personale, che vogliamo proteggere dall'oblio ma non dall'estraneità di quanto ci circonda.
Per ovviare al problema della troppa "visibilità" c'è chi ricorre alle collocazioni più impensabili e inaccessibili. Ma personalmente sapere il mio nome stampigliato a caratteri tribali sulla natica di qualcuno non mi farebbe gran che sentire lusingata...  Nè mi entusiasmerebbe l'idea di contorcermi nelle posizioni più assurde del kamasutra per ripescare quello che mi sono fatta scrivere in posizione scomodissima.
Ecco, al limite ammetto la praticità di farmi eventualmente stampare sul dorso della mano quei tre o quattro numeri utili che non c'è verso riesca a ricordare: pin del bancomat, codice di avviamento postale, numero della carta di identità...  Ma finora sono riuscita ad arrangiarmi anche senza ricorrere a provvedimenti tanto radicali.

Ognuno col proprio tessuto epiteliale ha il diritto di farci quel che vuole, e visto che non pretendo di entrare nella pelle degli altri, non mi permetto di giudicare, anche se per me che svengo solo all'idea di un prelievo di sangue, la prospettiva di soffrire per ore facendosi volontariamente piantare degli aghi sotto la pelle ha poco di ragionevole.
Mi limito a un consiglio spiccio ma profetico: prevedere l'effetto "prugna secca" dell'epidermide "attempata" e di conseguenza essere accurati nella scelta dei soggetti; considerare che col passare degli anni le farfalle sono destinate a trasformarsi in falene con le ali mosce, gli alberi dai rami svettanti e vigili intristirsi in salici, i soli e gli altri simboli tondeggianti a sciogliersi in grottesche rivisitazioni degli orologi di Dalì... Forse reggono giusto le fisarmoniche...cambiando estensione....
E allora oltre che nella scelta dei "contenuti", bisogna dimostrare buon senso (e amor proprio) anche nella scelta della collocazione anatomica del tatuaggio.
Certo, può apparire molto romantico stamparsi fiduciosamente il nome della fidanzata in caratteri svolazzanti sul deltoide, magari dentro un bel cuore purpureo... ma se la prospettiva è quella di ritrovarsi sull'avambraccio una pera cotta con dentro lettere illeggibili perchè simili alle orecchie di un cocker, forse vale la pena di pensarci un attimo.
 
In ogni caso, per quanto facciamo di tutto (soprattutto noi donne) per ricondurla a obbedienza, la nostra pelle vive una vita propria: disegna giorno dopo giorno l'atlante delle nostre esperienze, registra le nostre cicatrici interiori, traccia i confini delle nostre felicità e dei nostri drammi. E non bastano questi segni a renderci unici?
L'attrice Anna Magnani diceva al suo truccatore "Le rughe non coprirle che ci ho messo una vita a farmele venire"... Rara saggezza.
Invece no. Contro questi segni inevitabili e naturali ci siamo inventati mille mascheramenti, correttori, tonici, creme al collagene e acido iarulonico... Quanta fatica per apparire tabulae rasae, tele intonse.



Vintage, vini d'annata, arte retrò, arredamento d'antiquariato, dimore d'epoca. Tutto ciò che ha un vissuto ci affascina, e anche in una borsa di cuoio raggrinzita riusciamo a leggere la paziente opera del tempo, ma facciamo i tutto per non esserne toccati, per restare spettatori a "distanza di sicurezza".
Forse la giovinezza mi concede la presuntuosa convinzione che non vi sia niente di male nel "conquistarsi" qualche difetto, purchè portato con eleganza come un accessorio discreto. Ma probabilmente dovrei rimandare ulteriori riflessioni alla comparsa delle prime "zampe di gallina", e vedere l'effetto che fa.
Però so di non voler assomigliare a uno di quei quadri di pittura astratta contemporanea, con un puntino nero su sfondo bianco o un taglio verticale su un orizzonte di nulla...che non si sa mai bene cosa significhino, nè si capisce se ci piacciono o meno. Non voglio assomigliare a una lavagna segni che non significhino niente, indelebili tracce di esperienze non vissute. Perchè vivere e invecchiare non è forse questo? accumulare esperienza e saggezza e, inevitabilmente, far scorrere attraverso di noi il tempo, con tutti i tagli, i solchi e gli splendidi arabeschi che ne derivano.

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