mercoledì 22 ottobre 2014

Il "ritratto" di una vita.

Ritratto di signora
Henry James
(1981)
Newton & Compton Editori
pp. 477
In circostanze adatte, poche ore nella vita sono più piacevoli dell'ora dedicata alla cerimonia nota come tè del pomeriggio. Vi sono cicostanze in cui, sia che si prenda sia che non si prenda parte al tè [...] la situazione è in se stessa deliziosa. (p. 23)

Malgrado l'aspetto "salottiero" e "frivolo" dell'esordio, affacciato sul panorama assolato e luminoso della tenuta inglese di Gardencourt, il romanzo non si riduce a una superficiale rappresentazione du circostanze mondane e dame "frullanti" nel loro abbigliamento vaporoso. L'apparente astrattezza temporale (l'"ora del tè" come limbo tra luce del pomeriggio e ombre della sera) e la sospensione spaziale (l'Inghilterra come ponte tra Vecchio e Nuovo Mondo e il giardino come locus amoenus) vengono smentite da una narrazione che che si addentra nella complessità dell'esistenza interiore, della psicologia umana e femminile in particolare, nei meandri della coscienza e nel gioco di ruoli in atto in una società (quella moderna) in evoluzione.
Al centro dell'opera, soggetto del "ritratto" che progressivamente si delinea, è Isabel Archer, una giovane americana, di condizione modesta ma di brillante personalità e acuto intelletto, che vive nella monotona Albany, lontana dal traffico di uomini e idee; dopo la morte del padre, per soddisfare il proprio desiderio di conoscere e di "vedere la vita", ella accetta di seguire l'eccentrica zia Lydia Touchett nella sua dimora fiorentina e nei suoi viaggi in Europa, passando prima per la tenuta inglese di Gardencourt. Qui risiedono lo zio e il cugino di Isabel, Ralph Touchett, malato e destinato a prematura morte, costretto perciò ad amare la cugina "senza speranza", eccetto quella di vederla
librata in alto, nell'azzurro... a navigare nella viva luce, sopra la testa degli uomini (p. 286). 
Proprio per preservare questa sua possibile, sconfinata indipendenza, quella "libertà" che per la giovane costituisce un valore assoluto e un all'apparenza irrinunciabile, Isabel respinge le proposte di matrimonio avanzatele dapprima dall'aristocratico Lord Warburton, e poi dall'industriale americano Caspar Goodwood. Ciò che ella di fatto rifiuta è l'istituzione stessa del matrimonio, intesa come limitazione della sua indipendenza personale, della sua curiosità di scoprire da sola, senza l'aiuto di un uomo (seppur intelligente) come vivere. Ma una volta divenuta ricca ereditando parte del patrimonio dello zio per volontà di Ralph, Isabel si troverà a dover affrontare il lato più ipocrita della società e l'aspetto oscuro dell'esistenza; lentamente, vedrà tessersi attorno una rete di lusinghe e relazioni interessate (quella con la carismatica e sfuggente Madame Merle e quella con il futuro marito Gilbert Osmond), di segreti, menzogne e silenzi, fino a scoprirsi, prigioniera di un'immobilità in netto contrasto con i suoi ideali giovanili, con il suo desiderio di libertà
Mi piace troppo la mia liberà. Se c’è una cosa al mondo di cui vado pazza […] questa è la mia indipendenza personale (p. 144).  

Affascinata e ingannata, irretita in un matrimonio senza gioia, con un personaggio "decadente", indifferente alla vita, collezionista di oggetti "belli" ma senz'anima, Isabel sacrificherà la seconda fase della propria esistenza in uno stato di mortificazione e umiliazione intellettuale, in un'attesa immobile e senza scopo di un penoso futuro.
Quella raccontata in Ritratto di signora non è infatti la storia di un fallimento amoroso, bensì, più tragicamente, la storia di una rinuncia, di una sottomissione del proprio desiderio alla volontà altrui. Quella rappresentata è la progressiva perdita di entusiasmo imposta alla protagonista, che annulla se stessa smettendo di essere la "signorina Archer", creatura viva, mobile, affacciata alla vita attraverso "mille finestre", per trasformarsi ella stessa in uno degli oggetti inanimati conservati dal marito nel privato museo della loro esistenza comune.

Nel rappresentare la "persona" di Isabel, Henry James costruisce un "ritratto astratto": la protagonista è presentata come uno «spirito alato», desideroso di movimento e di volo, elevata alla nobiltà del sentimento e del pensiero, e al tempo stesso "ridotta" a quegli aspetti della sua personalità che saranno progressivamente nullificati.
L'autore, e con lui il lettore, sembra dimenticarsi che, sotto la «massa di drappeggi» dei suoi abiti e la sua «testa intelligente» adornata da «un'acconciatura maestosa», la protagonista possiede quel corpo "ancora snello" che sembra essere l'unico legame con quella vita che ella è desiderosa di "vedere" e "conoscere", anche senza toccarla direttamente:
No, non desidero toccarla, la coppa dell'esperienza. E' una bevanda avvelanata! Voglio soltanto vedere ci miei occhi (p. 136)
L'immagine "concreta" di Isabel rimane sempre in qualche modo nascosta, dapprima dietro la luce della sua vivezza intellettuale e introspettiva, dalla sua «straordinaria profondità» e «nobiltà d'immaginazione», al suo «temperamento insieme perentorio e indulgente», poi sotto la «maschera» che le copre interamente il volto, dipingendovi una «serenità» che non è «un'espressione» ma piuttosto «una rappresentazione [...] addirittura un manifesto pubblicitario». 
Così la descrizione tutta "introspettiva" e "astratta" della protagonista è condotta dapprima attraverso il monologo interiore, che testimonia le sue frequenti «compiaciute ispezioni nel campo del suo carattere», poi, in misura crescente, attraverso riflessioni e discorsi che altri personaggi conducono su di lei, con un mutamento di prospettiva che vuole essere il riflesso stilistico della sua perdita di libertà e di facoltà di "movimento".
Se Isabel possiede «una grandiosità e uno splendore» paragonabili a quelli degli altri personaggi femminili che la circondano, progressivamente tali sue caratteristiche si trasformano negli aspetti superficiali di un "ritratto", di una "rappresentazione"; la sua immagine non riflette più «la ragazza, viva» che era, ma è ridotta alla funzione di mero "ornamento", oggetto da collezione del marito.
Privata della sua natura e ridotta al nuovo ruolo di "Lady", Isabel smette di essere "persona" per divenire "ritratto", mirabile forse, ma privo di vita. E se addirittura la morte appare all'ormai "signora Osmond" un'alternativa preferibile all'infelicità presente, sarà proprio una morte, quella imminente del cugino Ralph, a offrirle una possibile via di fuga, l'occasione per opporsi al marito e tornare a Gardencourt, dove sembra prefigurarsi per lei la possibilità di un nuovo inizio, di una nuova libertà, di un ritorno alla vita desiderata e sprecata.
Il romanzo si conclude così come era iniziato, con l'assenza della protagonista, nuovamente in viaggio: non più in partenza verso la piacevolezza ignota dei suoi sogni di libertà, bensì di ritorno nell'angolo buio e immobile di mondo in cui il marito la tiene prigioniera.
Di fatto l'opera termina senza una vera e propria conclusione: Isabel torna a Roma con la nuova consapevolezza di un'alternativa possibile, con la conferma che oltre le mura di Palazzo Roccanera, ferve ancora la vita un tempo desiderata, si distende ancora vasto il mondo sognato, con le sue innumerevoli finestre.
Sta al lettore immaginare l'uso che Isabel farà di questa nuova consapevolezza e del resto della sua vita: l'allontanamento da Roma ha aperto uno spiraglio nel "muro cieco" che è l'esistenza di "Lady Osmond"; all'eroina resta la scelta se cogliere l'occasione per spalancare nuovamente qualche finestra del suo futuro o rinunciare per sempre a ogni raggio di luce proveniente dal mondo "di fuori".

giovedì 2 ottobre 2014

Il prezzo del "low cost"

Viaggiare, Ulisse lo sapeva bene, è un'impresa, una vera e propria professione...Certo, l'eroe omerico doveva sottostare a divinità avverse, tempeste e venti contrari....in compenso però non si trascinava dietro la moglie Penelope, il figlio Telemaco né il cane Argo...non doveva preoccuparsi di chiudere casa a Itaca né di prenotare in anticipo stanze di hotel o di rinnovare il passaporto.
Il viaggiatore moderno deve arrabattarsi con i preparativi e le disavventure "pre" partenza e "durante" vacanza...e in più fare in conti con "Penelopi" che non hanno più nessuna intenzione di starsene a casa a sferruzzare con gli strumenti dell'arte "filanda", accontentandosi di una collana di lapislazzuli recata come souvenir dal consorte dopo 20 anni di viaggi, ma vogliono essere scarrozzate per il mondo con il loro seguito di bagagli, eventuali figli e animali domestici...
 
Non possiamo immaginare cosa (a parte l'ovvio telaio!) la cara Penelope avrebbe costretto Ulisse a caricare sulla sua nave, ma volendo guardare a qualche esempio più recente di viaggiatrice femminile possiamo citare un elenco di regine, imperatrici o "umili" principesse, che si spostavano dalla loro reggia portandosi appresso
appresso mezza corte (in termini di vestiario, servitù e mobilio).
Concediamo allora ai nostri "eroi" moderni il merito di essersi rassegnati a farci da Ciceroni internazionali, ma a noi damigelle il fatto di essere diventate molto più parche in fattodressing; invece di bauli di abiti e gioielli, carrozze di dame di compagnia, paggi e ancelle...noi ci siamo adattate a cacciar quattro stracci in uno zainetto che, purtroppo per noi, non ha la capienza della borsa di Mary Poppins...
Tutta colpa delle regole sempre più restrittive imposte dalle compagnie aeree: niente liquidi nè oggetti metallici o acuminati; dunque nulla di tutti i nostri accessori e cosmetici...pinzette, lime, rasoi, creme, trucchi...tutto ciò che ci servirebbe per mantenere la nostra quotidiana (domestica) fisionomia e non trasformarci in mutanti alieni... Sì perché un paio di settimane in trasferta senza tutti i nostri segreti miracolosi sono capaci di rendere la nostra capigliatura un ciuffo di pannocchia, un  vello di capra ispida e irsuta, i nostri talloni zoccoli di Hobbit, le nostre sopracciglia setole di cinghiale! Siamo fortunate se non ci crescono i baffi...
 E tutto questo perché? Perché basta un semplice click sulla casella tentatrice "bagaglio", durante la prenotazione on line, per trasformare il prezzo di un biglietto aereo in classe economica, in quello di un posto business class- lusso! Dunque un viaggio risparmioso, con solo bagaglio a mano (che è poi uno zaino super pesante, stipato fino all'inverosimile, nella fiduciosa speranza di non doverlo MAI aprire prima di essere giunte a destinazione!) può trasformare una piacente pulzella in un'orco...e la metamorfosi comincia già in aereo, con le gambe che, dopo 5 (6? 7? 13?) ore di volo assumono le dimensioni di polpacci di dinosauro...
Ci consola soltanto il fatto che anche il turista uomo viene maltrattato: ci fa un'immensa tenerezza vedere interminabili file di distinti signori al check-in, radiografati al metal detector, che si reggono i calzoni coi denti per non restare in braghe, perché hanno dovuto depositare la cintura negli appositi cestini....e intanto vengono palpeggiati dalla guardia giurata che cerca un bazooka nascosto sotto una loro ascella, mentre cercano di spiegare in inglese singhiozzante che hanno semplicemente un pace maker nel cuore (e sarebbero disposti a scorrere sotto i roengten insieme al loro zaino per dimostrarlo!)!
Intanto noi donne dobbiamo assistere alla vera e propria "violenza" del nostro bagaglio, "sventrato" come un pesce morto sotto i nostri occhi impotenti, dalla guardia compiaciuta alla ricerca del mascara che abbiamo dimenticato di esiliare dal beauty case, per confinarlo nel sacchetto trasparente insieme agli altri liquidi...(così scopriamo che anche il mascara è considerato "liquido"...e intanto 30 finiscono nell'immondizia aeroportuale"!).
Superata questa iniziazione, veniamo relegati nel limbo dei "gate", luogo di purgatoriale attesa per l'imbarco, vero e proprio deserto aeroportuale privo di negozi, bar o qualsiasi piacevole distrazione fatta eccezione per un tristissimo duty free, paradiso di accaniti fumatori o aspiranti alcolisti...
Che abbiate pagato 10 in più a tratta per l'optional "Speedy boarding" non fa alcuna differenza: ad ogni scalo tra un volo e l'altro vi ritrovate stipati insieme agli altri 12000 viaggiatori in attesa di una hostess dispensatrice di grazia e notizie.
Saliti sul velivolo ci di rende immediatamente conto che, nonostante non si possa vantare un'altezza da Vatusso, si sarà costretti a trascorrere l'intero volo con le ginocchia in bocca, tanto scarsa è la distanza tra una fila di sedili e l'altra... Nei casi di congiuntura particolarmente sfavorevole si scopre anche che il nostro vicino (il "signor 05L") è un energumeno di 150 kg, che inevitabilmente sconfina nel tuo "05M"', schiacciandoti come una ventosa sul povero "05N"...
Ma non c'è tempo per disperarsi: les jeux sont faits! Si decolla!
Immagino la frustrazione di hostess e stuart, costretti a ripetere inascoltati la stessa manfrine sulle misure di sicurezza e le uscite di emergenza...mentre i passeggeri, con alterigia scaramantica, fingono che l'eventualità di un disastro non li riguardi: qualcuno sonnecchia, qualcun altro ha già le cuffie sulle orecchie e smanetta con il telecomando del sedile cercando di accendere lo schermo sulla nuca del passeggero di fronte...qualcun altro sgranocchia come un coniglio le noccioline reperite nel sopra citato duty free...
Un viaggio in aereo è qualcosa di rassicurante; tutto avviene sempre con la stessa sequenza e segue una precisa retorica gestuale: il "Welcome on board" del capitano (pronunciato in 15 lingue diverse...in alcune delle quali ti sembra di cogliere l'annuncio stravagante che, durante il volo, verranno serviti "baguettes e lumache fresche"....), le dimostrazioni del funzionamento di cinture e maschere per ossigeno da parte delle hostess, il transito iterativo del carrello delle bibite, il ricorso alla toilet più compatta che mente umana possa concepire, il pianto ininterrotto di qualche neonato, l'applauso finale (tipicamente, vergognosamente, europeo!)...
Sappiamo dunque sempre cosa ci aspetta...sappiamo che tutto si ripeterà immutato al ritorno...dopo i nostri 15-20 giorni trascorsi scorrazzando per qualche isola esotica su un motorino a noleggio, un trabiccolo scalcagnato e cigolante, mezzo di trasporto più insicuro della Terra  (in questo frangente ringrazi a posteriori i tuoi genitori per non avertene regalato uno a suo tempo, salvandoti da prematuro trapasso), o percorrendo lande desolate con lo zaino in spalla e solo un pezzo di sapone di Marsiglia quale vessillo delle norme igieniche della società civilizzata... Dopo aver alloggiato in bettole terrificanti, mangiato pietanze al limite dell'identificabile, sopportato situazioni che richiedono lo spirito d'adattamento di un giapponese, unico esemplare a sangue caldo capace di adeguarsi ad ogni evenienza senza manifestare alcun disagio, di camminare con le ciabatte infradito sulla distesa di rocce vulcaniche acuminate dell'Etna o sulla scalinata di San Torini cosparsa di "fiori" di mulo, di mantenere la stessa imperturbabilità stoica sotto il sole rovente del Sahara o al gelo della Lapponia, di cibarsi di qualsiasi "entità" commestibile o presunta tale, a qualsiasi ora e di portarsi dietro praticamente qualunque accessorio  in formato mignon...
(dall'arriccia ciglia a pile allo scaccia-zanzare laser).
Al nostro rientro, durante il nostos del ritorno, Subiremo la consueta trafila di controlli e perquisizioni, attese e code... E avremo tutto il tempo per notare, con frustrante disappunto, che mentre noi esibiamo una tenuta al limite del casual, al confine tra la tuta da ginnastica e il pigiama, e assomigliamo grottescamente a uno spaventapasseri, c'é qualche viaggiatrice nostra coetanea che sembra fuggita dalla pagina patinata di una rivista di moda, e attende l'imbarco elegantemente assisa sui suoi 12 cm di tacco, tronfia come una cicogna...
(Personalmente non ho ancora capito a quale demone devo vendere l'anima per riuscire ad assomigliare a una ninfa anche dopo aver scalato e ridisceso il Machu Picchu, essermi lavata i capelli col sapone per i piatti ed essermi regolata le sopracciglia con il tagliaunghie per due settimane... Perciò mi rassegno alle condizioni pietose in cui mi ritrovo, arruffata come una gatta randagia, col rischio, ogni volta che mi accovaccio sul mio povero bagaglio in attesa dell'imbarco, che qualche passante magnanimo diretto in business class mi getti una monetina di elemosina....).
Nulla paga la soddisfazione di atterrare recando, viva, la baby Palma tenuta tra le ginocchia per tutte le 15 ore di viaggio celeste, nonostante le proteste del consorte che non comprende questa importazione trionfale...
Insomma, viaggiare per noi donne e per gli avventurieri che ci portano con sé, é una fatica: siamo capricciose, esigenti, permalose e magari un po' sofistiche, poco inclini all'adattamento a nuovi habitat. Ma a nostra discolpa possiamo però dire che una compagnia femminile in viaggio è sempre utile: ritrova tutto quello che, all'occasione, gli uomini perdono ed evita incidenti dovuti a entusiasmi di gioventù anacronistica, per esempio riportando a più miti consigli il marito di mezza età che ambisce a lanciarsi in qualche sport estremo!
Se Ulisse si fosse portato dietro la saggia Penelope, non avrebbe avuto bisogno di farsi legare come un salame all'albero della nave per resistere alle Sirene...perché non c'è niente di più efficace contro le tentazioni travianti o gli "smarrimenti" psichici e materiali, di  una moglie al seguito...anche se alla fine della vacanza assomiglia un po' all'incredibile Hulk e progetta di ricreare una foresta pluviale miniaturizzata sul balcone del salotto...