Ne ho tanto parlato a proposito di culinaria, li ho resi ingredienti delle mie ricette, arrostiti, rosolati, infornati e scodellati! ma qui non sono protagonisti dei miei esperimenti di gusto bensì dei miei triathlon quotidiani: corsa a ostacoli, spinning, salto in alto (o della pozzanghera nella stagione piovosa milanese)!
Nei Promessi Sposi (che gli studenti di oggi chiamano confidenzialmente "Prospo", rivelando quantomeno di disporre di una capacità di sintesi e di invenzione neologica proporzionali all'irriveranza nei confronti delle auctoritas!) Manzoni utilizza l'immagine dei porcellini d'India che sfuggono al pastorello per rappresentare i personaggi del romanzo che, con le loro vicende, sfuggono al controllo dell'autore, costretto a intessere una trama di molteplici racconti per seguire le vicende di ognuno:
"Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno [...]; l'ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimodochè, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch'eran più vicini all'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva. Un gioco simile ci convien fare co' nostri personaggi..."
(A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. XI)
Per non voler essere da meno (che numeri avrà mai Manzoni più di me? aspirante novella Woolf?) mi sono creata anch'io le mie metafore per rappresentarmi simpaticamente i mille "piccoli affari" (come direbbe il Nostro) che affollano la vita di ogni giorno; umili cose, granelli di sabbia, pulviscoro infinitesimale dell'Universo, che tuttavia minacciano di seppellirci sotto una duna di cose non fatte, impegni non rispettati, propositi non realizzati, se non ci disponiamo a onorare i nostri doveri con la precisione di un orafo, la pazienza di un monaco tibetano e la determinazione di un agente delle SS...
(il tutto con l'imprescindibile supporto di moderni strumenti hi-tech: sveglia, postit, e la benedettissima provvidenziale agenda!).
Dunque, per tradurre le cause del mio caos cosmico interiore in immagini concrete ho optato per i "coniglietti"... tanti batuffoli bianchi (forse correlativo oggettivo di un latente spirito da "Alice nel paese delle meraviglie"?) che mi saltellano attorno, che devo rincorrere e nei quali mi tocca talvolta inciampare...
Sì, soffro della sindrome di "conglite" (la "porcellite" la lascio dunque al Manzoni!), cronica, pressocchè incurabile (ho provato la terapia dell'ozio coatto ma non è servita)... per fortuna soggetta a periodi di attenuazione rispetto ai picchi di freneticità da elettrone impazzito! Ne soffrono più o meno tutte le donne... Freud e Jauss la chiamavano "isteria"... oggi possiamo definirla come "avere ottomilaquttrcentosessantacinque cose da fare e no, grazie, non ho bisogno di aiuto"... perchè si sa che se si cerca di aiutare un giocoliere nei suoi numeri di equilibrismo, questi immancabilmente fa cadere tutti i birilli e magari finisce pure al pronto soccorso.
Attacchi di coniglite acuta possono verificarsi quando meno ce lo si aspetta, a tradimento! Tra i primi sintomi vi è l'atteggiamento autarchico nei confronti della tecnologia: che si manifesta innanzitutto sottoforma di assoluta sfiducia nei confronti della sveglia: l'orologio biologico prende il sopravvento; se abbiamo un impegno alle 8 del mattino, alle 5 siamo già sveglie, lavate, truccate, pettinate, vestite; alle 6 abbiamo già fatto colazione, innaffiato le piante, caricato la lavatrice, portato a passeggio il cane (eventuale), riattaccato i bottoni alle camicie e rammendato eventuali calzini bisognosi.
Immancabilmente qualche coniglio (non per niente viene definito come "fratello
stupido della lepre"!) si incastra sotto la macchina da cucire o tra gli
stipiti di una porta, e allora bisogna dare una spintarella più o meno
energica al loro sederotto batuffoloso per levarseli (e levarsi)
d'impiccio....!!!
Verso le 7.30 assistiamo al "risveglio del giovin signore", e al suo stupore di fronte al "miracolo dell'ebolizione dell'acqua del tè" (un evento che, chissà perchè?, per noi ha perso il suo fascino misterico!)... o allo smarrimento di fronte alla sparizione del burro "fagocitato" dal metro cubo di volume del frigorifero ...perchè si sa che il sesso forte al mattino ci mette un po' a recuperare il suo potere virile...
Nel frattempo noi abbiamo riordinato la libreria in ordine alfabetico (non dimentichiamo che siamo in preda al raptus folle; non sappiamo quel che facciamo ma lo facciamo comunque!), convinto la domestica filippina a non licenziarsi dopo aver visto il bagno nel quale ieri sera abbiamo fatto lavato il cane, preparato pranzo e cena per i successivi 5 giorni e ci apprestiamo a uscire di casa con addosso la nostra bella tutina da Wonder Woman...
Visto che sono "solo" le 7.45 abbiamo la facoltà di passare anche in posta, dal calzolaio e in un paio di supermercati... Andarsene poi in giro con una seppia nella borsa per mezza mattinata non sarà il massimo, ma si sopravvive anche a questo... (deja vu)...
Siamo solo all'incipit della giornata e la lista dei "conigli" si distende lunga verso l'orizzonte di fronte a noi, mentre ci chiediamo se nostro marito sarà riuscito a uscire dal frigo o si sarà perso tra le uova o rimasto chiuso nella scatola del brie...
E la giornata rischia di diventare mooooooolto lunga se ci siamo lasciate sfuggire qualche informazione necessaria alla sopravvivenza nella grande città; ad esempio sciopero dei mezzi pubblici o blocco del traffico; e allora via! in bicicletta o monopattino o palafreno (con chiome al vento e nastri svolazzanti come Angelica in fuga da Rinaldo, il paladino più sfigato dell'epica cavalleresca!)... conigli al seguito, ovviamente... perchè quelli non si possono cavalcare!
Arriviamo alle 7 di sera che uccideremmo per un'aspirina, ci trasciniamo striscianti fino alla farmacia più vicina, talmente pallide che la fotocellula delle porte scorrevoli neppure ci vede e rischiamo di restarci spatasciate come mosche... Se riusciamo a entrare troviamo sempre un'esaltata fun dei prodotti naturali-omeopatici che cerca di rifilarci qualche "integratore" (di cosa bene non si sa)... noi ci mordiamo la lingua per non proferire qualche improperio, mentre guardiamo l'orologio e pensiamo che forse più che una pillola miracolosa ci sarebbero utile una segretaria efficiente, un autista con elicottero, tre o quattro cameriere...
La serata è "giovane" (anche se noi ci sentiamo dei fossili), dobbiamo ancora arrivare a casa, sistemare la spesa (sbrinare il marito?)... possibilmente ricordandosi di recuperare la suddetta seppia dalla pochette e cercando di non abbandonare nel freezer le chiavi dell'auto (altrimenti per trovarle domani non potrà aiutarci neppure l'Oracolo di Delfi!), preparare la cena (magari abbiamo anche un paio di ospiti?), rendere presentabile casa e noi stesse...
Arriva (perchè, nonostante i peggiori auspici, prima o poi arriva!) la fine "ufficiale" della giornata: il momento in cui le luci della città si spengono, il traffico rallenta, la vita si assopisce. E noi coniglitiche croniche? Ovviamente sveglie, circonate da tutti i nostri batuffoli bianchi, le nostre metafore saltellanti, i nostri aguzzini dal musetto tremulo...
I giorni si susseguono così, senza soluzione di continuità... in un fluire unico di follia elettrostatica alla ricerca dell'equilibrio da "gas nobile"... Ma siamo instabili, alla ricerca perpetua della perfezione donnesca...
Ma quando ci ritroviamo a dire alla vicina: "Chiudo la porta o mi scappa il gatto" (per poi realizzare che non abbiamo il suddetto animale domestico!)... realizziamo che è proprio il momento di preoccuparsi...
A meno di trovare un varco spazio- temporale che ci consenta di dilatare le giornate e di non impazzire (il che implica il non ridursi alle 2 di notte a cuocere i fagiolini per il giorno dopo...), dobbiamo riorganizzare l'agenda e tirare il freno a mano del nostro cervello (o il cric dietro a qualche coniglio!).
Forse "vivere" non vuol dire correre attraverso l'esistenza inseguendo tante inutili piccole mete; ogni tanto bisogna distogliere lo sguardo dal traffico della vita per accorgersi che ai lati della strada crescono ancora i fiori selvatici...
E allora portiamo il vestito da super-eroina in tintoria, chiudiamo nel cassetto i conigli (o facciamoli al forno), godiamoci il nostro esistere.
Ogni tanto rallentiamo. E salviamoci dal lapsus del "gatto fantasma"!!!
Umberto Saba
RispondiEliminaA mia moglie
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.