C'è stata un'epoca,
prima dell'avvento della Play Station e dell'epidemia dello spinning, in cui il
genere umano era ancora consapevole dell'esistenza di un mondo reale, popolato
non solo da pixel e da monitor per la cardiofrequenza, e "addirittura"
fisicamente percorribile con spostamenti misurabili da un punto A ad un punto
B!
Era il tempo in cui
ancora ogni bambino (con il cervello non ancora invaso dai Pokemon) sognava e
desiderava la sua prima bicicletta, pronto a grattugiarsi ginocchia e gomiti
nel nobile tentativo di domare l'insidioso trabiccolo e sviluppare un'abilità
che non lo avrebbe più abbandonato per tutta la vita. Chi non ricorda la
gloriosa soddisfazione sperimentata alla prima pedalata portata a termine senza
sfracellamenti, senza rotelle e senza il supporto di un amorevole genitore
disposto a correrci dietro sorreggendoci per il sellino durante i nostri
esperimenti di equlibrismo (mentre il coniuge si teneva pronto con la borsa del
ghiaccio e il kit di pronto soccorso)?
Le prime impagabili
conquiste! Tempravano il fisico e il carattere, insegnando determinazione
e dignità! Grattugia oggi, gibolla domani, si imparava che non tutto è facile,
ci si confrontava con i propri limiti, le proprie paure, e si cercava di superarli,
si capiva l'importanza del riuscire a fidarsi ma anche di saper rinunciare alla
mano disposta a sorreggerci... Era un gioco ma anche una lezione di vita.
Anche per gli
adulti, prima che esplodesse la sindrome da cilindrata, il caro biciclo
rappresentava più che un prezioso mezzo di trasporto: era un’affermazione
d’indipendenza, di libertà di movimento, di fiducia nelle proprie forze. I
nostri nonni pedalavano per la città senza cambio, senza telaio in carbonio
superleggero e senza tanti fronzoli: solo una bella molletta per reggere i
pantaloni a metà polpaccio…accessorio che poi veniva immancabilmente
dimenticato e poco elegantemente conservato per buona parte della giornata!
Ormai, un po’ per
pigrizia, un po’ per paura di essere stirati dagli autoveicoli o intossicati
dalle polveri sottili, il culto della bicicletta in città fatica a
sopravvivere… fatta eccezione per contesti come quello di Amsterdam, dove ogni
giorno migliaia di ruote percorrono strade e ponti chiusi al traffico, e non è
inusuale vedere signore vestite di tutto punto che pedalano trainando
“rimorchi” con tre o quattro figli da accompagnare a scuola, con il cane nel
cestino e la borsa della spesa appesa al manubrio…
Altrove gli adulti
preferiscono generalmente accomodare il fondoschiena sul flock antisqueaking
delle loro automobili anche per andare a comprare il giornale, tanto per
sperimentare cotidie il piacere
terapeutico di sbraitare nel traffico, e rinchiudersi poi in affollate palestre
per pedalare come criceti frustrati su sentieri immaginari che non portano da
nessuna parte…se non verso il miraggio di glutei supertonici da sfoggiare in
spiaggia…
Qualche amante delle
sane pedalate però rimane: oltre a coloro che agognano gli sporadici blocchi
della circolazione indetti dai comuni per far rientrare le polveri sottili
entro livelli respirabili, e colgono queste rare occasioni per riversarsi per
le strade con bici, tandem, tricicli, monopattini, skateboard, pattini e tutto
ciò che possa rotolare sull’asfalto, ogni tanto si vedono gruppetti di ciclisti
della domenica che partono equipaggiati di tutto punto diretti verso tranquilli
sentieri di campagna o avventurose discese a rotta di collo dai pendii di
qualche vicino monte.
Alcuni partono già
combinati con le loro tutine aderenti e sgargianti…che li fanno tanto
somigliare agli omini che nello spot dello yogurt Actimel dovrebbero
rappresentare i fermenti lattici… però vestiti a festa, multicolor!
Hanno caschetti,
ginocchiere, guanti forati, imbottiture per pudenda (ma tante volte sospetto sia
solo un pretesto per esibire ciò su cui l’occhio non dovrebbe cadere…e invece
così ci cade!)…bottigliette di integratori salini, ecc., ecc.
I più fanatici hanno addirittura
lanciato la moda della microtelecamera montata sul casco, per documentare le
loro prodezze o lasciare testimonianza dei loro ultimi istanti di vita prima
dello schianto contro qualche pino! Ma generalmente nel gruppo c’è sempre
qualche membro assennato e prudente, che parte con il kit del prontosoccorso
sul portapacchi (e il rosario nascosto sotto la maglietta!).
Quanti se ne vedono,
che arrancano come cinghiali mentre si arrampicano verso le cime delle
montagne, per poi godersi 30 secondi di gloriosa (pericolosissima) discesa! Che
brividi (tra adrenalina e sudore che si raffredda nella tuta) mentre si
sfreccia a tutta velocità verso la valle! Schivando rami e macigni…col rischio
costante di ritrovarsi una pigna in un occhio o uno scoiattolo in bocca!
Per i più saggi e
riflessivi (magari anche meno giovani?), il piacere del ciclismo risiede
nell’atto stesso del montare in sella e rinvigorirsi di movimento proprio!
Tonificare i muscoli per rinvigorire il cervello, ascoltare il fruscio
dell’aria che passa tra i raggi delle ruote e ci accarezza il viso, per
sgombrare la mente e abbandonarsi alla ripetitività rilassante del movimento;
il piacere di giungere alla meta scivolando su strade inusitate, o su quelle
consuetamente percorse a piedi o in automobile, ma ora riscoperte “ad una
velocità diversa”, ad un ritmo che siamo noi stessi a imporre… Faticare, anche,
per dimostrare a noi stessi la nostra forza di volontà, testare lo stato della
nostra forma fisica di cittadini pigroni, riacquistare fiducia in noi stessi e
riscoprirci un tutt’uno con il paesaggio.
Fonderci con una
parentesi di mondo che diventa nostra nella misura in cui la attraversiamo con
tutti i sensi tesi predisposti alla percezione e all’assimilazione: ascoltiamo
in modo nuovo il silenzio interrotto dalla linea sonora tracciata dalle nostre
ruote, osserviamo quello che ci scorre accanto a velocità “umana”, respiriamo
quegli odori che sempre schermiamo dietro ai parabrezza, e che ora ci
disponiamo ad accogliere, a lasciare entrare con piacevole violenza nelle
nostre narici. E allora non ha importanza se si arranchi in salita o si sfrecci
in discesa, se si vada lontano o si torni a casa, se si sia soli o in allegra
brigata… La bicicletta ci accompagna come una fedele amica, su strade prima di
tutto interiori, alla conquista di vette simboliche, verso panorami che si
rinnovano ad ogni contrazione di quadricipite.
PS. per la realizzazione di questo post, scritto in onore dell'amico (e ciclista) Stefano Petti, non è stato maltrattato nessun animale... al massimo qualche volonteroso bipede che si è prestato ad essere immortalato anche in atteggiamenti non proprio edificanti! Riferimenti a fatti e persone realmente esistenti sono da ritenersi esattamente quello che sembrano: richiami espliciti a conoscenti e amici, più o meno fanatici, più o meno giovani, più o meno atletici!
Fotografie scattate da Maria Pia Pullano, che ringrazio molto per la collaborazione artistica e sportiva!
Fotografie scattate da Maria Pia Pullano, che ringrazio molto per la collaborazione artistica e sportiva!
Devo dire che mi è un po' spiaciuto arrivare così presto alla fine del pezzo.........avrei desiderato che continuasse................BRAVO cucciolo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
RispondiEliminaun saggio di Saggezza ! è il miglior profilo dei fanatici su due ruote a trazione umana che abbia mai letto !!!
RispondiEliminaFoeura de porta Volta
RispondiEliminade paes in paes
a la longa di sces
pedalavi in la molta
de la Comasna vuna
de sti mattinn passaa:...
me seri dessedaa
con tant de grinta, in luna
sbiessa e in setton sul lett
pensavi: «cossa femm
incoeu?... l’è festa... andemm…
aria!... de sti fodrett...
moeuvet! te sèntet no
la pendola? Madonna!
hin i noeuv or che sona
e sont in lett ammò!
giò con sti gamb... coragg,
ciappa la porta e proeuva
la bicicletta noeuva!»
A seri de vïagg
donca e de mja in mja
intant che pedalavi
quiettin... quiettin… vardavi
la campagna drevia,
vardavi i camp, i praa
noster chì de Milan,
qui cari patanflan
di noster praa, settaa
denter in la scighera,
denter a moeuj coi so
fir de moron, coi so
med de ganga... in filera
giò... giò... longa e longhera…
cassinn e cassinott,
paes e paesott
sgreg, pien de viran...
(Delio Tessa)