[…] Così finalmente ci mettemmo a tavola, con valletti di Alessandria che versavano acqua ghiaccia sulle mani, e altri che li rimpiazzavano ai piedi e con estrema precisione toglievano le pipite.
E neppure questo servizio così ingrato li faceva star zitti, ma in quel mentre cantavano.
Io volli provare se tutta la servitù cantava e chiesi allora da bere.
Lì pronto mi secondò un valletto con un gorgheggio non meno stridulo, e così ogni altro a pregarlo di qualcosa.
Sembrava un coro di pantomima, non il triclinio di un padre di famiglia.
Fu servito comunque un antipasto di gran classe, che tutti ormai erano a tavola, all'infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto.
Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell'altra.
Ricoprivano l'asinello due piatti, su cui in margine stava scritto il nome di Trimalcione e il peso dell'argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero.
E c'erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d'argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana […].
(Petronio Arbitro, Satyricon, XV, 31)

Eppure l'usanza di riunirsi tra alcol e vassoi sopravvive...
E per i milanesi assume la forma dell'"happy hour"... zona franca tra i pasti veri e propri, occasione di convivialità poco impegnativa in cui sbocconcellare stuzzichini appetitosi e affogare qualche neurone nelle bollicine... possibilmnete en plein air (condizioni metereologiche e livelli di inquinamento da polveri sottili permettendo)...

Volendo ricostruire l'eziologia del fenomeno, dobbiamo ammettere che tra fretta e pigrizia verso gli oneri dell'ospitalità, abbiamo semplicemente inventato un'"alternativa" al vecchio "aperitivo" e alla "pizza in compagnia", che riassume in un unica situazione il prima-dopo-durante il pasto. Sottolineo inoltre che la definizione "hour" è ingannevole, perchè il tutto si protrae dall'ora della merenda al tempo della camomilla, e nonostante la designazione ottimistica, di fatto non ha nulla di "happy"...
Anche con tutta la buona volontà, la circostanza non depone a favore della definizione:
l'idea incosciente dell'aperitivo-dopo lavoro del venerdì sera, nasce come figlia legittima del tedio della domenica pomeriggio, quando nell'ozio domestico forzato, il lavotatore milanese si dedica al planning dell'imminente settimana e, di fronte allo spaventoso biancore dei "vuoti" nella sua agenda, si impegna a riempirli... fiducioso (illuso) che alle 20.00 del venerdì sera, dopo un'intera settimana di casa-ufficio-palestra-spesa- dentista-pediatra-cane dal veterinario- recita scolastica-ecc, avrà ancora voglia ed energie da annegare in un bicchiere di Spritz.
La consapevolezza dell'insanità del proposito lo coglie già al mercoledì, si impossessa di lui nel corso del giovedì, ed esplode in tutta la sua drammatica evidenza il venerdì mattina, quando il primo pensiero che lo assale al trillo della sveglia è "Misero me, stasera mi tocca! ma chi me lo ha fatto fare?".
E l'"ora felice" diventa un incubo, un obbligo, una costrizione cui è impossibile sottrarsi... una spada di Damocle che ci pende sopra la testa per tutta la giornata...mentre arranchiamo sui tacchi alti per essere all'"altezza" della serata o ce ne stiamo strizzati e sudanti nella camicia sintetica più aderente del guardaroba (col costante rischio di prendere fuoco ogni volta che qualcuno ci passa accanto accendendosi una sigaretta!)...
Arriva l'"ora"... usciamo dall'ufficio stravolti, con la glicemia sotto i piedi, il traffico infuria, vorremmo solo strapparci la camicia di dosso, cavarci le decollettes dai piedi (gonfi come due zampogne!) e infilarci la tuta da casa per stenderci sul divano "a pelle di leopardo"! E invece questa frazia non ci è concessa! Siamo tutt'altro che "happy", ma ci tocca stamparci un sorriso ebete sulla faccia, fingerci intraprendenti e trascinare la nostra giornata ancora per un po'... e non solo per un'"hour"! come minimo diventano sempre tre o quattro... le "hours"!
"HAPPY HOUR... un nome e due inganni"... oppure "due truffe in un bicchiere"! Ecco cosa dovrebbero scrivere i gestori dei locali invece che ""happy hour dalle 18.00"!!!!
Appuntamento sul marciapiede: temperaura dell'aria 40 °C, tacchi che affondano nelle sabbie mobili dell'asfalto sciolto, Tizio è in ritardo, Caio non trova parcheggio, Sempronio ha sbagliato a l'orario della prenotazione e non c'è un tavolo disponibile... Si decide di cambiare locale: disputa, comizio, assemblea generale. "Andiamo di qua", "Proviamo di la", "Sushi?", "Finger food?"... Quando gli Stati Generali hanno trovato un accordo suona la compieta.
Ci si stringe attorno a un tavolo... "stringe" letteralmente, perchè che si arrivi in coppia, in quattro o in un gruppo di 12 persone, lo spazio riservatoci è sempre quello... bisogna ottimizzare! Ma se uno si adatta a star quasi sulla soglia della toilette e l'altro si rassegna a congelarsi sotto il bacchettone dell'aria condizionata, ci si sta tutti!
Bisogna ordinare da bere. Camerieri corrono come elettroni impazziti, con vassoi carichi di bicchieri dalle forme accattivanti, pieni di liquidi schiumosi e fluorescenti... Non vogliamo essere da meno e additiamo a caso sul menù dei cocktail nomi assurdi e sconosciuti... Guai a chiedere un banale Prosecco o un vile analcolico! Veniamo immediatamente puniti con uno sciatto bicchiere servito su un freesbi di cartoncino.
Allora, per sopportare i 50 gradi del nostro drink senza rischiare di
tornare a casa strisciando sui gomiti, decidiamo di mangiare qualcosa e ci dirigiamo speranzosi verso il buffet...

Ci facciamo largo a fatica come tra un branco di lupi famelici, che difendono la loro preda a gomitate e colpi bassi di pinze da insalata! Ma per fortuna la musica è tenuta a volume abbastanza alto da coprire gli scambi di insulti (anche se ci costringe a urlare a chi ci sta seduto di fronte, seppur ad un tavolo di 20 cm quadrati...).
Assistiamo a scene penose di equilibrismo: piramidi di tartine tenute in bilico su piattini del diametro di un bottone, monti di cous cous che sfidano la forza di gravità, rovinando talvolta in vere e proprie slavine granulose! Qualche frutto di mare salta nella ciotola della ciotola della macedonia, qualche fetta di salame plana fino al reparto dessert, mentre qualche bignè si suicida annegandosi nella coppa del pinzimonio! E' l'anarchia del self service!
Si conquista quel che si può e si torna al proprio tavolo-francobollo. E non ci si può alzare finchè non si ha finito ciò che si ha nel piatto... non solo perchè ce lo ha insegnato mamma quando eravamo piccoli, ma perchè c'è sempre qualche cameriere in agguato che, alla nostra prima distrazione, è pronto a portarci via il piattino faticosamente conquistato per far posto sul tavolo!


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