Teatro San Babila
Dal
20 febbraio al 1 marzo
Cesare
Bocci, Marco Bonini, Eleonora Ivone
(testo
e regia di Angelo Longone)
Ospiti
Un grande
successo al teatro San Babila per la prima dello spettacolo Ospiti, la
commedia scritta e diretta da Angelo Longoni, che porta sul palcoscenico gli
aspetti tragicomici dei rapporti di coppia, tra matrimoni finiti, separazioni
non accettate e relazioni iniziate per uno scambio di persona.
Magistrale l'interpretazione di Cesare Bocci, Eleonora Ivone e Marco
Bonini, che prestano le loro voci e i loro gesti rispettivamente a Leo, uno
scrittore comico «alcolista, cinico e misantropo»
(«Io non odio l'Umanità; odio tutte le persone prese una per una»; «La
casa piena di gente? Meglio una colica!»), con una recente separazione alle
spalle, il «terrore dei sentimenti» e una concezione del matrimonio come
condanna all'ergastolo; Sara, un'aspirante attrice «masochista, con la
"Sindrome di Stoccolma"» («Amavo il mio aguzzino») ma anche
una laurea in antropologia e tanta voglia di vivere; Franco, un ex fidanzato
«paranoico, ossessivo-compulsivo, peggio della Gestapo», che crede la gelosia
sia «un afrodisiaco» ed è incapace di accettare l'abbandono :
«Se non mi ami non fa niente: posso farlo io per tutti e due»; «L'ho
seguita, spiata, minacciata, picchiata...ma solo per convincerla che
l'amavo...e comunque le ho sempre chiesto scusa».
Tre personaggi disadattati, le cui vicende si intrecciano sullo sfondo di
un equivoco, uno scambio di identità che porta Leo al centro della vita dell'affascinante
e sconosciuto Giorgio, prendendone in affitto l'appartamento e in prestito gli
abiti, ricevendone le telefonate e le visite, sostituendosi a lui nella
relazione con Sara e dunque nella rivalità con Franco. La figura di Giorgio
diviene una sorta di alter ego ideale con cui entrambi i protagonisti
vorrebbero identificarsi, per sottrarsi alla propria insicurezza, riscattarsi
dalla disperazione e dal fallimento della loro vita sentimentale; ma qualsiasi
tentativo di sfuggire alla loro identità («Hai fatto bene a lasciarmi;
anch'io mi lascerei, se potessi») o di annebbiare la consapevolezza di sé
per mezzo dell'alcool («Il fegato è un organo sopravvalutato»; «L'alcool
aiuta a vedere le cose con più lucidità») non farò che approfondire in loro
la convinzione che «Ci toccherà la fatica di essere
noi stessi» o di scegliere il suicidio, «la peggiore forma
d'impazienza» verso un risultato cui comunque la vita "porta
naturalmente" («Essere innamorati non è un problema: prima o poi passa»).
Molto diversa la personalità di Sara, che s'improvvisa simpatica «psicologa
in body di leopardo» e con femminilità, intelligenza e coraggio sconfessa lo
«stereotipo della coppia» («Tutti si sposano per narcisismo») e dirige
le vicende degli uomini che la circondano, affermando la propria indipendenza,
difendendo la libertà conquistata e il diritto di "dire no" anche a
costo di prendere a calci il passato dall'eleganza delle sue scarpe di vernice
rossa (con tacco).
In questa commedia, il cui finale resta sospeso tra una dichiarazione
d'amore e una pistola inceppata che però ricomincia a funzionare, il sesso
"debole" prende la propria rivincita sulla prevaricazione dell'uomo,
che si rivela qui infantile, capriccioso e incapace di accettare le sconfitte,
i rifiuti, gli insuccessi personali, rifugiandosi nell'autolesionismo o nella
violenza.
«Ti sembrerà strano, ma alle donne non piace essere picchiate. Tranne ad
alcune. Ma quelle le riconosci: indossano
delle tute in latex, usano le fruste e hanno delle manette appese al fianco!».
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