L'albero delle polpette
Le polpette non crescono sugli alberi... e su questo non ci piove. L'immagine della "polpetta" è utilizzata da Massimo Montanari come metafora dell'idea, che dopo essere stata appallottolata e infarinata deve riposare per rassodarsi. Questo blog nasce proprio come mio personale "archivio di polpette"... Raccolgo qui idee, speranze, esperienze e lascio che prendano forma... perchè "il riposo delle polpette è come il riposo dei pensieri: dopo un po', vengono meglio".
venerdì 20 marzo 2015
Moda senz'abito: Rivoluzioni familiari
Moda senz'abito: Rivoluzioni familiari: Da piccola, per levarmi dall'imbarazzo suscitato dalla domanda idiota "Vuoi più bene a mamma o a papà?", ho...
giovedì 19 marzo 2015
What's new?
E' quasi primavera, ed è lecito avere voglia di cambiamento!
Così, mentre sui rami spuntano le morbide gemme e nella mia testa frullano idee nuove, tra pulizie di Pasqua ed eliminazione di metaforiche foglie secche dalla mia vita, ho sradicato l'Albero delle Polpette e dato vita a un nuovo blog!!!
Vi invito quindi a proseguire le vostre letture su http://modasenzabito.blogspot.it/, che nonostante il titolo "modaiolo", non ha nulla a che fare col "fashion", ma solo col fascino della vita quotidiana, osservata e raccontata con la solita ironia!!!
Vi aspetto
Chiara
lunedì 9 marzo 2015
5 buone ragioni per leggere le riviste femminili.
Sì, la carta patinata luccica e
tutte noi donne (che condividono l'istinto della gazza-ladra) ne siamo
affascinate, così come siamo attratte anche dai gioielli e dai dolci; eppure
abbiamo imparato a resistere... Le cose costose o sono lussi che ci concediamo
solo in occasioni particolari: quando siamo molto felici o molto depresse, così
salvaguardiamo sia il conto in banca che la linea. In circostanze
"normali" non ci feriamo adoranti davanti alle vetrine dei
gioiellieri né saccheggiamo pasticcerie! Per quanto riguarda le riviste
femminili, vie di mezzo tra l'almanacco e il sussidiario scolastico, a volte di
comprarle non ci viene neppure in mente; sui fatti di politica e cronaca ci
aggiorniamo via TG o radio prima di uscire di casa mentre andiamo al lavoro; sul gossip ci ragguagliano abbondantemente il
barista che ci prepara il cappuccino, la parrucchiera mentre ci spunta la frangia,
le colleghe pettegole durante la pausa pranzo; e se avvertiamo un estemporaneo
bisogno di sapere come si contrastano i radicali liberi, c'è google sempre
disponibile anche
sul nostro smartphone. Eppure leggere le riviste femminili ci assicura alcuni preziosi (e talvolta insospettati) vantaggi:
sul nostro smartphone. Eppure leggere le riviste femminili ci assicura alcuni preziosi (e talvolta insospettati) vantaggi:
1. Non spaventare gli uomini.
É inutile negarlo: gli uomini (anche
i più lontani dall'australopithecus) assumono un atteggiamento molto
diverso nei confronti di una donzella che si aggira per la giungla
metropolitana come una pecora fuori contesto, in abiti da ninfa, piuttosto che
davanti a una lottatrice di wrestling in tuta mimetica. Questo
perché geneticamente, ad eccezione degli amanti del sadomaso, gli uomini
preferiscono le fatine zuccherose e un po' svampite (se anche un po' sceme
meglio così si sentono più intelligenti) a quelle che "portano i
pantaloni" e affrontano il mondo corazzate di spregiudicata indipendenza;
le donne che oltre ai tipici femminei connotati (aurei capelli, bocche carnose,
candido petto e magari qualche altra fattezza piacevole su cui posare lo sguardo)
esibiscono polso, spirito e metaforici "attributi", che non hanno
bisogno di essere difese, accompagnate o soccorse ogni 4 minuti e mezzo, che
guadagnano, scelgono, organizzano e che, se non riescono ad aprire un vasetto
di sottaceti, imparano ad usare l'apriscatole! Se l'uomo che "non deve
chiedere mai" affascina, la donna che si arrangia spaventa. E se ai nostri
guys basta vedere una pulzella capace di fare il pieno all'auto da sola
per sentirsi sconvolti nel profondo, è inevitabile che si terrorizzino alla vista
di una rappresentante del gentil sesso che legge Il Sole 24 ore!!! ...
Detto questo non dobbiamo rincretinire o vergognarci di possedere un cervello e
di saperlo usare, anzi! Soltanto dobbiamo riuscire ad adeguare ogni attitudine
alla giusta situazione: io ogni tanto ci provo a sviscerare le notizie del
telegiornale delle 8.00 con mio marito e a discutere della guerra in Ucraina,
della crisi internazionale, degli attentati terroristici e del surriscaldamento
globale mentre lui si rade la barba e io mi passo il mascara...Non c'è storia!
Non mi sente nemmeno! Oppure le poche sillabe che intercettano la sue frequenze
gli fanno strabuzzare gli occhi e temere che durante la notte mi abbia rapita
un UFO! Mentre la stessa conversazione iniziata in un'altra circostanza della
giornata può evolvere fino a un gratificante litigio! Il tutto per dire che se
volete essere avvicinate da quel tizio carino
timido come un capriolo che incrociate tutte le mattine sull'autobus non
trinceratevi dietro un foglio 50x70, non estraete dalla borsetta un bazooka
della stampa in quattro lingue, con colonne fitte di titoli di borsa, cifre,
percentuali e grafici di funzioni! Non dico di portarsi dietro Harmony
ma neppure un pitbull di carta!!!!
NB. Vale anche per la Gazzetta dello sport;
il fatto che sia rosa non la rende "rassicurante" e, a meno che
abbiate come obiettivo conquistare il capo ultras di una squadra di
calcio, non credo che otterreste l'effetto desiderato!
2. Trarre consolazione dai difetti delle altre.
2. Trarre consolazione dai difetti delle altre.
Le donne sono perfide, innanzitutto
con se stesse: sono giudici inflessibili, personal trainer spietate, life
coach rigide come un agente SS; di fronte al proprio riflesso nello
specchio non si lasciano sfuggire un difetto, nella condotta quotidiana si
sottopongono ad esercizi psicofisici estenuanti, si torturano emotivamente,
combattono professionalmente. Almeno il diritto di voto lo abbiamo ereditato,
così ci è rimasto un pochino di tempo per frequentare il corso di yoga o
perlustrare mercatini delle pulci... In tutto questo tran tran di torture
autoinflitte e punizioni preventive per i peccati della nostra eventuale
prossima vita, è terapeutico avere sott'occhio del materiale che ci distragga
dalla nostra immagine e su cui poter scatenare la nostra attitudine
ipercritica. Scoprire che anche le nostre "colleghe" consacrate come
icone della femminilità moderna,
quintessenza dell'attuale ideale di bellezza hanno qualche cmq di buccia
d'arancia, un po' di pelle moscia qui e là, e addirittura sporadici brufoli, è
un vero trattamento benessere per la nostra autostima! E sebbene questo non
serva ad ammorbidire il nostro spirito masochista (chissà perché l'erba del
vicino ci appare più verde anche se ci si è riversata sopra una colata di
cemento!), riscontrare che tempo e forza di gravità producono i loro impietosi
effetti anche tra gl'idoli del piccolo e grande schermo, ci rincuora e ci fa
temporaneamente perdonare a noi stesse il fatto di avere una consistenza
corporea!
3. Conoscere le tendenze e trasgredirle.
3. Conoscere le tendenze e trasgredirle.
Bisogna sempre essere aggiornati sulle ultime
tendenze... soprattutto per poterle trasgredire con cognizione di causa! Per
capire da che parte tira il vento del fashion non basta schiacciare il
naso sulle vetrine di tutti i negozi delle capitali della moda; bisogna sapere
cosa succede nelle "alte sfere" dello styling e conoscere
tutti i trabocchetti che qui vengono escogitati, per evitare le alzate di
sopracciglia delle commesse un po' altezzose dei negozi di abbigliamento e
decifrarne il gergo per capire che non ci stanno prendendo a parolacce! Per
esempio: ormai non esistono più i colori; si parla di nuance...e ogni
stagione ha la sua! Non si può entrare in una boutique e chiedere un
capo o un accessorio banalmente "rosso"; bisogna specificare quale
delle 36 gradazioni si intende: amaranto, carminio, ciliegia, corallo,
cremisi, magenta, melograno, porpora, rosso cardinale, rosso mattone, rosso
pompeiano, rosso Valentino, rosso veneziano, ruggine, scarlatto, terra cotta,
vermiglio, ecc. In questo le riviste di moda fungono un po' da vangelo per
profani, diffondendo la parola dei "profeti" del glamour a noi
comuni mortali, che non "indossiamo" ma "ci abbigliamo",
non "sfiliamo" ma "camminiamo", e non abbiamo "outfit"
ma solo "vestiti"! In ogni caso, dal momento che la carta patinata
non è il Corano, nessuno ci impone di credere indubitabilmente a quel che
leggiamo e di agire di conseguenza: se le tinte pastello ci fanno assomigliare
a una caricatura della regina d'Inghilterra o i cinturoni all'altezza della
vita ci danno l'aspetto di una clessidra, abbiamo tutto il diritto di lasciar
perdere! Ed è proprio così che riusciamo a elaborare un nostro
"stile", che significa innanzitutto rifuggire lo stereotipo.
4. Prendere spunto.
4. Prendere spunto.
Qualsiasi mamma, moglie, fidanzata
o single, più meno giovane, che non voglia appiattirsi sulla ripetitività del
tran tran quotidiano, è sempre alla ricerca di nuove idee: cosa fare dopo il
lavoro, che film scegliere al cinema, quale nuovo ristorante provare, a che
eventi partecipare, ecc.
Il nostro laboratorio prediletto è sicuramente la
cucina, non solo in quanto spazio fisico
capace di trasformarsi all'occorrenza in camera oscura, sala ricreativa (per
taglio e cucito, pittura su ceramica, pasta di sale, ecc), spazio bricolage,
ufficio, deposito, serra, nursery, consultorio per amiche affrante, meeting
room per le riunioni di famiglia. Ogni tanto però utilizziamo anche i
fornelli secondo la loro originaria destinazione d'uso, e ci impegniamo nella
sperimentazione culinaria con lo stesso ardore con cui coltiviamo piantine di
legumi dentro lo scolapiatti... Quale occasione migliore di una cenetta tra
amici per prodigarsi con qualche nuova ricetta?
Beh, se in cerca di un input
ci avventuriamo tra e pagine di un libro firmato da Sadler, non è improbabile
che ci troviamo di fronte a manifesti dell'avanguardismo gastronomico, del tipo
"Ravioli di farina di lenticchie, ripieni di ricotta di mandorle,
conditi con clorofilla di spinaci, idea di aglio e aria d noce moscata". Oibò!
Anche ammettendo che una abbia la buona lena di macinarsi da sola le
lenticchie, la forza d'animo di assistere alla fermentazione del latte di
mandorla e l'equilibrio interiore necessario a distillare la linfa degli
ortaggi (su "idea di aglio" e "aria di noce
moscata" non so pronunciarmi!), credo che i "tempi di
preparazione" stimati (6-8 giorni) e il "livello di competenza"
richiesto (diciamo almeno un diploma di istituto alberghiero, un paio di corsi
di cucina professionale e una decade di esperienza presso qualche ristorante
pluristellato) scoraggerebbero chiunque!
Se il nostro scopo non è quello di
aggiudicarci il Nobel per la cucina ma solo di sorprendere le papille gustative
dei nostri ospiti, meglio rinunciare ai menù ermetici e ripiegare su pietanze
"amichevoli", a base di ingredienti accessibili (niente caviale di
lumaca, agar-agar o platano), con tempi di preparazione che non
comprendano un'era geologica! E anche in questo le riviste femminili vengono in
soccorso alla tua creatività: oltre a proporti lavoretti con materiali di
recupero, insegnarti l'arte del decoupage o le tecniche dello stencil,
o addirittura spiegarti come debellare le tarme o sostituire la corda della
tapparella senza precipitare dal quinto piano, comprendono sempre un gruppetto
di pagine raccolte sotto un titolo che è soprattutto una promessa rassicurante:
"Strategie per non preparare la cena","Il fornello
magico", "Pappa bella, buona e veloce", "Menu
gourmet in 5 minuti", "Easy microonde", o simili.
5. Sentirsi "normali".
5. Sentirsi "normali".
Tutte noi abbiamo le nostre
"manie": convinzioni più o meno fondate, che possono trasformarsi in veri e propri
"rituali" e anche tramandarsi da una generazione all'altra
insieme alla ricetta della pasta frolla e alla biancheria ricamata.
Ma le
nostre stranezze non sono nulla paragonate a quelle delle "stars",
e saperlo ci libera in parte dal nostro senso di colpa; apprendere che Gwyneth
Paltrow utilizza le "inalazioni vaginali" per sentirsi sessualmente
appagata, Katy Holmes segue la dieta dei soli broccoli per rimettersi in forma
e Angelina Jolie applica un siero al veleno di vipera per contrastare le rughe,
ci rende improvvisamene orgogliose del nostro equilibrio mentale!
A noi comuni
mortali verrebbe mai in mente di farci affumicare le ovaie?
Certo succede che
per spirito di emulazione, qualche "creativo" si metta a giocare al Piccolo
Chimico ed escogiti fantasiose reinterpretazioni dei classici "rimedi
della nonna". Per questo il web straborda di "ricette
miracolose", "pozioni magiche" che farebbero impallidire le
streghe di Salem: lo "sciroppo allunga-capelli" (anche ammesso che
funzioni -cosa di cui ho i miei leciti dubbi- sfido chiunque a buttar giù tutte
le mattine uno shottino di acqua tiepida, aceto e miele senza sentirsi
male!), gli impacchi per capelli a base di olio e miele (che una volta
applicata e lasciata in posa due ore si toglie solo con l'acquaragia), la
maschera antirughe all'uovo o direttamente alla maionese (che schifo...).
Fortunatamente, consapevoli del fatto che oggi i "rimedi naturali" sono tornati di moda,
anche gli autori delle riviste si sono adeguati, e in ogni pubblicazione
offrono consigli di medicina dolce e cure omeopatiche, avvalendosi però della
consulenza di esperti: soluzioni meno "futuristiche" ma provenienti
da fonti più accreditate delle sciamano di turno. Ecco allora che le riviste
possono salvarci anche dal rischio di finire intossicate, rapate come marines
o puzzolenti di insalata russa!
domenica 8 marzo 2015
La palestra della felicità
Dal 6 al 29 marzo 2015 al Teatro Elfo Puccini
Testo Valentina Diana
Regia Elena Russo Arman
Musiche Alessandra Novaga
con Elana Russo Arman, Cristian Gianmarini
Produzione Teatro dell’Elfo
Prima
nazionale
Anche alla felicità bisogna allenarsi, passando attraverso
l’esercizio della rabbia, della violenza, del desiderio di sopraffazione; e
dunque occorre una “palestra” in cui sfogare queste pulsioni, in cui
sublimarle catarticamente e scaricare la tensione che suscitano sull’essere
umano. Occorre un luogo “sospeso”, fuori dal tempo e dallo spazio reali, in cui
vivono creature primordiali o provenienti dal futuro, in cui le teiere parlano
(rivelando maggiore saggezza delle creature tradizionalmente reputate razionali)
e in cui ci si uccide con pistole di plastica, e per tornare alla vita basta
raccogliere una nuova maschera dal pavimento.
Sette scene e una sola storia che si ripete; «non c’è un
inizio, non c’è una fine», solo un alternarsi di personaggi umoristici che
mettono in scena la natura tragicomica dei rapporti umani: una madre che ossessiona
il figlio («troppo sensibile, troppo delicato […] un perdente, un molle») con
sproloqui insignificanti suscitati da un aneddoto sulle «cozze»; un donna col
mal di testa che chiede al compagno perché, pur trovandola attraente,
preferisce il corso di apnea piuttosto che dedicarle del tempo nel week end; un marito razzista e
prevaricatore che schiaccia la moglie sotto il peso della sua cultura («Io ho studiato; ho sostenuto due esami sulle figure retoriche nel Petrarca e due esami di semiologia e
critica lessicografica nei Vangeli apocrifi […] Se dico una cosa è perché la so
[…] Se non hai cultura non sei nessuno; tu non hai spessore, non esisti»); una
coppia senza figli, con un «rapporto morboso» con i propri pesci («Gli fai del
male con i tuoi comportamenti concessivi e lassisti, dandogli da mangiare di
nascosto quintalate di plancton») ma di fatto incapace di riconoscersi («Chi
sono io per te? […] Chi sei tu che porti la parrucca?») e perfino di litigare.
Vite qualsiasi in scenari domestici, dialoghi inconsistenti
(talvolta trasformati in monologhi da personaggi troppo ingombranti), morti
tragiche, eccessive e assurde; “scene” (in senso letterale) tenute insieme da
due personaggi (Marta e il suo collega attore e aspirante innamorato) che si
interrogano su come continuare la recita, su quale parte assumere in modo
definitivo e su quale direzione dare alla trama. A loro è affidata la
riflessione metateatrale sullo spettacolo fittizio quale “luogo” per dare forma
e voce alle situazioni che nella vita realmente vissuta si caricano di
un’assurdità, un’ironia e talvolta una tristezza che possono risultare
insopportabili: «Se tu mi sposassi, almeno ci sarebbe una storia d’amore»; «Io
non posso sposarmi […] l’amore non buca, la morte sì». Dunque il finale di ogni
storia (recitata o reale), della vita stessa, del mondo intero, deve essere
tragico, perché «quando sembra che non ci siano ostacoli, nessun apparente
impedimento al compiersi della felicità, si verificano fraintendimenti, inceppi
che ci lasciano tristi, basiti, senza parole: che fregatura».
Lo spettacolo (gli spettacoli?) sapientemente costruito ed
egregiamente interpretato dai protagonisti, rappresenta allora una “palestra”,
una parentesi di riflessione sull’«umanità che cammina» verso la felicità o la
bellezza, portandosi dentro «un qualcosa, che non è propriamente una domanda»
ma un desiderio, un bisogno, una ricerca d’impossibile onnipotenza…«mentre a
casa, accartocciata in un angolo c’è la vita».
Elena Russo Arman e Cristian Gianmarini, nuovamente fianco a
fianco sui palcoscenici dell’Elfo, prestano la loro arte agli appartenenti a
questa umanità in cammino, assumendo personalità molteplici (tutte
perfettamente credibili pur nella loro carica umoristica) e riservando un
piccolo spazio al loro alter ego di
artisti, attori che riflettono sull’obbligo di assumere maschere e sostenere il
ritmo incalzante di una recitazione capace di garantire il colpo di scena, per
non essere «buttati via» come «pedine inutili sulla scacchiera» della triste
inutile impotenza umana.
lunedì 2 marzo 2015
Kamasutra fumé
«Nella battaglia del sesso gli amanti, accecati dalla passione e travolti dall'energia impetuosa non fanno attenzione ai pericoli»
(Vatsyayana, Kamasutra, cap. 12, VI sec. ca)
«Com'è bello far l'amore...con la
testa in giù» ...
Così avrebbe cantato Raffaella Carrà se avesse assistito alla proiezione
dell'ultimo "capolavoro" della filmografia internazionale!
Eh già, ne stanno (s)parlando che
per solidarietà mi sento in dovere di associarmi anch'io con polemica gratuita;
e per "gratuita" intendo letteralmente "a costo zero",
perchè di spendere 12 euro per sciropparmi il film di Mrs James non ne ho avuto
l'ardire; per valutarne il livello mi sono bastati il trailer e due o
tre riassunti reperiti su web e giornali, le testimonianze dirette delle amiche
che hanno letto il romanzo.
La trama è inverosimile,
improbabile, assurda e insignificante; gli interpreti scontati, prevedibili,
ripetitivi fino allo stereotipo: lei con il suo aspetto da cerbiatta spaventata,
gli occhioni da peluche (ricorda vagamente Lucia Mondella), l'animo puro
e il corpo casto, si affida al suo carnefice (il classico bellimbusto, tronfio
come un pavone) e ne diviene volontariamente vittima, allo scopo di riscattare
entrambi. Perché fin dal primo incontro la piccola Anastasia (così si legge in
molte presentazioni della pellicola) "si rende conto che Christian è un
uomo oscuro, il cui apparente splendore nasconde una persona piena di
segreti." Un genio! E dire che non studia neppure una psicologa bensì
Letteratura inglese!
Ora, qualcuno mi dica quante
probabilità ci sono nella vita di una persona normale di vedersi chiedere
dall'amica direttrice del giornale universitario, di sostituirla d'emblée per
un'intervista a un amministratore delegato, ricco, giovane, (teoricamente)
affascinante? Riuscire a sedurlo e finire per condividerne l'esistenza in una
casa paragonabile alla Reggia di Versailles, per essere scarrozzata su auto di
lusso, elicotteri, alianti acrobatici, ecc? Certo, tutto ha un
"prezzo": il fascinoso magnate impone alla dolce pulzella
l'iniziazione all'ars amatoria più perversa, al sesso circense, alla
versione caricaturale dell'erotismo esotico. E lei, guarda un po', non sembra
disprezzare la situazione, anzi: non solo si gode l'attimo, ma si convince di
aver trovato la chiave per redimere il suo focoso (perverso) amante,
liberandolo dai fantasmi di un'infanzia traumatica (capirai!). Su queste note,
tra piroette e contorsioni, strumenti assurdi e godimenti incomprensibili, la
vicenda procede fino all'abbandono finale da parte di lei, che si riscatta
dalla sua volontaria sottomissione per scoprirsi, di fatto,
"dominatrice". Ode alle donne di buona volontà!
Questo, in 20 righe, il succo
insipido dell'intreccio, sul quale l'autrice è riuscita a scrivere tutta una
trilogia e su cui l'industria cinematografica statunitense ha investito 40
milioni di dollari...
Il film è stato distribuito in 39
Paesi, ha incassato un totale di 311 milioni di dollari entro i primi otto
giorni dall'uscita nelle sale (di cui 8,5 in Italia); sono stati veduti 2,75
milioni di biglietti, di cui 180.000 in prevendita! E la maggior parte degli
spettatori sono di sesso femminile.
E va bene, dichiamolo dopo secoli,
di pudico silenzio (e tacita bigottaggine), l'erotismo è diventato argomento trendy,
cool, hard, in, conteso tra negozi di parrucchieri, bar, spa,
centri estetici, uffici, mense, tram... Non so se dobbiamo ringraziare le
femministe degli anni 60 e i loro falò di reggiseni (quanta biancheria vintage
sprecata!) o i figli dei fiori.... Sta di fatto che dopo il primo
"La" della liberazione sessuale, noi donne ci abbiamo costruito sopra
tutta la scala musicale, completa di diesis e bemolle... In
questo settore siamo arrivate tardi, così come siamo un po' anacronistiche in
fatto di apparati riproduttivi e tabù correlati: fino a pochi anni fa si
raccomandava di non lavarsi i capelli durante il periodo etichettato come
"Quei giorni" e addirittura si riteneva che una donna non potesse
svolgere il mestiere di medico, avvocato e poliziotta perché il ciclo ne
avrebbe condizionato la capacità di giudizio!
Oggi abbiamo intrapreso un'opera di
"svecchiamento" d'immagine dei nostri attributi, e siamo maggiormente
consapevoli della loro (piacevole) utilità. Siamo un po' più
"libere", curiose ed "esigenti"...
e siccome anche in quest'ambito la globalizzazione ha prodotto i suoi effetti,
ci interessiamo di usanze orientali e tradizioni molto più antiche delle nostre
favole a base di cavoli e cicogne. Certo, dal punto di vista
"didattico" è interessante scoprire che secondo la cultura hindu
esistono 8 modi di fare l'amore, e che ognuna prevede 8 posizioni, per un
totale di 64 "Arti", ciascuna associata a un nome di animale e
descritta nel famoso Kamasutra, vera e propria "guida tecnica"
al godimento erotico scritta nel VI secolo d.C.
Ancora prima, figure femminili come l'imperatrice Cleopatra o la
leggendaria regina assiro-babilonese Semiramide divennero famose per i la loro
lussuria e la capacità di ammaliare i loro amanti. Omero racconta di come la
bella maga Circe trasformasse gli uomini in animali, invece Ovidio, nel suo
poema didascalico intitolato Ars amatoria offre agli uomini strategie di
conquista delle donne e alle donne consigli su come attrarre il proprio amante.
Insomma l'argomento in se non è una
novità, e di esibizioni eroiche più o meno pretenziose ne sono passate tante.
Ognuno ha la propria da dire, come sui rimedi per la stitichezza o i modi
migliori per cuocere il pesce... Pur non volendo trinciare giudizi,
personalmente non so come si possa apprezzare il momento legati come un arrosto
o avviluppati come una pianta epifita; anche a patto di avere ottime capacità
di contorsione e la capacità di respirare con le orecchie, resta sempre
l'elevato rischio di restare incastrati in posture poco raccomandabili e
imbarazzati da spiegare al pronto soccorso...
Ma a parte questo, quello che fa
riflettere è l'impazienza con cui nugoli di donne si sono assiepate a
precipizio a far la fila davanti alle biglietterie nella speranza di vedere
chissà che... Romanzo alla mano per spuntare le corrispondenze e rintracciare
le discrepanze. Mi sfugge lo scopo di tanto entusiasmo... Un insospettabile
ritorno del bisogno di favole? La speranza di un revival di Cenerentola
in versione sadomaso, o di una rivisitazione licenziosa di Bianca Neve?
Ci interessa la favola (che già sappiamo improbabile e irrealizzabile nella
realtà) o gli orpelli piccanti di contorno? Cerchiamo sublimazione a desideri
che non avremo mai né il coraggio né l'occasione di realizzare, o spunti da
applicare nella vita reale? E insomma, servono 40 milioni di dollari per
accendere l'immaginazione del pubblico con un po' di sesso strano? (peraltro,
giustamente, neppure rappresentato ma solo alluso).
E che non mi si racconti la balla
dell'interesse per gli "aspetti psicologici della vicenda" e la
"complessità interiore dei protagonisti"... perché non mi risulta che
tanto ardore psicanalitico sia stato suscitato da film come "The
hours" (Stephen Daldry, 2002), "Caos calmo" (Antonello Grimaldi,
2008), "Il bambino con il pigiama a righe" (Mark Herman, 2008), ecc.
E non credo neppure si possa parlare di rivendicazione della libertà sessuale
femminile o di riscatto della vittima
che finisce per sopraffare il suo carnefice!
Anche le nostre nonne lo facevano!
Ma per emozionarsi non dovevano sperare che il nonno le legasse allo spiedo o
si calasse dalla canna del camino travestito da super eroe! E certamente non
erano disposte a farsi cospargere di miele o altre schifezze per vivacizzare la
situazione.
Oggi invece a quanto pare la massima
aspirazione erotica è il caos; vogliamo tutto contemporaneamente, al punto che
se ci si distrae un attimo non si capisce più se si è a lezione di yoga, ad un
appuntamento romantico, al circo, in mezzo alla scena di un crimine o al ristorante...
Ma siamo sicuri che così funzioni?
Intanto ci aspetta il seguito della
trilogia... Altre 100 sfumature rispettivamente "di Nero" e
"di Rosso"... Che tutto
questo "sfumare" serva a farci scoprire nuove frontiere della libido?
O l'unico effetto sarà quello di far calare sull'argomento una nebbia ancora
più densa facendoci perdere definitivamente la direzione per il "punto G"?
Mi resta un'ultima domanda: Kate,
l'amica "Galeotta" della protagonista, che si fa sostituire da
Anastasia per l'intervista a Christian Gray, potrà mai perdonarsi di aver
perduto l'occasione di un'esperienza simile??? Avrà mai ricevuto un cestino di
frutta in segno di riconoscenza da parte dell'amica? Mah...
sabato 21 febbraio 2015
Ospiti
Teatro San Babila
Dal
20 febbraio al 1 marzo
Cesare
Bocci, Marco Bonini, Eleonora Ivone
(testo
e regia di Angelo Longone)
Ospiti
Un grande
successo al teatro San Babila per la prima dello spettacolo Ospiti, la
commedia scritta e diretta da Angelo Longoni, che porta sul palcoscenico gli
aspetti tragicomici dei rapporti di coppia, tra matrimoni finiti, separazioni
non accettate e relazioni iniziate per uno scambio di persona.
Magistrale l'interpretazione di Cesare Bocci, Eleonora Ivone e Marco
Bonini, che prestano le loro voci e i loro gesti rispettivamente a Leo, uno
scrittore comico «alcolista, cinico e misantropo»
(«Io non odio l'Umanità; odio tutte le persone prese una per una»; «La
casa piena di gente? Meglio una colica!»), con una recente separazione alle
spalle, il «terrore dei sentimenti» e una concezione del matrimonio come
condanna all'ergastolo; Sara, un'aspirante attrice «masochista, con la
"Sindrome di Stoccolma"» («Amavo il mio aguzzino») ma anche
una laurea in antropologia e tanta voglia di vivere; Franco, un ex fidanzato
«paranoico, ossessivo-compulsivo, peggio della Gestapo», che crede la gelosia
sia «un afrodisiaco» ed è incapace di accettare l'abbandono :
«Se non mi ami non fa niente: posso farlo io per tutti e due»; «L'ho
seguita, spiata, minacciata, picchiata...ma solo per convincerla che
l'amavo...e comunque le ho sempre chiesto scusa».
Tre personaggi disadattati, le cui vicende si intrecciano sullo sfondo di
un equivoco, uno scambio di identità che porta Leo al centro della vita dell'affascinante
e sconosciuto Giorgio, prendendone in affitto l'appartamento e in prestito gli
abiti, ricevendone le telefonate e le visite, sostituendosi a lui nella
relazione con Sara e dunque nella rivalità con Franco. La figura di Giorgio
diviene una sorta di alter ego ideale con cui entrambi i protagonisti
vorrebbero identificarsi, per sottrarsi alla propria insicurezza, riscattarsi
dalla disperazione e dal fallimento della loro vita sentimentale; ma qualsiasi
tentativo di sfuggire alla loro identità («Hai fatto bene a lasciarmi;
anch'io mi lascerei, se potessi») o di annebbiare la consapevolezza di sé
per mezzo dell'alcool («Il fegato è un organo sopravvalutato»; «L'alcool
aiuta a vedere le cose con più lucidità») non farò che approfondire in loro
la convinzione che «Ci toccherà la fatica di essere
noi stessi» o di scegliere il suicidio, «la peggiore forma
d'impazienza» verso un risultato cui comunque la vita "porta
naturalmente" («Essere innamorati non è un problema: prima o poi passa»).
Molto diversa la personalità di Sara, che s'improvvisa simpatica «psicologa
in body di leopardo» e con femminilità, intelligenza e coraggio sconfessa lo
«stereotipo della coppia» («Tutti si sposano per narcisismo») e dirige
le vicende degli uomini che la circondano, affermando la propria indipendenza,
difendendo la libertà conquistata e il diritto di "dire no" anche a
costo di prendere a calci il passato dall'eleganza delle sue scarpe di vernice
rossa (con tacco).
In questa commedia, il cui finale resta sospeso tra una dichiarazione
d'amore e una pistola inceppata che però ricomincia a funzionare, il sesso
"debole" prende la propria rivincita sulla prevaricazione dell'uomo,
che si rivela qui infantile, capriccioso e incapace di accettare le sconfitte,
i rifiuti, gli insuccessi personali, rifugiandosi nell'autolesionismo o nella
violenza.
«Ti sembrerà strano, ma alle donne non piace essere picchiate. Tranne ad
alcune. Ma quelle le riconosci: indossano
delle tute in latex, usano le fruste e hanno delle manette appese al fianco!».
giovedì 22 gennaio 2015
lessemi e lenticchie
Da «adulescere» a «zoccolaggine»: 1.500 nuove
parole nello Zingarelli 2014.
New-entries:
«inzitellito», «rosicone», «shortino» e «hasthtag»
Mentre il termine
«rottamatore» si arricchisce del significato di «renziano»…
Il vocabolario della lingua italiana vanta un
patrimonio stimato tra i 215 e i 270.000 vocaboli (sebbene le parole “dicibili e scrivibili”, cioè le “forme di lessemi” siano più di 2 milioni); un
numero in costante aumento viste le continue acquisizioni che il lessico
fagocita: neologismi, prestiti interlinguistici, neoformazioni, prestiti dal
linguaggio tecnico o giovanile, lessico settoriale, voci gergali, regionalismi
e dialettismi divenuti d’uso, alterazioni (mediante prefissi, infissi
e suffissi).
Di questa promiscuità lessicale, 47.000
vocaboli costituiscono il cosiddetto “linguaggio comune”… insomma l’italiano pret
a porter, alla portata di tutti gli individui che
abbiano superato la fase di alogon zoon (“animale afono”); le statistiche ne
concedono 6.500-7.000, il cosiddetto “vocabolario di base” che copre il 95% dei
discorsi comuni a coloro che non siano proprio capre spinte fuori dal sistema
scolastico a calci nel didietro, di cui 2.000 voci costituiscono il lessico
detto “fondamentale” (insomma quello che di poco ci discosta da “Fido”). Chi invece avesse
qualche aspirazione "erudita" dovrebbe locupletare il proprio
vocabolario con altre 2.500 voci considerate di livello medio-alto (quello che
copre appena il 6 % dei nostri discorsi) … il fatto che comprenda «idiota» e «impaurire» ci restituisce la catastrofica immagine della competenza linguistica
italiana...
La colpa? Ricominciare la tiritera di scuola,
famiglia, TV, giornalisti analfabeti, ecc. è
"anacronistico", "obsoleto" (e
chi non sa cosa vuol dire se lo vada pure a cercare sul dizionario!).
Non voglio qui addentrarmi nel ginepraio
della polemica, anche perchè non ho alcuna velleità di "cruscante" e l'unica "crusca" che al momento
rientra nell'orizzonte dei miei interessi è quella (con la minuscola) contenuta nel muesli della colazione; sullo sfacelo dell'italiano "standard"
(definizione accattivante per indicare la diffusa ignoranza camuffata da
"consuetudine" comunicativa) mi soffermerò un'altra volta.
Però mi concedo una breve considerazione: noi poveri esseri umani evolviamo
dallo stato animale e ci conquistiamo la dignità
di essere finalmente considerati creature razionali
dal momento in cui cominciamo a padroneggiare il linguaggio, per esprimere
pensieri, volontà, consapevolezza mediata di noi stessi e del mondo che ci circonda… Nel momento in cui
smettiamo di balbettare “Ua-Ua” e cominciamo a chiedere “Acqua” e quando anche per noi il "bau" diventa un "cane",
ci conquistiamo a pieno titolo l’ammissione nella comunità degli esemplari
senzienti.
Eppure non si sa per quale strana evoluzione,
per un verso o per un altro, finiamo con l’esprimerci come dei ruminanti trogloditi o
come dei veri e propri alieni col cervello sciroppato dalle radiazioni dei
cellulari. E mentre le "Tre corone", i padri del dialetto fiorentino
trecentesco, si rivoltano nei loro sepolcri noi ci affidiamo agli Smart
phone: i cellulari “intelligenti”, tanto che riescono a
sapere prima e meglio di noi cosa intendiamo scrivere al nostro interlocutore
virtuale e accorrono in soccorso della nostra incompetenza linguistica con
provvidenziali “suggerimenti”. Pazienza se poi invece di un “consiglio” inviamo un “coniglio” e invece che imporre a
qualcuno “smettila” gli chiediamo un “alettone”… conserviamo i neuroni in gelatina, non si sa mai che un domani potremo
venderli o cederli in comodato d’uso…
“Tvb, kk, tt, nn, xkè, wfq”, ecc…Avanguardismo linguistico? No, soltanto che
col nuovo millennio siamo diventati non solo intolleranti al glutine e al
lattosio ma anche allergici alle vocali e alla subordinazione; le care buone
vecchie proposizioni relative, completive, infinitive oggettive…!!! Chi le ricorda più? Oggi tirano forte italiano standard
e lo stile “brillante”, giornalistico e un po’ antipatico... Ed è la diaspora dei
significati!
Tornando al nostro vocabolario interiore:
della sterminata varietà linguistica potenzialmente disponibile, dobbiamo togliere la percentuale
delle parole che non conosciamo (cioè quelle udendo le quali assumiamo la significativa espressione da triglia
bollita) e quella delle voci che ci asteniamo dal pronunciare (o perché pur essendo giunte alle
nostre orecchie non sapremmo inserirle correttamente in un discorso o per
evitare che il 98% dei nostri interlocutori le interpreti come primo sintomo
di un nostro ictus imminente... o dia
un'occhiata alle nostre spalle per scoprire se ci sta spuntando la coda a
seguito di un rapimento alieno!). Ci sono poi le parole che tutti sanno, dicono
e pensano, ma da cui sono ufficialmente “astemi”: per esempio le parolacce, più o meno “raffinate” o i “neologismi domestici”, fenomeni associativi
per cui l’accappatoio diventa acchiappa-topi e il dentifricio
si trasforma in un discriminante dentifrocio, oppure con un’immotivata “metatesi” le pantofole si mutano in panfotole.
Sono i nostri salvagenti mentali, gli
strumenti che ci inventiamo per sublimare le nostre carenze espressive e
tappare i vuoti lessicali: tutti noi abbiamo (più
o meno consapevolmente) un vero e proprio
"sgabuzzino" interiore, in cui releghiamo scope e parole. Ci
ficchiamo dentro, destinandole a immeritato oblio anche quella sfilza di
termini che ci costringono a imparare in prima elementare e il cui unico scopo
apparente è quello di far divertire sadiche maestre, mentre correggono disastrosi
dettati a colpi di penna rossa.
Esempio: "soqquadro". É una di quelle parole
che suonano simpaticamente inutili (se non a scopo illustrativo) che ti
insegnano insieme a far germogliare le lenticchie nelle confezioni delle uova
riempite di ovatta (come se la massima aspirazione di tutti gli alunni di sei
anni per il loro futuro fosse quella di avviarne una coltivazione domestica,
affermando la propria autarchia alimentare!) e che sai già che userai un paio di
volte al massimo in tutta la vita, e che entrambe le volte suderai freddo di
fronte alla chimera della doppia Q!!!
Ma anche al trauma del "soqquadro"
si sopravvive... così come si supera il dilemma tra valige o valigie, coscenza
o coscienza, familiare o famigliare... Finiamo le
elementari, ci barcameniamo tra medie e superiori... I più ambiziosi (o i figli di
genitori ambiziosi) finiscono all'università
per conquistarsi qualche altro acrostico da
premettere al proprio cognome. Il mondo pullula di "Avv.",
"Dott.", "Arch.", "Ing." che non hanno ancora
superato l'epoca in cui coltivavano lenticchie nell'ovatta e non sanno che
l'"abbrivio" non è uno dei sintomi dell'influenza, che l'"Alchermes" non è un paese del Medio
Oriente, la "Salmonella" non
viene servita come antipasto nei ristoranti di lusso e che essere
"automuniti" non significa avere un deficit fisico
inguaribile...
Forse allora, ripensandoci, le maestre che
tentavano di iniziarci alla coltivazione dei legumi avevano lungimiranza sui
tanti somari che avrebbero fatto meglio a sostenere l'agricoltura nazionale
piuttosto che ad appollaiarsi dietro alle scrivanie dandosi aria di gran
signori. Eppure ormai si sa: anche alle piante bisogna parlare... e con un
vocabolario sterile come l'Atacama, al massimo possiamo sperare che cresca
qualche cactus o una colonia di licheni...
Iscriviti a:
Post (Atom)