sabato 31 maggio 2014

Luoghi ignoti.

Si tratti di una villa nella campagna del Chianti, di un appartamento nel cuore di Manhattan, di Parigi  o della località turistica su un'anonima costa degli USA, nei racconti di Un luogo dove non sono mai stato David Leavitt descrive ambienti e paesaggi in tutta la loro sfavillante apparenza, ma posandovi sopra una patina di discreto, elegante squallore, percepibile nonostante la sensualità "lussureggiante" di alcune situazioni: 
Con quanta forza desiderava immergersi per sempre in quell'odore di arrosto, in quel calore di mogano e tappeti, e rumore di voce lungo il corridoio! (p. 142);

Un paesaggio di colline che degraano su asciutte valli color creta; vedute di città brunite dal sole; e sempre quegli strani, meravigliosi alberi italiani; i misteriosi, nobili cipressi, in fila lungo i vuoti viali, come sentinelle; i pini marittimi, con le loro verdi nuvole di foglie; gli olivi allineati nella perfetta geometria dei frutteti (p. 155).



Sempre le atmosfere si trasformano in lucidi, lisci specchi, che riflettono rapporti altrettanto superficiali, "galleggianti", sospesi su un'umanità anonima popolata di inquietudini, verità non confessate, rapporti ambigui, scelte incompiute.
Celia vive il suo amore insensato per l'amico omosessuale e poi segue il fidanzato Seth in Italia, nella speranza di una "Terra promessa" che in realtà non sarà altro che una nuova splendente, pittoresca prigione: "Non devi più sentirti intrappolata [...] Io ti ho salvato dalla sensazione di intappolamento. Io ti ho sottratto al tuo terribile appartamento e al tuo terribile lavoro. Guarda dove siamo adesso e sii felice" (p. 163) Celia capiva che non era così: il giorno in cui avrebbe camminato di nuovo in quelle stanze, lo avrebbe fatto come un fantasma, un'ospite, un'estranea [...] (p. 169).
Nathan, temendo di aver contratto l'AIDS dal suo ex amante, preferisce l'esilio della "privazione", piuttosto che affrontare il terrore del sesso e della morte, e si sottrae continuamente alla vita, alla verità, alla pienezza, conducendo un'esistenza dimezzata e indifferente.
Ellen rincontra la sua ex amante Diana nel giorno del matrimonio di quest'ultima con un uomo: una delle "facili soluzioni", un "atto di compromesso" dal quale sarebbe fiorita una vita "normale", una vita di "facili errori", preferita a una "più difficile, ma migliore" (p. 47).
Il protagonista di ATREP, acronimo di "a tuo rischio e pericolo", sembra vivere di riflesso attraverso le esperienze che l'amico (segretamente amato) Craig non ha timore di compiere, con incoscienza e sprezzante indifferenza, tanto che anche una violenza sessuale subita viene trattata come un qualsiasi banale argomento di conversazione:
"Sono stato violentato a Madrid" [...] Non c'erano lacrime nei suoi occhi, sul suo viso non era visibile nessun cambiamento. Un profondo orrire si impadronì di me [...] Sino a che punto, nel mio vivere attraverso di lui, lo avevo trasformato nella persona che io segretamente, con paura, desideravo ardentemente di essere? [...] l'avevo spinto avanti, pensandomi al sicuro nella sua ombra. (pp. 68-73).
Andrew ama contemporaneamente Jack e Allen, Paul tradisce la moglie Susan con Ted, Sylvia vede suo figlio Theo che sta "di nuovo morendo" (p. 77) ed escogita "un suo modo elaborato di mostarsi ottimista" (p. 78), e per "assicurarsi che fosse ancora lì, vivo, che [...] non fosse ancora sfuggito alle sue cure" (pp. 81-82). Ma tutti vivono un costante inappagamento, un senso di mancanza o attesa, un timore atavico, "immotivato". Sono sempre "fuori posto", "estranei" e nomadi; esuli nelle loro stesse vite. E allora non serve a nulla avere in tasca le chiavi di cinquana immobili: nessun luogo è "casa" se non quelli sognati, perduti o impossibili:
"Stai pensando che questo è il posto più bello del mondo. Così bello che ti rende triste. Ti spezza il cuore, perchè non potrai mai averlo."
"Non è che voglia vivere qui adesso, è che vorrei aver vissuto qui. Essere cresciuta qui. O piuttosto, essere il tipo di persona che cresce in un posto come questo [...]" (p. 163).
Questi "viaggiatori immobli" assistono ai percorsi e alle scelte degli altri, ai loro matrimoni, alle loro liti, alle loro manifestazioni di vittimismo o insensibilità: sono invitati a matrimoni, ospiti di pranzi di famiglie che non sono la loro, accompagnatori a riunioni di malati... E in tutto questo la loro vita sembra bloccata in uno stato di "pausa inquieta". Lo "strappo", il cambiamento è sempre eluso, il movimento mancato.
Una nebbia grigia aleggia sulle parole, e il lettore percepisce con un senso di "freddo" tutto ciò che rimane implicito, al di là del velo di Maya, e impedisce a ogni racconto di raggiungere una vera e propria conclusione. 
Un luogo dove non sono mai stato mette in scena frammenti della "non-vita" dei personaggi, come tappe di un itinerario tracciato attraverso i luoghi dell'anima che ad essi restano preclusi o nei quali non ardiscono di avventurarsi. Luoghi inaccessibili, impossibili, o forse inesistenti che oltrepassano i confini della pochezza della vita di tutti.

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